Le ricerche di Ruotolo / Vasil Bilak, memorie di uno stalinista. Fu il “postino” della lettera a Breznev per l’intervento Urss a Praga

Dieci anni fa se ne andava l’ultimo dei duri, l’uomo che insieme ad altri cinque esponenti del PC cecoslovacco firmò nel 1968 la lettera che chiedeva all’ Urss il suo “fraterno aiuto”, l’intervento militare contro la Primavera di Praga ed il socialismo dal volto umano. Una pagina di storia politica europea per risvegliare il ricordo di come andavano le cose nel mondo del cosiddetto “socialismo reale”.

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Vasil Bilak era un esponente di primissimo piano del partito comunista cecoslovacco. Di impronta conservatrice, fu molto vicino ai sovietici; ebbe un ruolo importante specialmente nel periodo della normalizzazione, cioè la difficile fase storica e politica successiva all’ invasione della Cecoslovacchia (agosto 1968) compiuta da quattro paesi del Patto di Varsavia per reprimere le riforme della Primavera di Praga. Si tratta di un personaggio che nel suo paese resta fortemente controverso..

Ci basti dire che giusto dieci anni fa, subito dopo la sua morte, due partiti conservatori cechi come ODS e Top09 chiesero le dimissioni dalla vicepresidenza della Camera di Vojtech Filip, allora capo del Partito comunista ceco e moravo, per aver espresso il cordoglio per la sua scomparsa. Bilak, spentosi a Bratislava all’età di 96 anni, era l’ultimo alto dirigente del Partito comunista cecoslovacco fra quelli che firmarono la “lettera di invito”, consegnata di nascosto ai sovietici nel corso di un incontro nell’estate 1968, in cui si chiedeva senza mezzi termini il loro “fraterno aiuto” che si risolse nell’ intervento militare. Questa lettera, in pratica, fornì la giustificazione formale per l’invasione del paese da parte di Mosca e di alcuni satelliti del Patto di Varsavia quali Polonia, Bulgaria ed Ungheria..

Cominciamo dall’ inizio.

Vasil Bilak era nato nel 1917 in Rutenia, ora Slovacchia orientale. Veniva da Krajná Bystrá, un villaggio molto piccolo che conta circa 400 abitanti sito nel distretto di Svidnik. Era quindi un “russino” , vero uomo di confine appartenente ad una etnia ucraina la cui lingua si scrive sia con l’ alfabeto latino sia con il cirillico; sembra infatti che Bilak parlasse il ceco e lo slovacco con un certo accento straniero.

Sarto di professione, per motivi di lavoro si trasferì a Bratislava nel 1936 e lì la sua carriera politica ebbe inizio dopo il colpo di stato comunista del febbraio 1948.Bilak bruciò le tappe perché già nel 1954 – anni difficili, gli anni dei processi di Praga – entrò a far parte del comitato centrale del partito comunista slovacco, schierandosi fin da subito con l’ala conservatrice.

La sua è una storia personale e politica molto complessa, che va illustrata passo passo.

Husak e Bilak nella stagione dei processi. La condanna di Husak e i contrari alla sua riabilitazione.

Per comprendere il personaggio Bilak e le sue idee dobbiamo fare un passo indietro ed inquadrare il momento storico, illustrando il rapporto fatto di incroci e di coincidenze tra lui e Gustav Husak, un altro personaggio destinato a una brillante carriera. Husak, avvocato slovacco, fu anche lui un personaggio controverso ma di notevole spessore. Amico dell’ intellettuale slovacco Vladimir Clementis, collaborò alla sua rivista Dav e durante la guerra partecipò alla Resistenza .Nel 1943 firmò il patto di collaborazione tra socialdemocratici e comunisti che l’anno successivo portò alla vittoriosa sollevazione nazionale, con la cacciata dell’ invasore tedesco. Nell’ immediato dopoguerra, godendo di un certo seguito, divenne vicepresidente del Consiglio dei Commissari slovacchi e in questa sua veste, dopo il golpe di Praga del 25 febbraio 1948, operò per affermare il potere comunista anche a Bratislava dove, peraltro, le elezioni erano state vinte dai partiti democratici.

 

 

 

Husak in tal modo si conquistò un ruolo importantissimo nel governo slovacco, ma il suo trionfo fu effimero perché quasi subito – nel 1952 – iniziò la stagione dei processi di Praga, che come una macchina del terrore giudiziario colpì tutto il paese. Si trattava, in breve, di processi politici ispirati direttamente dalla dirigenza sovietica e volti alla eliminazione della classe dirigente nazionale, considerata troppo autonoma. L’accusa che veniva mossa agli imputati era di cospirazione in un complotto trotzkysta, titoista e sionista organizzato contro il partito comunista al potere.  La principale vittima fu il segretario generale Rudolf Slansky , ma tra gli altri venne processato e condannato a morte anche Vladimir Clementis, che come abbiamo detto era amico e mentore di Husak.

In questo periodo anche lo stesso Husak fu attaccato dal segretario del partito della Slovacchia, Karol Bacilek, un duro stalinista soprannominato il Beria cecoslovacco. L’ attacco non era solo politico ed Husak ebbe il suo processo farsa nel 1954, quello in cui venivano perseguiti i c.d. nazionalisti borghesi,  procedimento diverso da quello di Slansky) e nel quale fu il principale imputato. Il nostro arrivò in aula dopo settimane di duri interrogatori subiti nel castello di Kolodoje, ma pur essendo riuscito a ritrattare la falsa confessione che gli era stata imposta venne condannato prima a tre anni e poi all’ ergastolo da giudici ben istruiti.

Rinchiuso nella fortezza di Leopoldov, Husak tenne un contegno ideologicamente rigoroso, rifiutando ad esempio ogni rapporto con prigionieri politici di diversa estrazione tra cui due vescovi cattolici. A questo punto Husak ebbe una vera fortuna: la scomparsa di Stalin, che dopo il 1953 portò ad un certo rasserenamento del clima e permise la scarcerazione di alcuni detenuti politici. Egli stesso fu amnistiato nel maggio 1960 e venne scarcerato subito dopo, anche se tra gli ultimi. Il vento finalmente cambiava.

Dopo anni di ingiusta detenzione Husak iniziò a collaborare con la rivista di orientamento progressista Kulturni Zivot, trentamila copie settimanali, che usciva sotto l’auspicio di Aleksander Dubcek e che promosse una campagna politica per la riabilitazione di Clementis,  ormai considerato un ottimo slovacco anche dai cattolici. Quando l’ ormai libero Husak avanzò la richiesta di  essere riammesso nel partito comunista,  il nuovo segretario Antonin Novotny la respinse con decisione. A chi gli chiedeva di graziarlo, egli avrebbe risposto: “Voi non sapete cosa sarebbe capace di fare se prendesse il potere”. Novotny in questo rifiuto era sostenuto da altri esponenti del partito, uno dei quali ancora nel 1963 – 1964, cioè oltre dieci anni dopo la morte di Stalin, si opponeva alla riabilitazione politica del nostro mentre avrebbe accettato solo quella civile. Quello strenuo oppositore si chiamava Vasil Bilak .

 

 

 

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La primavera di Praga e Dubcek segretario. La politica di Bilak, la linea dura e i giri di valzer con i sovietici. Gli incontri e il momentaneo compromesso. L ‘invasione

Alla fine degli anni Sessanta la Cecoslovacchia stava cambiando e la vecchia classe dirigente stalinista, dopo la farsa dei processi politici e le successive riabilitazioni, era in grossa difficoltà. Il paese, che storicamente era stato il più industrializzato dell’ impero austro – ungarico,  cresceva pochissimo ed era in una situazione di stagnazione economica. Il leader in cui molti speravano era Aleksander Dubcek, segretario del PC cecoslovacco fin dal 1963 che aveva raccolto intorno a se’ un forte gruppo di innovatori schierati su posizioni antiautoritarie.

Dubcek e i suoi vedevano il segretario generale Antonin Novotny come un vecchio arnese del passato e al comitato centrale del 20 dicembre 1967 lo bersagliarono con un fuoco di fila di obiezioni e di attacchi, condivisi anche da alcuni esponenti conservatori. Tra i critici si distinse proprio lo slovacco Vasil Bilak, che aveva le stesse visioni politiche conservatrici ma puntava, tatticamente, ad un cambio della guardia. La posizione di Novotny, attaccato da due fronti contrapposti, era indifendibile.  Dopo una accesa discussione Dubcek – fino ad allora segretario del partito di Bratislava – venne eletto segretario generale del PC cecoslovacco. Era il 5 gennaio del 1968. Il nuovo segretario della Slovacchia fu proprio Vasil Bilak, fino ad allora il numero due di Dubcek .

Inizia così una fase politica molto contrastata e difficile

Il programma di riforme della Primavera, ispirato a principi di democratizzazione e di liberalizzazione economica, godeva di un forte consenso nella società civile, ma avrebbe incontrato fortissimi ostacoli. Il problema più grosso era la posizione sovietica, contraria alle innovazioni di sistema. Altra questione era la resistenza del gruppo dei conservatori capitanati da Alois Indra e da Bilak, molto vicini ai sovietici; il loro gruppo contava molto in un comitato centrale composto da 11 persone e con una maggioranza risicatissima.

Jiri Pelikan, “il demiurgo della telerivoluzione dubcekiana”

Una grossa novità di questo periodo fu il ruolo molto deciso dei mezzi di comunicazione nell’orientare l’opinione pubblica. Il direttore della tv di stato, Jiri Pelikan, lanciò un programma televisivo in cui veniva chiesta per strada l’opinione della gente comune su vari argomenti e questa fu una apertura senza precedenti, del tutto inedita nel mondo comunista. Pelikan  divenne per questo una delle bestie nere dei sovietici, che ne chiesero la sostituzione: era uno dei primi sulla loro lista nera. Il giornalista italiano Enzo Bettiza lo definì ” il demiurgo della telerivoluzione dubcekiana”.

 

 

 

Anche la radio, prima diretta dall’ esponente conservatore Milos Marko, passò al riformatore Zdenek Heizlar, già detenuto politico per quasi dieci anni: il cambiamento si vide subito. Alla fine di luglio un commentatore rivolse ai russi un monito chiarissimo: ” Non è affatto vero che i partiti cosiddetti fratelli non siano bene informati sulla nostra società interna. Tutto quello che avevamo loro da dire è stato detto. La verità è che forse non sono d’ accordo col fatto che abbiamo scelto un modello di socialismo diverso da quello sovietico.” La conclusione del giornalista fu: ” L’Urss ha ora tre possibilità: comprenderci, non comprenderci lasciandoci liberi nelle nostre scelte, oppure intervenire”.

Fu buon profeta.

Nell’ estate del 1968, politicamente torrida, la Cecoslovacchia diventa la prima meta della diplomazia comunista. Si inizia a metà luglio con la pubblicazione di una lettera fortemente critica indirizzata al partito di Praga e sottoscritta dai vertici dei partiti comunisti sovietico, polacco, ungherese, bulgaro e tedesco orientale. I compagni dei partiti fratelli invitano senza mezzi termini Dubcek a riprendere in mano la situazione riducendo al silenzio le forze antisocialiste e ristabilendo il controllo sulla stampa e sui mezzi di comunicazione ( e qui il pensiero corre alla televisione di Jiri Pelikan ).

Si continua il 29 luglio con l’ incontro tra la delegazione sovietica e quella cecoslovacca  nella località di Cjerna nad Tisou, cittadina di circa 2000 abitanti vicinissima al confine ucraino.La delegazione sovietica era composta da pezzi grossissimi: oltre al segretario del PCUS Leonid Breznev c’ erano anche Podgorni e Kossighin ( i componenti della c.d. troika, espressione politica ancor oggi in uso) oltre al rigido ideologo Suslov ed a Sceliepin. Dall’ altra parte c’ erano solo il segretario del partito Dubcek, accompagnato da Svoboda e Cernik. Nelle stesse ore, per farsi capire meglio, i Mig sovietici compivano nei cieli minacciose evoluzioni mentre il patto di Varsavia proseguiva le manovre militari in corso dai paesi baltici fino al Mar Nero, iniziate …casualmente il 25 luglio e cioè proprio a ridosso dei colloqui.

 

 

 

Nel frattempo anche la Volksarmee, l’esercito della DDR ( Germania dell’Esta) faceva esercitazioni ad ovest in prossimità del confine boemo. La Cecoslovacchia era praticamente circondata. A Cjerna nad Tisou l’ incontro tra le due delegazioni non fu facile, anche se dopo tre giorni di totale riservatezza sembrava essere tornato il sereno. Il comunicato finale congiunto parlava di colloqui svoltisi quasi fraternamente in un’atmosfera di franchezza, sincerità e intesa reciproca. Il compromesso sembrava raggiunto, ma i contrasti permanevano.

Su questo punto ci vengono in aiuto le corrispondenze ed i diari del giornalista italiano Enzo Bettiza. Secondo la sua testimonianza i sovietici durante gli abboccamenti di Cjerna avevano sondato la disponibilità slovacca ( leggi di Bilak) ad una vera e propria scissione, al fine di dar vita ad un governo secessionistico della Slovacchia guidato dal partito comunista di Bratislava, rimasto stalinista e contrario al programma della Primavera di Praga. Storicamente non sarebbe stata la prima volta che le due regioni si separavano e infatti non fu l’ ultima; a parte la storia recente, il pensiero va allo stato slovacco di monsignor Tiso creato dai nazisti e subito riconosciuto dai sovietici, che vi inviarono l’ ambasciatore Puskin. Questo sondaggio non ebbe riscontro e la strada percorsa fu un’altra.

Le delegazioni incontratesi a Cjerna decisero di riprendere gli incontri allargati a Bratislava, capitale della Slovacchia, a partire dal 3 agosto successivo.

Erano presenti i leader dei Partiti Comunisti di Polonia, Germania Est, Bulgaria e Ungheria, gli stessi firmatari della lettera – contenente critiche pesantissime – di due settimane prima.   Il 4 agosto tutti sembrano soddisfatti, il gran capo Breznev in particolare: I sovietici, con la dichiarazione di Bratislava, potevano ritenere che molte delle proposte innovative dei cechi fossero rientrate o fossero state congelate. La delegazione cecoslovacca, al contrario, dava per acquisito solo il rinvio del Congresso del Partito che si sarebbe dovuto tenere il successivo 9 settembre. Il temporaneo compromesso si giocava solo su questo.

La lettera consegnata a Breznev per chiedere “l’aiuto fraterno” ( l’intervento armato)

Nel frattempo la fronda interna tramava. Da quanto si è poi ricostruito a posteriori il 3 agosto 1968, durante la conferenza di Bratislava, venne consegnata segretamente una ” lettera di invito” a Breznev. La lettera, scritta in russo e firmata da cinque dirigenti del Pc cecoslovacco, chiedeva al leader sovietico di impiegare “tutti i mezzi” per stroncare la controrivoluzione asseritamente in corso a Praga.

Da quanto è dato sapere il postino fu proprio Vasil Bilak; lo scrive nelle sue memorie l’ex segretario del Pc ucraino Shelest, che era anche membro del Politburo sovietico.

Secondo questa ricostruzione Bilak la avrebbe consegnata a Breznev non direttamente, ma per il tramite di un agente del Kgb incrociato nei bagni di un albergo, come in un incontro equivoco.

Due settimane dopo a Mosca si svolgerà un vertice con i leader dei Paesi del Patto di Varsavia, ai quali verrà mostrata la missiva che diverrà la pezza d’ appoggio politica per l’invasione. La lettera non è una leggenda, esiste senza alcun dubbio perché nel 1992 Eltsin ne avrebbe fatto avere copia al governo ceco.

La voce, inoltre, doveva essere filtrata perché qualcuno lo aveva saputo immediatamente. Pochi giorni dopo sulla rivista progressista Kulturni Zivot si leggeva: ” Corre voce che Bilak, Indra e Barbirek, tutti e tre noti conservatori slovacchi, avrebbero l’ intenzione di formare un nuovo governo sul tipo di quello di Kadar ( Ungheria 1956, ndr) chiamando in “aiuto fraterno” i sovietici.” Mentre la situazione si fa sempre più difficile continua la tornata di incontri. Il 9 agosto Tito visita Praga, accolto da una grandissima manifestazione popolare e da cartelli che inneggiavano ad una nuova Piccola Intesa tra Praga, Belgrado e Bucarest. Tito però parla poco e alla fine, dal castello, rivolge alla folla soltanto un breve indirizzo di saluto.

Poco dopo, con una visita quasi a sorpresa, arriva il presidente della DDR Walter Ulbricht, probabilmente il più duro avversario della primavera praghese. Con lui c’ è anche Erich Honecker. L’ incontro tra Ulbricht e Dubcek, piuttosto freddo, dura tutta una giornata e riguarda proposte di collaborazione economica ma soprattutto problemi di confine: Ulbricht chiede a Dubcek un impegno per la tutela delle comuni frontiere occidentali, ma non ottiene alcuna garanzia.  Il 16 agosto arriva il leader rumeno Nicolae Ceausescu, visto con sospetto dai sovietici per la sua decisa e persistente rivendicazione di autonomia da Mosca. Il leader rumeno si esprime con chiarezza e difende la democrazia socialista di Praga, sentendo in pericolo anche la propria. Davanti a Ceausescu, Dubcek si impegna a proseguire sulla strada del rinnovamento in vista del congresso del partito da tenersi il successivo 9 settembre.

Giungiamo così alla notte del 19 agosto, quella della resa dei conti 

Quella che precede l’invasione, quando si svolge una concitata riunione di direzione del partito cecoslovacco. Si deve rispondere ad una dura lettera inviata dal presidium sovietico a quello di Praga, che accusa i dubceckiani di avere violato gli accordi di Cjerna e di Bratislava. I conservatori sono evidentemente informati dell’invasione che sta per scattare, e questo è l’ ultimo tentativo di mettere in minoranza Dubcek prima dell’ arrivo dei carri armati.  Indra e Kolder, vicinissimi ai sovietici, presentano un documento che critica pesantemente il segretario. Bilak li appoggia, ma il fronte riformista tiene e i conservatori non riescono nel loro intento.

Ad un certo punto sarebbe anche scoppiato un litigio tra Dubcek e Indra, che lo aveva accusato di culto della personalità, ma proprio nel corso dell’ accesa discussione il primo ministro Cernik si precipita alla riunione avvertendo che in quei minuti  i paracadutisti sovietici stanno prendendo possesso dell’ aeroporto di Praga mentre i carri armati invadono il paese.

Il Presidium condanna immediatamente l’invasione, ma Bilak si dissocia

A mezzanotte del 20 agosto era scattata l’ Operazione Danubio e circa 500 mila soldati del patto di Varsavia (Urss, Bulgaria, Polonia e Ungheria, non la Romania ) entravano in Cecoslovacchia attraverso 18 valichi di frontiera accompagnati da duemila, o forse cinquemila, carri armati; nel frattempo paracadutisti e finti turisti sovietici armati occupavano l’ aeroporto di Praga. Nel corso delle operazioni accadono una serie di incidenti in cui rimangono uccise 53 persone sul lato ceco e 19 su quello slovacco. Per evitare un bagno di sangue Dubcek chiese al suo popolo di non opporre resistenza, una resistenza militarmente impossibile anche perché uomini e mezzi dell’ esercito cecoslovacco in quel momento – e forse non per caso – erano schierati alla frontiera con la Germania occidentale per garantirne la sicurezza contro una impossibile invasione.

Mentre le truppe del patto di Varsavia occupano il paese, alcuni membri del comitato centrale si riuniscono nell’ albergo Praha. Il giorno successivo, sembra sotto la protezione di ufficiali sovietici, si presenta Bilak che non riceve una buona accoglienza. Non è possibile formare un governo collaborazionista sotto la guida di Indra e nel frattempo Dubcek ed altri dirigenti ( Cernik, Cisak, Kriegel, Spacek e Smrkovsky) vengono fermati e spediti in aereo a Mosca per indurli a collaborare.

Il congresso alla macchia, titolo di un celebre libro 

Scoppia la protesta popolare e proprio nei giorni dell’ invasione il partito comunista cecoslovacco, ancora al potere nel paese, anticipa il suo 14° congresso, tenendolo clandestinamente nella fabbrica CKD di Praga. I delegati vengono guidati al congresso via radio e riescono a raggiugerlo quasi tutti, la polizia riesce a fermarne circa 180. Il partito esprime una vibrante protesta contro l’invasione in corso e conferma la linea delle riforme. Indra, Bilak e Kolder sono costretti a dichiarare che non avrebbero collaborato con gli invasori ma la assemblea li epura.

Il 22 agosto Bilak e gli altri stalinisti, sotto la pressione della piazza, devono appoggiare la richiesta di liberazione di Dubcek e degli altri dirigenti che erano praticamente detenuti in Urss. Il giorno successivo Bilak con i conservatori vola a sua volta in Urss ma la situazione non si sblocca. Il 27 agosto Dubcek e i suoi rientrano a Praga, dove la situazione è molto confusa ed in sostanza ci sono due partiti, quello di osservanza sovietica e quello uscito una settimana prima dal congresso clandestino, libero e senza gli stalinisti. Il 28 Bilak, sotto la pressione popolare, è costretto a dimettersi da segretario del Pc slovacco; il suo posto lo prende Gustav Husak, che esprimeva una linea politica tendente al federalismo e molto cauta sul processo di democratizzazione.

 

Gianluca RuotoloAvvocato, pubblicista

 

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