L’ultimo ballo di Anora. Ovvero, la favola amara della Cenerentola spogliarellista di Sean Baker

Pellicola vincitrice della Palma d'oro a Cannes 77, è l'ultimo tassello del percorso filmico e, a suo modo, politico del regista. Un cinema fatto per “raccontare storie umane e rimuovere lo stigma applicato al lavoro sessuale”

Una scena di Anora, Palma d'oro a Cannes 2024

“Sei come Cenerentola!”. È una collega dello strip club di Manhattan dove lavora ad apostrofare così Ani, la protagonista di Anora, il nuovo film di Sean Baker e Palma d’oro a Cannes 77. Solo che Ani, una strepitosa Mikey Madison, non indossa un soffice abito lungo, ma vestiti corti e aderenti; non ha un’acconciatura raccolta, ma lunghi capelli neri con dei sottili filamenti fucsia; non calza scarpette di cristallo, ma tacchi glitterati. È una spogliarellista di Brighton Beach, Brooklyn, che passe le sue notti a ballare per maschi di qualsiasi età per poi, le mattine successive, infilarsi sotto il piumone della casa che condivide con la sorella e il genero.

Anche se non c’è nulla di triste nel modo in cui Sean Baker la filma. Anzi, fin dal primo secondo in cui fa il suo ingresso sullo schermo Ani, diminutivo di Anora preferito al suo vero nome che tradisce una provenienza lontana, è un’esplosione di bellezza, leggerezza, euforia.

Non c’è nulla di volgare, scabroso o squallido nel modo in cui la macchina da presa – e quindi i nostri occhi – la osservano. Ani è una professionista, una lavoratrice che sa come sfilare dollari dai portafogli di uomini illusi ed eccitati. Il suo mezzo è il suo corpo. Ed è sempre lei a decidere.

Una scena di Anora, Palma d'oro a Cannes 2024

Una scena di Anora, Palma d’oro a Cannes 2024

 

Nel suo discorso di accettazione a Cannes a chi gli domandava perché nei suoi film le sex workers e tutto ciò che gravita loro attorno fossero un tema centrale del suo lavoro, Baker ha risposto che vuole “raccontare storie umane e rimuovere lo stigma applicato al lavoro sessuale”. Anora è l’ultimo tassello in ordine di tempo di questo percorso filmico e, a suo modo, politico iniziato con Starlet e Tangerine e proseguito con Un sogno chiamato Florida e Red Rocket. Personaggi ai bordi, eccessivi, disperati anche, ma mai compatiti. Raccontati con amore, rispetto e tenerezza da un regista che li vede in tutta la loro sghemba bellezza e ci invita a fare lo stesso.

Sean Baker dà loro quel valore umano che la società non ritiene di dover rendere ad una prostituta transgender o a una ballerina erotica, a un ex star del cinema porno o a una spogliarellista di origini russe.

A Vegas con l’oligarca

Scritto, diretto e montato da Baker, Anora racconta dell’incontro tra la protagonista e un giovane e ricco ragazzo russo, Vanya (Mark Eydelshteyn). Lei è l’unica nel club a parlare la sua lingua e quell’incontro con il figlio di un oligarca che le propone di trascorrere una settimana insieme profumatamente retribuita le sembra l’equivalente del biglietto d’oro trovato nella tavoletta di cioccolata di Willy Wonka. Complice un viaggio a Las Vegas i due si sposano.

Ani lascia dietro di sé il palo da lap dance e trascorre le sue giornate nella villa del neo marito a cui insegna a fare sesso tra una partita di Call of Duty e l’altra. Ma la notizia del matrimonio arriva fino in Russia. Mentre i genitori di Vanya salgono sul loro jet privato danno incarico al prete armeno Toros (Karren Karagulian) di far annullare il matrimonio.

Per farlo, l’uomo si fa aiutare dal corpulento Garnick (Vache Tovmasyan) e dal silenzioso Igor (Yura Borisov) che si innamora di Ani al primo sguardo ed è l’unico che ha premura nei suoi confronti. Il risultato è la fuga di Vanya che lascia la fresca sposina nelle mani dei tre dopo una tragicomica sequenza di lotta in cui la protagonista sferra calci, pugni, morsi e sputi. Parte così una caccia all’uomo con ostaggio tra Manhattan, Brooklyn e Coney Island.

E l’inizio della fine della fiaba per la protagonista che sognava una luna di miele a Disneyland e si ritrova, invece, su un SUV Cadillac che puzza di vomito. Un po’ commedia romantica alla ketamina, un po’ omaggio ai classici screwball hollywoodiani con qualche citazione a Pretty Woman, Anora è la storia di una Cenerentola che tenta con tutte le sue forze di tenere a sé la scarpetta di cristallo sotto forma di anello da quattro carati.

Comprare la dignità

Il simbolo dell’“amore” tra lei e Vanya, ma soprattutto linea di demarcazione tra la vita di prima e un futuro diverso, lontano dalle luci soffuse del locale in cui si muove sinuosa per il piacere maschile. Nell’ultima parte Anora cambia ritmo e registro con Ani umiliata dai ricchi genitori di Vanya che il lei vedono solo una puttana che ha cercato di raggirare il figlio. Cosa in parte vera. Perché in quel ragazzino senza freni, la ragazza ha visto una via d’uscita. Così come lui in lei ha visto la possibilità di ottenere la cittadinanza americana e far incazzare i suoi genitori. Ma in quell’umiliazione Sean Baker ci parla del sistema di classe, lo stesso che cerca di non far entrare in contatto l’“alto” con il “basso”. Una prova di forza, anche economica, della coppia russa convinta che con i soldi possano comprare tutto. Anche la dignità di una ragazza.

Una scena di Anora, Palma d'oro a Cannes 2024

Una scena di Anora, Palma d’oro a Cannes 2024

 

È una presa di consapevolezza cocente per Ani che dalla lussuosa villa di Brighton Beach deve tornare in periferia, accompagnata da Igor, con valige e sogni infranti al seguito. Niente “e vissero felici e contenti”, nessuno lieto fine. La mezzanotte è suonata e Cenerentola deve fare ritorno a casa. Ma il russo silenzioso ha un regalo per Ani. Lei, con l’unico linguaggio che conosce, decide di ringraziarlo offrendogli il suo corpo.

Quell’amplesso, però, si trasforma in altro. In una resa a cui finalmente abbandonarsi tra le lacrime e un abbraccio. Lo schermo si fa nero, restano solo i singhiozzi di Anora e il rumore dei tergicristalli. La principessa ha lasciato il posto ad una donna senza più maschere.

 

Manuela SantacatterinaGiornalista

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