In arrivo le novità tecnologiche
La fatica era di controllare l’informazione corrente, con tutti quei pericoli da destra e da sinistra, e insieme preoccuparci del necessario aggiornamento e rafforzamento dell’agenzia, specie con le novità che sul piano tecnico stavano arrivando nella campo delle comunicazioni.
Da anni, per esempio, mi ero domandato come può operare bene una rappresentanza diplomatica all’estero se non è informata sollecitamente di quello che accade nel paese, governo e società. Le ambasciate italiane ricevevano ogni giorno dal ministero degli esteri un breve notiziario, il cosiddetto “telespresso”; solo notizie burocratiche; poi aspettavano i quotidiani più importanti, inviati per posta aerea. A Parigi, a Londra e a Bonn, le ambasciate più vicine, i giornali arrivavano il giorno dopo. I giornali radio della Rai solo in Europa e non sempre erano ricevuti bene.
Il primo accordo con la Farnesina fu di far ricevere dalle ambasciate il notiziario in inglese o quello in francese che l’Ansa trasmetteva in radiotelescrivente in tutto il mondo. Non era granché e la ricezione era spesso disturbata. Qualche anno dopo trasmettevamo il notiziario “4a rete” in una speciale versione chiamata “notiziario italiano per l’estero”; ed arrivava a in una cinquantina di città di tutti i continenti. Il sistema elettronico, finalmente entrato in funzione nell’ottobre dei 1980, permise che le stessa notizie ricevute dai giornali italiani arrivassero simultaneamente in tutto il mondo, anche ad Amburgo e a Sydney, a Pechino e a Città del Messico, a Mosca e a Singapore, a Helsinki e a San Francisco.
Oltre alla ambasciate, ai consolati generali e agli istituti di cultura l’Ansa aveva trovato altri abbonati: rappresentanze di enti italiani pubblici e privati (banche, ICE, FIAT, Alitalia ecc.), giornali in lingua italiana (come in Canada), il governo australiano (per i notiziari radiofonici e televisivi destinati alle comunità italiane), organi internazionali (a Strasburgo, Bruxelles, Lussemburgo).
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Il rapporto dell’agenzia con lo Stato tendeva così ad essere diverso da quello del passato
Lo Stato non era più il committente o l’unico cliente dei servizi dell’agenzia per sopperire alle esigenze di informazione delle sue strutture centrali e periferiche, in Italia e all’estero; era soltanto uno dei suoi clienti, e con costi proporzionati. Fu così che, a metà del 1981, in vista della scadenza novennale della convenzione in atto per i servizi esteri, l’Ansa poté presentare al ministero degli esteri, per il rinnovo, un piano il cui senso era questo: vi vengono assicurate prestazioni accresciute e migliorate, ma non chiediamo, per questo, un soldo di più. Era da vent’anni che aspettavo questo momento.
Un altro bel momento, anzi altri bei momenti, e questi tutti nostri, vennero con l’arrivo del digitale. Era da anni che mi arrovellavo per il controllo rapido, l’arricchimento, il completamento dell’informazione corrente con l’informazione passata. C’era da sempre un archivio delle pagine ciclostilate del notiziario, sugli scaffali e tanta polvere sopra; poi, anni dopo, le stesse notizie in microfilm; si girava una manovella e si vedeva la notizia; ma per avere quella che si voleva, bisognava conoscerne la data. Non era possibile trovarla chiedendola con qualche parola chiave?
Nasce il Dea, il gigantesco archivio elettronico dell’Ansa
Andammo all’Ibm all’Eur. La domanda li sconcertò. Non ci avevano pensato. Ma dopo appena una settimana – bravissimi – ci portarono il progetto. Sarebbe nato il Dea. Documentazione elettronica Ansa. l’archivio elettronico con tutte le notizie dell’agenzia e la possibilità di ritrovarle immediatamente: indicando la data oppure con una parola chiave, una parola attinente al loro contenuto. Era il primo archivio elettronico di agenzia; il secondo nel mondo dopo quello di un giornale, il “New York Times”.
Vennero a vederlo, per copiarlo, un dirigente dell’agenzia giapponese Kyoto, anche uno dell’agenzia francese Afp. Oltretutto era un archivio utile a tutti, organi di informazione e qualsiasi altro organo interessato alla ricerca di informazioni passate; anche i ministeri e gli organi di polizia. Quindi un archivio di cui vendere l’uso.
Con l’adozione dell’elettronica – era nato Internet – un primato fu conquistato dall’Ansa. nel 1988, anche col suo “Ansaservice”, uno speciale notiziario destinato a quell’utenza non interessata a un collegamento permanente ma bisognosa, occasionalmente e saltuariamente, di questa o quella informazione, della giornata o dei giorni precedenti, ottenibile con un pc. Una formula che fu poi ripresa da tutte le grandi agenzie di informazione. Anticipava uno dei tanti sistemi di informazione di oggi. Oggi tutte queste che allora erano belle novità sono diventate cose ovvie e di uso comune. Ma allora. no. E ci si lasci il piacere di essere stati fra i primi a cogliere al volo quello che offrivano le nuove tecnologie elettroniche.
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Fummo i primi; eravamo i primi. Non ci accorgemmo, all’inizio, che rischiavamo di essere gli ultimi
Con quella che negli anni Sessanta fu chiamata “l’esplosione delle informazioni” (e il passaggio- si disse anche da una “società del villaggio” a una “società planetaria”) le agenzie avevano conquistato facilmente, in un sistema dei media in evoluzione, la loro assoluta insostituibilità.
Soltanto le agenzie di stampa – con la loro organizzazione nazionale e internazionale, con i loro collegamenti con le fonti istituzionali e con altre agenzie e soprattutto con l’adozione di tutti i nuovi mezzi offerti dal progresso tecnologico – erano in condizione di assicurare un’informazione immediata. Cioè non vincolata a tempi e orari, e poi anche un’informazione diretta. In ufficio o in casa. Senza limiti di distanza, di tempo o di luogo; anche un’informazione selezionabile, cioè codificata e quindi recuperabile secondo le esigenze del fruitore; e, infine, anche un’informazione memorizzata. in modo da controllare, verificare, arricchire l’informazione corrente con l’informazione pregressa.
Il passaggio dall’analogico al digitale, la miniaturizzazione delle apparecchiature (quindi i telefonini e i videotelefonini, le macchine fotografiche e le cineprese digitali) e i satelliti artificiali stavano facendo il resto. Soltanto le agenzie potevano garantire sia un’informazione globalizzata. Cioè trasmissibile e ricevibile con i mezzi più diversi e dovunque; sia un’informazione multimediale, cioè servendosi non solo della parola scritta. Ma anche della parola detta, dell’immagine fissa e dell’immagine in movimento; sia un’informazione ipertestuale, cioè dando modo, automaticamente e immediatamente, di arricchire un testo con altri testi; sia un’informazione personalizzata. Cioè “a misura” del fruitore.
Fu un trionfo di breve durata. Non ci eravamo accorti che cosa significava Internet
Se il giornalismo è mediazione tra la fonte e il destinatario dell’informazione (e le agenzie sono, a monte dei giornali, il principale organo di mediazione), questa grande rete planetaria rendeva possibile al fruitore l’accesso diretto alle fonti di informazione. I grandi motori di ricerca completavano il giuoco: migliaia, milioni di informazioni nel giro di qualche secondo. Internet rischiava di uccidere non soltanto le agenzie di informazione ma tutto il giornalismo.
Con Internet, poi, erano arrivati i blogger. Era nato il “citizen journalism”. Tutti potevano essere giornalisti, tutti potevano produrre informazione, dare notizie, scritte, parlate, per immagini, senza bisogno di sedi, redazioni, direttori e redattori capo. Bastava avere un pc (anche un telefonino o un videotelefonino) e entrare in rete.
Poi la televisione. Con le guerre e i disastri naturali, tsunami e terremoti, era esplosa l’informazione televisiva. col sussidio dei satelliti artificiali. Tra l’evento e il fruitore dell’evento, anche a migliaia di chilometri di stanza, non c’era più diversità di spazio né di tempo. Nella notte fra il 18 e il 19 gennaio del 1991 (la cosiddetta “guerra del Golfo” era cominciata da 24 ore) la Cnn ci fece vedere sul televisore di casa le tracce luminose di quelli che affermò essere dei missili iracheni che stavano cadendo su Tel Aviv. Accidenti, dicemmo; da oggi potremo vedere la guerra in diretta; altro che agenzie. Le agenzie dettero infatti la notizia alcuni secondi più tardi: un’eternità, rispetto a un’informazione simultanea (in “tempo reale”, come si dice) e per di più affidata all’immagine, che è tanto più coinvolgente di una parola detta o scritta.
Fu un colpo duro per le agenzie. A causa di Internet avevano perso la loro esclusività di unici strumenti dell’informazione di base. Con la televisione e i satelliti ora stavano perdendo un altro privilegio, quello di arrivare prima di ogni altro organo di informazione.
Riepiloghiamo, allora. Bello, Internet. Con Internet è facile e rapido accedere direttamente alle fonti senza filtri intermedi. Ma chi ci garantisce l’attendibilità di quelle fonti? Anche le fonti autorevoli, che si presentano con un autorevole biglietto da visita, ci danno quello che ritengono di farci conoscere, non tutto; e nel migliore dei casi hanno un codice, e la loro informazione deve essere perciò decodificata per diventare un’informazione sicura.
Poi ci sono le notizie false o manipolate che certe fonti producono non per far conoscere la realtà ma per modificarla. Poi i blogger. Che certezza abbiamo della attendibilità dei blogger?
I blogger non sono stati a scuola di giornalismo, non ne conoscono le responsabilità, ignorano la deontologia professionale, non hanno, a differenza dei giornalisti, la convalida o la condanna del loro pubblico. E chi ci assicura che il blogger che stiamo leggendo non sia un millantatore o un mitomane? E così quelli che scrivono su Twitter o su Facebook; ci scrive chiunque, non solo il papa e Barack Obama. E così la televisione; i missili che la Cnn ci aveva fatto vedere a Tel Aviv non erano missili, come si venne poi a sapere, ma soltanto razzi luminosi. Ancora una volta l’immagine si era dimostrata bugiarda più della parola.
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Ecco allora dove si giuoca la grande sfida del giornalismo in genere e del giornalismo d’agenzia in particolare
Se l’informazione è sempre più indispensabile come strumento di conoscenza e come strumento di lavoro, l’informazione deve essere corretta e quanto più possibile esatta. La sopravvivenza delle agenzie di informazione, cioè la necessità di ricorrere ad esse come sicuri organi di base, dipende quindi dalla misura in cui la loro mediazione significhi non soltanto gestione delle informazioni che circolano fuori dalla Rete e dentro la Rete, ma anche verifica e controllo di quelle informazioni. Una mediazione che sia soprattutto mediazione di verità; e se la parola “verità” fa un po’ paura, diciamo: una mediazione di qualità.
Come mi piacerebbe, nonostante il miei 93 anni (Lepri, nato nel 1919 e morto nel 2022, scriveva questi fogli nel settembre 2012, NdR), dirigere anche oggi un’agenzia di informazione. Il primo giugno dello scorso anno, alla festa della Repubblica al Quirinale, rispondendo al mio saluto il presidente Napolitano mi chiese: “Pensa sempre alla sua creatura?”. La mia creatura? Grazie, presidente. Ma non soltanto mia; anche di chi mi ha aiutato a crearla. Pensarci? Sempre. Io continuo ogni giorno, mentalmente, a dirigere un’agenzia virtuale. Oggi – dico – facciamo questo; domani – dico – dobbiamo fare quest’altro. Ogni giorno ci penso.
(fine della quarta e ultima parte)
Mario Nanni – Direttore editoriale