Il 22 luglio del 1965 in una cripta della fortezza di Torre Astura (Nettuno) va in scena per due ore un rito funebre officiato da una figura che indossa una maschera sormontata da una mitria su un costume essenziale che evoca un piviale. Il rito è eseguito davanti a un monumento in memoria del nipote di Federico II, Corradino di Svevia, con la cui decapitazione a 16 anni il 29 ottobre 1268 in piazza del Mercato a Napoli si estingue la stirpe degli Hohenstaufen.
La misteriosa figura mascherata diffonde incenso, stordendo gli spettatori in uno spazio ridotto reso ancora più angusto dallo spargimento di fumogeni. Il rito in memoria di Corradino è un “happening-scenografia” del barese naturalizzato romano Pino Pascali (la cui firma è ben evidente nell’iscrizione in lettere capitali latine sulla base del monumento da lui stesso costruito): lo svela il comunicato stampa della romana Galleria La Salita, che durante le due ore mette a disposizione degli invitati una degustazione di vino e salumi locali. L’happening Requiescat in pace Corradinus, infatti, è l’evento che deve dilettare i visitatori della Mostra a soggetto. Corradino di Svevia 1252-1268, per la quale Gian Tomaso Liverani, fondatore della Galleria La Salita, aveva commissionato opere su Corradino a Mario Ceroli, Tano Festa, Fabio Mauri, Mario Schifano e altri artisti. La mostra ha sede nel castello dove Giovanni Frangipane, signore del luogo, tradì Corradino, facendolo imprigionare col suo seguito perché fosse consegnato a Carlo d’Angiò. Pascali aveva realizzato il monumento funebre attorno al quale crea l’happening (il catalogo della mostra, rarissimo, si può sfogliare grazie alla scansione nella banca dati MAConDA della Scuola Normale Superiore di Pisa, a cura di Flavio Fergonzi: https://www.maconda.it/prodotti-di-galleria/it/Galleria+La+Salita/Corradino+di+Svevia/1/694/).
Le gallerie private ebbero un ruolo decisivo nello sviluppo di Pascali come artista autonomo, parallelamente all’attività professionale con cui si guadagnava da vivere come scenografo, ideatore di pubblicità televisive e cinematografiche con la Incom e con la Lodolofilm, grafico e aiuto-sceneggiatore alla RAI, realizzando anche corti per Carosello e altre trasmissioni.
Nella prima mostra monografica alla Galleria La Tartaruga dall’11gennaio 1965, Pascali aveva presentato una parte dei Rilievi realizzati con la tecnica della tela dipinta a smalto su centine lignee che l’artista padroneggiava abilmente proprio grazie al suo lavoro: i Rilievi sono eseguiti con la stessa tecnica del monumento a Corradino. Cinque dei sette rilievi esposti nel 1965 sono riuniti nella stanza dedicata all’esposizione a La Tartaruga nella mostra Pino Pascali, aperta fino al 23 settembre alla Fondazione Prada a Milano. Pascali fece 13 mostre personali in Italia e all’estero in quattro anni, tra gennaio 1965 e giugno 1968. Da Prada sono stati ricostruiti 5 dei 13 momenti espositivi allestiti da Pascali nella sua breve carriera (qua la pagina web della mostra: https://www.fondazioneprada.org/project/pino-pascali/?gad_source=1&gclid=Cj0KCQjw_sq2BhCUARIsAIVqmQunp6JPhgH3f_4ZI6z_2HxcmVloVb3L7Giadp6fVinBEBYB0jzjRKkaAkcTEALw_wcB).
Non è una vera e propria galleria ma grosso modo ciò che di lì a poco avrebbe acquisito la definizione di “spazio alternativo” con l’imperversare della Performance Art lo spazio che avrebbe dovuto accogliere un’installazione immaginata da Pascali ma naufragata. Pascali l’aveva concepita per una mostra collettiva, Realtà dell’immagine, inaugurata l’8 aprile 1965 alla Libreria La Feltrinelli in via del Babuino a Roma (tra i partecipanti, Mario Schifano, Mario Ceroli, Giulio Turcato, Mimmo Rotella). Pascali avrebbe voluto poggiare su sfere d’acciaio un pianoforte a coda che avrebbe emesso suoni di tromba.
Merita una sosta lo spazio che accolse l’opera che poi Pascali ideò al posto del primo progetto rifiutato. Tra gli “spazi alternativi” in cui a Roma vengono organizzate con sistematicità mostre e happenings, detiene un posto privilegiato proprio la Libreria Feltrinelli in via del Babuino, non lontana dalla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis in Piazza del Popolo. La libreria era lo spazio privilegiato della catena di punti vendita che Giangiacomo Feltrinelli aveva fatto allestire nelle principali città italiane per attrarre pubblico, anche giovanissimo, introducendo criteri poi imitati anche altrove (con le fisiologiche evoluzioni e modifiche).
Nanni Balestrini
Un intellettuale molto attivo politicamente è autore di performance nella Libreria Feltrinelli: Nanni Balestrini, responsabile dal 1964 al 1972 della sede romana della casa editrice di Giangiacomo Feltrinelli, il 2 marzo 1967 organizza la Performance Grammatica no stop teatro.
Di varie mostre nella vetrina della libreria romana si occupa un’altra intellettuale antifascista, Topazia Alliata, la pittrice madre di Dacia Maraini. Alliata inventa l’appuntamento Il quadro della settimana, nel quale coinvolge, tra gli altri, Jannis Kounellis, Carla Accardi, Attilio Pierelli e lo stesso Pino Pascali.
In quegli anni la Libreria Feltrinelli di Roma è scenario vivo dal quale si irradiano coraggiosi episodi di resistenza culturale, a volte violati e strumentalizzati dalla politica di Governo. Due mesi prima della mostra Realtà dell’immagine, il 15 febbraio 1965 si trasferiscono alla Feltrinelli gli attori che nel teatrino di via Belsiana nei giorni precedenti erano stati protagonisti dello scandaloso tentativo di rappresentazione di Il Vicario di Rolf Hochhuth, dedicato alle responsabilità di Pio XII nell’olocausto. Il testo di Hochhuth era stato pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli, adattato da Carlo Cecchi e diretto da Gian Maria Volonté per il Teatro Scelta. Rifugiatisi alla Feltrinelli, gli interpreti improvvisarono una lettura praticamente clandestina in un magazzino della libreria, in presenza di quasi 150 ospiti, tra cui Francesco Rosi, e di Giangiacomo Feltrinelli (che nei parapiglia precedenti in via Belsiana aveva fatto da mediatore tra la compagnia, i giornalisti e le forze dell’ordine). Si trattò di una vera e propria occupazione che nei giorni seguenti causò una ricaduta di polemiche in Parlamento, dove i deputati democristiani chiesero la definitiva cancellazione di Il Vicario.
Bastarono due giorni perché il ministro dell’Interno Taviani cedesse alle richieste di cancellazione, motivando la decisione con l’articolo 1 del Concordato del 1929: “In considerazione del carattere sacro della città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere” (sulla vicenda si veda l’intervista di Antonio Nediani a Volonté su “Sipario”: https://www.teatrodel900.it/1965-antonio-nediani-intervista-a-gian-maria-volonte-il-vicario-proibito/). L’ingerenza del Governo nell’attività teatrale di Volonté e dei suoi compagni costò all’attore il coinvolgimento di suo fratello Claudio nelle prime indagini sull’esplosione di una bomba carta all’ingresso del Vaticano da via Porta Angelica il 17 febbraio: Claudio, diventato attore grazie al fratello dopo trascorsi giudiziari da militante di estrema destra, viene sottoposto a un interrogatorio di 20 ore perché sospettato di essere l’autore dell’attentato terroristico (Claudio morirà suicida a Regina Coeli nel 1977, mentre è recluso per un omicidio colposo).
Nel triangolo formato dalla trattoria di Cesaretto (la Fiaschetteria Beltramme in via della Croce 39), la Galleria La Tartaruga e la Feltrinelli circolava la vita culturale a Roma mentre Pascali contribuiva a Realtà dell’immagine. In tale occasione, il progetto di Pascali apparve ingombrante per la Libreria Feltrinelli e all’inaugurazione dell’8 aprile 1965 l’artista presentò Muro del sonno e l’installazione Teatrino del 1964, con alcuni personaggi (la Pentola, la Spugna e la Frutta) che si esibivano nella vetrina come nelle pubblicità a cui Pino lavorava e in cui i prodotti erano animati. Teatrino era una sorta di ready-made autoironico, perché impiegava le competenze da pubblicitario e scenografo di Pascali innestandole su oggetti della vita quotidiana: una figuretta, Personaggio, che evoca un attore, impettita su un palcoscenico di legno dipinto, scoperta da un sipario di tessuti di semplice spugna arancione illuminato dalle luci della ribalta (alcune lampadine nascoste in proscenio); l’attore è composto da una bottiglia di champagne Dry Monopole munita di un gancio di ferro in cima e di due scarpette disneyane rosse.
Teatrino accoglie il pubblico all’ingresso della mostra milanese.
Il cartellino di sala e l’accurato libriccino bilingue (che –come sempre alle mostre da Prada- accompagna gratuitamente il visitatore), spiegano succintamente la storia espositiva di Teatrino. La mostra è, nel complesso, molto utile, seguendo vari temi.
La prima sezione è particolarmente interessante perché ospita, come ho già accennato, la ricostruzione delle mostre di scultura di Pascali dal 1965 al 1968 in cui il curatore Mark Godfrey ha riunito in singoli ambienti la maggior parte delle opere esposte nelle mostre originali. La seconda sezione illustra il lavoro di Pascali in alcune mostre collettive degli stessi anni con opere di artisti che hanno esposto con lui. Nella terza sezione alcune più e meno note fotografie di Claudio Abate, Andrea Taverna, Elisabetta Catalano, Ugo Mulas e altri fotografi rimasti anonimi documentano la sempre giocosa interazione performativa tra Pascali, le proprie sculture-installazioni e i fotografi.
La quarta sezione riguarda i materiali naturali e industriali usati da Pascali: acqua colorata, legno, parti riciclate di automobili, pelliccia sintetica, lana di acciaio, scovoli, Eternit, paglia, alluminio. La quarta è la sezione che deve avere dato i maggiori grattacapi di allestimento perché si propone di illustrare la provenienza, l’impiego in ambito commerciale e nel lavoro di altri artisti dei suddetti materiali. Didatticamente si tratta della sezione meno riuscita, anche se ricca di informazioni importanti: in particolare, i vari contributi video erogati da altrettanti piccoli schermi che proiettano in loop interventi di funzionari e restauratori si sovrappongono gli uni agli altri perché gli schermi non sono dotati di cuffie isolanti per i visitatori né è possibile sedersi per guardarli; inoltre, gli interventi sono eccessivamente lunghi, a volte verbosi e declamati senza un’intonazione accattivante; ho constatato che il visitatore digiuno di storia dell’arte si scoraggia, passa oltre o, se resta là, capisce poco.
C’è, invece, la possibilità di sedersi e di guardare e riguardare con attenzione il contributo video più eloquente, e divertente, a cui la mostra riserva una saletta apposita, non lontana dal cinema della Fondazione: il film SKMP2 in 16 mm, della durata di 34 minuti, dedicato da Luca Patella a sé stesso e a Rosa Foschi, Jannis Kounellis, Eliseo Mattiacci, Fabio Sargentini e Pascali. L’artista si esibisce in performance mute in cui bacia una testa femminile pseudo-antica che, con ironia allegorica, seppellisce nell’acqua in cui nuota; emerge come in una nuova nascita dalla sabbia in cui è sepolto; si butta in acqua saltellando come una rana.
SKMP2 è del 1968. Quell’anno Pascali è protagonista delle proteste alla XXXIV Biennale di Venezia. Della memorabile Biennale della contestazione, Alberto Arbasino (Una sauna in casa Schifano, “La Repubblica”, 31 marzo 2006) rievocò scherzosamente i toni e l’aspetto degli artisti e di uno dei critici coinvolti:
“Qua Gastone Novelli furibondo voltava i suoi dipinti verso il muro masticando invettive col suo mezzo toscano fra i denti. Là, Leoncillo avviluppava le sue terrecotte con carta marrone da pacchi e gran giri di scotch molto più intriganti dei contenuti: e Cesare Brandi si offendeva moltissimo se si osservava che erano molto meglio così. Pino Pascali, uomo robusto, arrivava con quintali di faesiti o masoniti in spalla, il suo martello in mano, e inchiodava addirittura le porte. Che “azioni”! Altri tempi, davvero”.
La Biennale di Venezia del 1968 coincide con l’apice della carriera d’artista di Pascali: la funzionaria taumaturga Palma Bucarelli lo consacra e Pascali è assunto nell’Olimpo degli artisti cari agli déi dell’arte a 33 anni grazie al tragico incidente avvenuto alle 14:30 del 30 agosto che ne causa la morte l’11 settembre: l’artista infatti non sopravvive alle conseguenze di uno schianto con un’auto mentre guida la sua motocicletta BMW 600. La morte mentre è giovane, bello e in carriera fa guadagnare a Pascali il Premio internazionale per la scultura mentre la Biennale è ancora in corso.
Dalla mostra alla Fondazione Prada anche un profano esce consapevole di come, giocando seriamente, Pascali meditò sulla sua nuova idea di “finta” scultura, come la chiamava lui. Nel compiere questo percorso, fu sostenuto da una forte consapevolezza nella gestione degli spazi espositivi grazie ai suoi studi di storia del teatro. Fin da ragazzo, infatti, Pascali fu interessato contemporaneamente ai nuovi materiali impiegati da Burri e Rauschenberg, che reinventerà poi nelle sue “false” sculture, e alla storia del teatro come base per la ricerca sullo spazio scenico innovato da alcuni autori che hanno rovesciato il rapporto tra attore e spazio scenico. Quando studiava Scenografia e Storia del teatro all’Accademia di Belle Arti di Roma ed era allievo di Toti Scialoja, Pascali dedicò diverse tesine alla storia dello spazio nella scena teatrale medievale e giapponese; scelse come materia per il diploma proprio Storia del teatro, scrivendo una tesi sul fondatore del Théâtre-Libre, il regista e attore teatrale e cinematografico francese André Antoine. Da tali interessi interdisciplinari lo studente ventenne si forma una certa idea di artista, che non è incasellabile solo nell’espressione visiva o solo in quella performativa, ma che si nutre di entrambe: da questa formazione Pascali ricava la naturalezza con cui progetta le sue installazioni performative e con cui posa per le fotografie performative che si fa scattare dai maggiori fotografi del suo tempo per controllare in forma semiseria la diffusione delle immagini della sua opera.
Pascali dedicò una delle tesine scritte in Accademia all’attore, scenografo, regista e produttore britannico Edward Gordon Craig, una figura talmente fondamentale nella storia del teatro che Hitler delegò l’acquisto al ribasso a Parigi del suo prezioso archivio mentre Craig era ridotto in miseria (“Per capire l’arte ci vuole una sedia” se ne è occupata il 6 settembre 2023: https://beemagazine.it/per-capire-larte-ci-vuole-una-sedia-la-rubrica-di-floriana-conte-il-piu-grande-attore-deuropa/). L’artista elaborò una definizione di “attore” valida, a ben guardare, per la sua idea di “artista” performativo messa in opera per i pochi, brillanti anni durante i quali fu protagonista delle mostre delle più sperimentali gallerie private fino a quella per la Biennale veneziana del ’68:
“Per Gordon Craig la Super-Marionetta [cioè l’attore come macchina teatrale] non è un misterioso automa, ma l’attore con il fuoco in più e l’egoismo in meno”. Fuoco e generosità verso il pubblico, con il quale Pascali flirta senza sosta, sono proprio le caratteristiche del trentenne artista che modifica radicalmente in chiave anche fiabesca l’idea di scultura monumentale in uno zoo pop di ragni di pelliccia, bachi di scovolini, delfini, giraffe, draghi e dinosauri di tela e legno, fino a quel pavimento di trenta vasche quadrate di alluminio zincato riempite di acqua colorata di blu nelle quali Pascali racchiude il mare in una stanza. Per l’obiettivo di Claudio Abate, tra quelle acque di anilina blu il giovane Pino, un anno prima di morire, danzò come il bambino che era stato nel mare della sua infanzia.
Floriana Conte – Professoressa associata di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte; Instagram: floriana240877) e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia