Narrare, è parlare di noi, è raccontare al mondo noi stessi. Ci raccontiamo ogni giorno, perché nella relazionalità esistiamo e, mostriamo il nostro «essere» a quello altrui. Ognuno, con il proprio «rievocare», consapevolmente o incoscientemente, prova ad estrarre da dentro il suo spirito e, proprio nel mentre si accinge allo scandagliare in quella membrana sierosa del cuore, mentre siamo proprio intenti nell’atto dello «scavare», ci trasformiamo in provetti archeologi, concentrati nella ricerca, dentro l’universo del pericardio fibroso, intricato e segreto, vivo e abitato proprio in nell’universo di noi stessi.
Poi, come tanti Schliemann, dall’analisi e dalla ricchezza della nostra «intima campagna», riportiamo alla luce piccoli e grandi «tesori nascosti» e; facciamo di tutto per «renderli noti»; ne disveliamo suoni, immagini, colori, gli «amori sempre amati» e custoditi, gelosamente proprio in quell’archivio sensibile e privato, che sta nei territori distesi al centro della nostra coscienza.
Per questo, quando poi «il recupero» appartiene all’inquietudine e all’estro di un «umano sensibile», quando «il frutto» è l’arte che si svela », si manifesta e, compare incantevolmente innanzi agli occhi; non c’è quasi mai bisogno di aggettivi, né di contorsioni linguistiche, che lo qualifichino. «Un’opera, se è bella, non ha bisogno di parole. È bella. E sta in piedi da sola».
Nonostante i trattati, al di là delle contorte oceaniche considerazioni, lungi dalle diatribe e dai contrasti fra le più agguerrite correnti di pensiero, lontano dai giudizi della critica militante; di quella prezzolata, di quella fuorviante del parlar forbito, di quella autoreferenziale capace solo di dire a se stessa; lontano dagli snob e dai dandy del settore, ben al di là della noia, della vita mondana della gente per bene; oltre le pesantezze della retorica, che – da tempo, purtroppo – hanno complicato e intasato, il campo dell’arte.
Sappiamo bene, che «la grande arte è fuori dal tempo », così come, qualche anno fa ci ha confessato il maestro Cileno di adozione Italiana, in quel di Cerveteri: « Sebastian Matta ».
La critique est aisée, et l’art est difficile. É un proverbio di più di quattrocento anni addietro: « La critica è facile e l’arte è difficile » (1), «La vera arte non ha bisogno di proclami e si compie in silenzio». (2) La premessa nasce, al cospetto delle opere, che Cinzia Di Puppo porta in esposizione a Roma presso la Galleria dei Miracoli al Corso.
Una mostra di lunga gestazione, preparata da tempo nell’animo dell’artista, frutto di anni di lavoro, che sono stati esigenza ed espressione di quell’inquietudine che appartiene alla sua psiche.
La sua tematica – apparentemente semplice – sta in quel suo cercare che lambisce la «complessità », in tutte le facce che la natura mostra e, nella «semplicità» di ogni piccola cosa. Cinzia Di Puppo ha occhi speciali, capaci di vedere oltre le apparenze, occhi chiari e profondi, che percepiscono il mondo e, che le permettono di concentrare la sua visione su ogni impercettibile «segno»; lo scenario che ne vien fuori e sempre caldo, suggestivo e pregnante.
Un racconto ricco, una narrazione piacevole, tutto tratto dallo «scrigno dell’anima», intenso, cogente, che riesce a coinvolgere e a stimolare ogni intelletto.
Stalin ebbe a dire che: « gli scrittori sono ingegneri dell’anima », ma noi sappiamo che è il pittore che «conduce le opere sue con maggior fatica di mente… sono i «pittori che dimandano lume ed ombra» (4). Sono sempre i pittori che, attraverso la loro opera, ispirano i sogni e mettono ali alla mente dell’uomo.
In fondo «ciascuno di noi è un artista, perché ciascuno di noi sogna ». Come sostiene Borges: «Ogni notte, quando ci ritiriamo dal mondo concreto, chiudendo gli occhi, dentro di noi si spalancano le porte di una vera e propria pinacoteca, dove ogni singola immagine, ogni singolo quadro, diviene parte integrante della nostra personalità ».
É un modo alternativo di vederci, di conoscerci e di riscoprire meglio noi stessi, certamente meglio e più a fondo.
Ecco allora l’artista che ci mostra la vita, i momenti intensi e «vivi»; a narrarne le storie è una talentuosa pittrice, capace, completa, di formazione accademica tenace e robusta. Dalle sue mani e dal suo pathos, prende corpo il suo esistere al mondo, la passione per ogni cosa amata, per questo, la sua arte è una vera «Ode all’amore»; forte, bella, dolce, sempre armoniosa; una vera overture è la narrazione di quella sua passione amata, pura, unica e rara.
Passione, tormento, vita è tutto il tempo fugace, Cinzia Di Puppo è «Amante e compagna», un amore vero, come mai amato ancora. (rs)
- Le Glorieux, opera di Philippe Néricault Destouches, commediografo francese vissuto tra il 1680 e il 1754.
- Marcel Proust
- Libro di Pittura di Leonardo Da Vinci.
Rosario Sprovieri – Critico d’arte