Un generale proveniente dalla stella Virgo piomba sulla Terra. E precisamente in una casa, dov’è acceso il fuoco e dalla padella s’alza il fumo dell’olio: nel corso dello spettacolo si saprà che una donna sta friggendo polpette.
Comincia così, in una sala apparentemente disadorna, che somiglia a una grande cucina senza tanti mobili, lo spettacolo YANGAN DAL, il nome del generale, che Aldo Augieri, un attore-autore fantasioso e ricco di talento, ha messo in scena nel Teatro Asfalto di Lecce, per due sere consecutive, con la sala gremita di pubblico, dal palato fine, come accade per gli spettacoli di Augieri.
Lo scorso anno allestì una pièce teatrale sulle vedove di don Giovanni che vegliavano il loro amante, davanti a una bara di color rosso posata sul palcoscenico, alternando pianti e racconti, all’insegna di una funebre comicità, e dove anche la cassiera del teatro era in gramaglie e consegnava i biglietti d’ingresso incassando e piangendo. Di più: la “trovata” di farsi sponsorizzare, dato il tema, da un’agenzia di pompe funebri. Un ulteriore segno della scioltezza creativa dell’artista Augieri.
Lo spettacolo YANGAN DAL si svolge su due piani paralleli e coesistenti, che alla fine si incrociano e si fondono nei “messaggi” che lo spettatore può ricavare da quanto si dice e si fa sulla scena.
ll generale YANGAN DAL colpisce da subito già per la sua presenza scenica: indossa una divisa militare variopinta dove domina il rosa acceso, ha il corpo straziato dalle ferite di guerra, ha le dita delle mani bruciate, gli occhiali scuri e inquietanti. Il suo monologo non è ininterrotto, si spezza in tanti brevi monologhi. Negli intervalli tra l’uno e l’altro di essi, cammina a passi forzati su e giù nella grande e unica sala dove si svolge lo spettacolo. Questo ripetuto andare senza una meta, da un angolo all’altro della sala, senza un senso apparente, in realtà un significato sembra averlo: da una parte, l’alieno esprime lo smarrimento del non saper dove andare e che cosa fare; (un’allusione al vano e ed erratico andare di noi terrestri, senza nulla combinare?) ; dall’altra, funziona scenicamente, perché serve a preparare l’attesa dello spettatore di che cosa il generale dirà nel brano successivo del monologo.
All’inizio e poi negli intervalli tra i vari spezzoni di monologo si esibisce la donna che sta cucinando, che mette e dismette il grembiule da cucina, quando deve cantare, e mai mostra di provare disagio per la irruzione e la presenza del generale alieno, così pittorescamente e inquietantemente conciato; e canta canzoni degli anni 70 inneggiando all’amore e alla vita.
Ma che cosa dice il generale YANGAN DAL? Un po’ gioca, rivolgendosi agli spettatori, usando la corda dell’ironia “su voi umani”, sul loro affannarsi senza costrutto, sui sistemi informatici ormai obsoleti esistenti sulla Terra, in nulla paragonabili a quelli che lui conosce nella galassia da cui proviene e che cita sciorinando con un eloquio veloce formule così complicate che gli spettatori ne restano ammirati e colpiti non senza sorridere. Di formula in formula, il generale arriva a scriverne una sulla lavagnetta, una formula di una complicazione mai vista (che rispetto a quella di Einstein sembra una equazione interminabile: è la formula del silenzio).
Se voi umani aveste questa formula, e quindi praticaste il silenzio, entrereste in un’altra dimensione di vita, capireste tutto, sareste consapevoli di tutto, dice YANGAN DAL in un passaggio molto significativo dello spettacolo. Il significato dell’apologo appare fin troppo trasparente: poiché gli umani non hanno questa formula, così complicata, del silenzio, e forse non l’avranno, questo silenzio non lo praticheranno mai. Il silenzio potrebbe essere una via di salvezza.
Invece gli umani continueranno a vivere nel rumore, a fare la guerra, ad alterare la natura. YANGAN DAL l’ha fatta la sua guerra, viene da un luogo in cui sono tutti morti, il suo corpo martoriato e piagato è quasi esibito per far sentire l’orrore e la repulsione delle guerre. Nelle contrade galattiche da cui il generale proviene, non solo “sono tutti morti”, ma stanno per morire le rane, qui assunte a simbolo delle creature che nascono dalla terra e dall’acqua. Nascono solo rane femmine, e quindi si è rotto il circuito vitale della generazione.
Guerra, stravolgimento dei ritmi naturali, morte: c’è una via di salvezza? Il generale YANGAN DAL sembra indicarla, con le sue continue invocazioni a una donna: il suo nome è Rosa. Per lui rappresenta l’amore e la vita, e al nome di Rosa accosta con compiacimento e desiderio certe notti stellate che si vedono “sul vostro pianeta”, dice il generale. Ma a Rosa egli ha paura di presentarsi temendo di essere rifiutato perché la guerra ha reso repellente e inguardabile il suo aspetto; d’altra parte è repellente per lo stesso generale, che per dare un’idea ancora più chiara del suo stato, ogni tanto si abbandona a una esclamazione –ritornello: mbeeeeee, mbeeeee, per esprimere nausea, disgusto e orrore di se stesso. Sicché alla fine lo spettatore, davanti a tanta ansia d’amore del generale che ha in orrore le guerre, è indotto a pensare: ma forse gli “alieni” siamo noi e loro gli “umani”?
Il generale non si presenterà a Rosa, ma qualcosa ci fa pensare che prima o poi questo incontro possa avvenire, propiziato dall’amore, dalla musica e da una certa “aria di casa”, dove si stanno preparando le polpette. E alla fine, con una efficace trovata scenica, due camerieri con fattezze di alieni le distribuiscono agli spettatori.
Aldo Augieri, che ha scritto il testo, e ha interpretato e diretto lo spettacolo con la partecipazione di Simona Sansonetti, dalla voce calda e vibrante, conferma le sue doti di autore di testi illuminanti, dove traluce una forte sensibilità verso i drammi del nostro tempo (guerra, alienazione, stravolgimento dell’uomo e della natura) attraverso l’espediente letterario dell’apologo, della trasfigurazione e della metamorfosi.
Una ricerca teatrale, quella di Augieri, che meriterebbe il sostegno delle istituzioni culturali, più propense a finanziare sagre della pagnotta, manifestazioni tuttavia rispettabili, che a incoraggiare la ricerca e le produzioni teatrali. Che meriterebbero un palcoscenico più grande, come in certi teatri della Capitale.
Per due sere, l’11 e 12 aprile nel Teatro Asfalto di Lecce, pubblico attento e partecipe. Scenografie di Daniele Sciolti, sound designer Simone Tripodi, costumi di Lilian Indraccolo. Intanto, lo spettacolo sarà rappresentato in altri centri del Salento, prima di approdare, come ci auguriamo, a Roma.
Mario Nanni – Direttore editoriale