Mario Caligiuri: vi racconto i Servizi segreti in un mondo fuori controllo. “Sono necessari soprattutto alle democrazie”. Il Mossad non è finito

Intervista a tutto campo a Mario Caligiuri, fondatore e presidente della Società italiana di Intelligence. Quanti luoghi comuni sui servizi segreti, il più falso di tutti è che siano capaci di tutto. Società dell’informazione, la nostra? Piuttosto sembra il contrario, società della disinformazione. Quella fulminante battuta sul Mossad. Oggi pubblichiamo la prima parte

Prima di passare all’intervista, una breve presentazione. Mario Caligiuri è professore ordinario di pedagogia all’Università della Calabria, dove – su sollecitazione del Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga – nel 2007 fondò un Master in “Intelligence”, che da anni continua a essere proposto con crescente successo avendo avuto e avendo tra i suoi docenti pezzi dello Stato e protagonisti di primo piano del mondo dei servizi di sicurezza.

È stato suo il primo programma di studi dedicato all’intelligence in un ateneo pubblico italiano, ma già in precedenza, nel 1999, Mario Caligiuri, nato in Calabria il 28 settembre 1960, a Soveria Mannelli, in provincia di Catanzaro,  era stato tra i primi in Italia a introdurre lo studio dell’intelligence nelle aule Universitarie, partendo da un ambito molto specifico che era quello dell’insegnamento di “Teoria e tecniche della comunicazione pubblica”.

Nel 2008 fonda il Laboratorio scientifico sull’Intelligence. Nel 2009 promuove una collana editoriale sull’intelligence insieme a un editore visionario come è sempre stato Florindo Rubbettino. Nel 2018 contribuisce ad attivare il corso di laurea magistrale in intelligence e analisi del rischio, anche questo “primo esperimento in Italia”.

Nel 2018 fonda insieme ai colleghi Alberto Ventura e Domenico Talia la Società Italiana di Intelligence, che si prefigge di fare diventare l’intelligence materia di studio nelle università del nostro Paese. Ma ancora, lo stesso Mario Caligiuri oggi insegna nelle Alte Scuole della Repubblica e tiene corsi di aggiornamento, seminari e presentazioni di libri in oltre cinquanta atenei diversi.

Come faccia a farlo è subito spiegato: per scelta è rimasto single, e dopo la morte della amatissima madre non ha più un motivo preciso per tornare di sera a casa a Soveria.

Caligiuri è autore di numerosi libri dedicati all’intelligence. Ha scritto la voce “Intelligence” nella X Appendice della “Enciclopedia Italiana”, edita dall’Istituto Treccani, proprio perché considerato uno dei massimi conoscitori accademici di questo settore.

Incontrarlo di persona è quasi impossibile, sempre in giro per l’Italia e l’Europa, dove si divide tra decine di convegni e congressi diversi, ma questa – riconosce lui- è la sorte di chi alla fine viene considerato un antesignano della materia.

Noi lo abbiamo cercato, e alla fine siamo riusciti a incontrarlo.

 

 

Professore, ci aiuta a spiegare ai nostri lettori il mondo dell’intelligence?

Vede, l’Intelligence è una materia complessa, all’interno della quale non convergono solo la storia, la sociologia, la psicologia, ma anche la statistica, la giurisprudenza, l’economia, le relazioni internazionali, oltre che le scienze politiche, dell’informazione, dell’educazione e dell’organizzazione e via dicendo. Fenomeni come il confronto tra intelligenza umana e artificiale, l’ampliamento del disagio sociale, la disinformazione, l’ampliamento del concetto di sicurezza, lo sviluppo tecnologico, la necessità della previsione e le trasformazioni del potere, le emergenze planetarie del terrorismo, della criminalità e del clima rendono l’intelligence più fondamentale che mai.

L’intelligence, dunque, diventa un metodo (probabilmente tra i pochi, se non, per alcuni aspetti, l’unico) di raccolta e gestione delle informazioni, uno strumento fondamentale per fornire elementi utili per assumere decisioni non solo dagli Stati e dalle imprese ma da ogni singola persona. Appunto per questo ritengo la conoscenza dell’intelligence una “necessità sociale”.

Si può dire che l’Intelligence può quindi rappresentare nel XXI secolo un punto d’incontro delle scienze umane?

Dirlo o riconoscerlo è una provocazione, un’ambizione, un’intenzione, perché l’intelligence, essendo basata sulla conoscenza e interessando la vita delle persone, delle aziende e delle istituzioni, deve sviluppare la capacità di comprendere le informazioni che rappresentano la radice della consapevolezza individuale e il presupposto della democrazia reale. Può, quindi, rappresentare un’area di studio che, se opportunamente calibrata, potrebbe essere destinata ad essere sempre più importante e significativa.

Ma ha ancora un senso parlare di servizi segreti, in una società prepotentemente dominata e governata da internet?

Le dico cosa penso. Quella che oggi viene da più parti definita come società dell’informazione sembra in realtà la sua antitesi: la società della disinformazione, dove la realtà sta da una parte e la percezione pubblica della realtà esattamente dall’altra. il paradosso si completa considerando che, ripetendo Ulrich Beck, “la fonte di pericolo non è più l’ignoranza ma la conoscenza”.

Non capisco professore…

Secondo alcune interpretazioni, oggi viviamo nella “seconda modernità” dove non ci sono più riferimenti stabili, e in cui “le istituzioni politiche diventano amministratrici di uno sviluppo che non hanno pianificato, che non sono in grado di strutturare, ma che nondimeno, devono in qualche modo giustificare”. Per i cittadini e per le imprese, come per le istituzioni, diventa quindi essenziale saper interpretare la comunicazione. Ma se da un lato si moltiplicano le possibilità di accesso alla rete, dall’altro sembrano non esserci argini in grado di contenere l’alluvione di informazioni che quotidianamente ci travolge.

Come se ne esce?

Il problema si sposta. Non si può più affermare di non avere informazioni, come avveniva fino al recente passato, al contrario, bisogna selezionarle velocemente e con grande attenzione, poiché sono spesso volutamente sbagliate e fuorvianti. Chi riesce a evitare i messaggi inutili e a selezionare tempestivamente le informazioni rilevanti ha la possibilità di evitare manipolazioni commerciali ed elettorali, scegliendo razionalmente, informandosi efficacemente, elaborando un pensiero critico. E in questo le agenzie educative sono fondamentali. Ma non basta soltanto reperire le informazioni: occorre soprattutto sapere come utilizzarle e in modo nuovo. Non a caso, Zygmunt Baumann individua la possibile chiave del successo, nella società in cui viviamo, nella ridefinizione della conoscenza tradizionale.

Professore, partiamo dalla sua creatura: a chi si rivolge oggi la Società di Intelligence da lei fondata?

In quanto società scientifica, la SOCINT si rivolge prevalentemente alla comunità accademica e ai ricercatori di varie discipline per dare dignità scientifica all’intelligence in Italia. E questo non solo per ampliare in modo interdisciplinare un interessante e innovativo filone di studi ma anche per fare fronte alla necessità sociale di individuare le informazioni rilevanti nell’oceano delle informazioni inutili per garantire il benessere e la sicurezza nazionali.

Lei non è solo in questa sua nuova avventura. Chi fa parte della Società Italiana di Intelligence?

Il vicepresidente è Domenico Talia, un professore ordinario di sistemi di elaborazione delle informazioni presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università della Calabria e Presidente del Centro ICT del Campus di Arcavacata, ed è considerato uno degli scienziati italiani più citati nella sua disciplina a livello internazionale. Nel comitato direttivo c’è anche Gianluca Foresti, che è professore ordinario di Informatica presso l’Università di Udine dove insegna Cybersecurity e Computer Vision. È attualmente direttore del Master di I e II livello in Intelligence e ICT e Presidente dell’Associazione italiana per la Ricerca in Computer Vision, Pattern recognition e machine Learning (CVPL).

É vero che ha anche un qualificatissimo Comitato Scientifico?

Non poteva essere altrimenti, mi creda. Del Comitato scientifico fanno parte rettori emeriti come Alberto De Toni e Antonio Uricchio, professori universitari come Paolo Boccardelli e Michele Colajanni, decani degli studi sull’intelligence come Paolo Savona, Umberto Gori e Carlo Jean, direttori di master e corsi di perfezionamento come Luciano Bozzo e Marco Mayer, funzionari dello Stato come Marco Valentini, giornalisti come Lucio Caracciolo, manager come Paolo Messa e responsabili della sicurezza aziendale come Alfio Rapisarda ed Enrico Pirastru, insieme a tanti altri.

 

 

Nel corso degli anni avete anche dato vita anche ad una Commissione di Studio su “Geospatial Intelligence” (GeoInt). Di cosa si tratta Professore?

La commissione si occupa di studiare due temi. Le applicazioni delle capacità dei satelliti per osservazione della terra, in particolare di quelli radar nel campo dell’intelligence. Il nostro Paese possiede un’industria leader nella realizzazione di tali sistemi, abbiamo una buona letteratura scientifica che si occupa del funzionamento di questi sensori, ma non molto è stato scritto sulla loro applicazione nel campo dell’intelligence, che poi sarebbe uno dei motivi principali che ha portato alla loro realizzazione. E poi dello studio di una nuova disciplina dell’intelligence la geospatial intelligence (GEOINT), che sta diventando sempre più presente nella attività di tutte le comunità intelligence del mondo. L’idea è nata negli Stati Uniti nel 2003, il nostro Paese contempla tale disciplina, ma alcuni impedimenti renderebbero necessario uno sviluppo concettuale che possa declinare questa attività nell’ambito nazionale. Non è semplice spiegarlo ai profani. Ne è presidente il brillante Francesco Mercuri.

Cos’è invece il Laboratorio che chiamate “Gamification e Intelligence”?

È un Laboratorio che si propone di creare simulazioni di gioco a tema intelligence, con i seguenti obiettivi: integrare la didattica degli studi strategici, delle relazioni internazionali e dell’intelligence mediante appositi strumenti creati allo scopo. Tali strumenti vengono perfezionati nel corso del tempo, anche in un’ottica multidisciplinare, col contributo degli specialisti e dei giocatori più esperti. E poi anche, altro obiettivo, è quello di avvicinare l’utenza non specialistica a concetti fondamentali dell’intelligence, utilizzando un approccio pratico in cui il giocatore apprende by doing, ossia interagendo con altri giocatori ed operando delle scelte direttamente all’interno della simulazione. A guidarlo, come presidente, è il giovane ricercatore Stefano Musco.

Professore, mi spiega per bene quanto conta oggi l’intelligence in un Paese come il nostro?

L’intelligence è fondamentale per ogni Stato ma in particolare per uno come il nostro che è al centro del Mediterraneo, un mare di scontri e di mutamenti, di immigrazioni e di scambi. L’Italia è una indiscussa potenza culturale, una delle dieci economie industriali più importanti del pianeta. Non siamo affatto un Paese secondario, anche se spesso nella storia ci siamo comportati come se lo fossimo. La tutela dell’interesse nazionale è fondamentale più che mai, tenendo conto che, oltre ai temi ineludibili del contrasto al terrorismo, alla criminalità e alle azioni ostili di Stati esteri e di multinazionali – per cui diventa decisiva la guerra normativa collegata con quella economica – dovremmo prestare sempre maggiore attenzione al disagio sociale, che può compromettere la stabilità delle istituzioni democratiche; al confronto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale che sta modificando alla radice l’ordine mondiale; alla disinformazione che è una componente sempre più determinante nella lotta per il potere, dove l’obbiettivo finale è la conquista della mente delle persone che è il campo di battaglia definitivo.

 

 

 

Guardiamo a quello che è successo in Israele in queste settimane. Lei crede davvero che per i servizi di sicurezza israeliani sia stata una sonora sconfitta?

É troppo facile assegnare ai servizi segreti israeliani il ruolo del capro espiatorio per spiegare l’impreparazione di fronte all’attacco di Hamas.

Lei crede insomma che i servizi israeliani siano ancora i migliori del mondo

Attenzione: quello che è accaduto in Israele e che oggi è sotto gli occhi di tutti non vuol dire che l’intelligence israeliana sia composta da sprovveduti. Chissà quanti attentati nel corso degli anni avrà sventato e dei quali non sappiamo nulla, proprio in ragione delle modalità operative con cui operano i Servizi.

Come opera oggi il servizio di intelligenze israeliano sul territorio nazionale?

Con due strumenti fondamentali: le attività di infiltrazione e di raccolta di informazioni, in questo caso all’interno di Hamas. E poi con attività di intercettazione a livello tecnologico. Oggi, com’è noto, è possibile ascoltare conversazioni che hanno luogo all’interno di una casa anche senza dispositivi elettronici.

A Tel Aviv ancora cercano un ago nel pagliaio…

Ritengo sia andata come con l’11 settembre negli Usa. Le informazioni, magari, c’erano tutte, ma nessuno le aveva ancora processate. È il problema della dismisura delle informazioni. Di sicuro studieremo per anni quello che è successo il 7 ottobre 2023.

Informazioni non processate vuol dire disattenzione da parte della politica, non crede professore?

Certamente le ultime vicende politiche israeliane, con grandi polemiche sulla riforma della giustizia e con elezioni continue, possono aver distratto gli uomini politici che devono indirizzare l’attività di intelligence. Diciamo che la politica israeliana, in questo momento, non sembra del tutto all’altezza delle funzioni delicate che ha sempre svolto dalla nascita dello Stato di Israele. Penso soprattutto all’esercito. Ricordiamoci che il Mossad, il più noto tra i servizi segreti d’Israele, opera all’estero. All’interno del Paese opera prevalentemente lo Shin Bet, che fa capo all’esercito.

Non può essere stato un attacco isolato di soli terroristi, professore?

Gli stessi capi di Hamas hanno indicato l’Iran come il Paese che ha fornito il suo aiuto nel finanziamento e nella pianificazione di questa azione. C’è ovviamente anche la possibilità che altri servizi di intelligence abbiano concorso. Aver lanciato l’offensiva a 50 anni dalla guerra dello Yom Kippur, che colse a sua volta di sorpresa i servizi di intelligence israeliani, ha un significato simbolico profondo. E fa pensare anche a un’altra cosa. E cioè che questo attentato sia stato pianificato per anni. Che ci sia stato uno studio molto meticoloso delle falle del sistema difensivo israeliano. E che Hamas sia arrivata a conoscerle meglio dello stesso apparato di sicurezza israeliano.

Quanto dovremo aspettare per la fine del conflitto?

Non è facile dirlo o darlo per scontato, ma secondo me, la risposta di Israele sarà uguale e contraria come dopo l’attentato a Monaco nel 1972. Penso che Israele si adopererà per eliminare tutti i responsabili di questo attacco. Penso che la risposta sarà pari al livello della minaccia.

Avrà visto le immagini di queste ore: a chi conviene questo innalzamento della tensione?

Certamente, a chi non vuole l’accordo tra Israele e Arabia Saudita, anche se non sono così convinto che non andrà in porto. L’Arabia ormai considera i regimi sciiti più pericolosi di Israele.

E Israele cosa deve temere, ancora?

Deve temere la tenuta del sistema politico nazionale. L’intelligence dipende dal vertice politico: se il ceto politico è impegnato in risse continue, con alleanze del tutto incompatibili, è chiaro che sarà vulnerabile a nuovi attacchi.

Torniamo in Italia. Quante bugie si raccontano oggi sulla nostra intelligence?

Sull’intelligence circolano tanti luoghi comuni, alcuni dei quali veri. Sono però molti di più quelli falsi. E il più falso di tutti è che i Servizi siano capaci di tutto.

Ma hanno ancora un senso in una società dominata dai social e dalla violazione continua della privacy?

La sola certezza che ho maturato in tutti questi anni di studio è che i Servizi sono necessari soprattutto nelle democrazie. E se anche, a volte, agiscono e parlano “sub rosa” per assicurare la necessaria riservatezza; se anche, a volte, si impegnano seguendo le parole evangeliche di Matteo di rivelare o meglio individuare “le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo” – che sono poi quelle davanti agli occhi di tutti, che sono poi dei lampanti arcani – i Servizi non sono onniscienti.

Cosa intende dire quando spiega ai suoi studenti che la stella polare delle istituzioni è l’interesse nazionale.

Che l’intelligence serve per illuminare le decisioni pubbliche, necessarie al benessere attuale e futuro dei cittadini italiani.

So che lei ama le battute ironiche, me ne dà una sul mondo dell’intelligence?

Nessuno meglio dell’indiscusso maestro della spy story, John le Carré, è riuscito a spiegarlo in un fulminante dialogo nel romanzo “Il giardiniere tenace”. Tessa Quayle, che è il protagonista del libro, giovanissima moglie di un diplomatico britannico, aveva scoperto i traffici criminali di aziende che sperimentano farmaci in Africa. Tessa si rivolge a Tim Donohue, capo dell’intelligence di Sua Maestà in Kenya: «Tim, credevo che le tue spie sapessero tutto». «Tessa, solo Dio sa tutto, ma lui lavora per il Mossad».

-La sua sembra quasi una campagna di promozione dei servizi segreti…

Ampliare la cultura dell’intelligence, insieme a quella della sicurezza informatica – così come sta predisponendo Bruno Frattasi, direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, un’indubbia occasione di innovazione per il Paese – diventa una necessità. Ampliare la cultura dell’intelligence significa davvero “voler bene all’Italia”. Perché significa avvicinarsi alla sempre difficile comprensione della realtà. ( prima parte)

 

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