È un Denzel Washington senza freni, fiero e sicuro del potere che ha guadagnato a Hollywood anno dopo anno e film dopo film, quello che si è rivelato nel suo lavoro più recente, Il gladiatore II e durante la sua stessa lunga ed esilarante promozione stampa.
Nel film di Ridley Scott, sequel sognato dal regista da oltre vent’anni, con tutti i suoi geniali capricci anacronistici, interpreta Macrino, un ex schiavo diventato padrone di gladiatori. Dopo aver scoperto di avere tra le mani il prigioniero Lucio Vero (Paul Mescal), figlio dell’amore tra Massimo Decimo Meridio e Lucilla nonché legittimo erede al trono di Roma, inizia la sua scalata verso il potere e i palazzi della capitale dell’impero.
I sottotesti si affollano, ma non è necessario coglierli tutti per apprezzare la superba, e totalmente sopra le righe, interpretazione di Washington. A partire dalla scelta di mantenere il suo riconoscibilissimo accento americano, senza nemmeno provare a creare una caratterizzazione più peculiare per il personaggio, proprio come come aveva fatto in Macbeth di Joel Coen (2021). Sarebbe anche offensivo, ci ha tenuto a precisare più volte, inventarsi un qualsiasi falso accento africano, solo per il film.
Macrino e il fascino del potere
Arricchitosi grazie al “linguaggio universale della violenza”, ciò che insegue Macrino non è il denaro, è il riconoscimento del suo valore, in grado di cancellare almeno idealmente il marchio a fuoco che porta sulla pelle. Di nuovo, il riferimento a gran parte della storia statunitense e afroamericana, così come il desiderio di ribaltarla, è palese. È incarnato soprattutto da Washington stesso, attore-simbolo che interpretando un ex schiavo ha anche vinto lo storico Oscar del 1990 (Glory – Uomini di gloria) ma che in questa retorica non si riconosce e, in fondo, non si è mai riconosciuto. Macrino/Denzel è il leader, è il re, ha il potere. E lo custodisce by any means necessary, per citare un altro suo grande ruolo, forse il più grande, quello di Malcolm X per Spike Lee nel 1992.
Addobbato di ori e tessuti pregiati, totalmente libero nelle azioni, nei pensieri, negli istinti e nei desideri (ha confermato che l’approfondimento della sessualità del personaggio è stato tagliato in montaggio, così come il bacio con un altro uomo), il suo Macrino è in realtà un preciso calcolatore. È il vero protagonista di Il gladiatore II, benché non scenda mai nell’arena. Anche per questo fin da subito si è vociferato di una possibile campagna Oscar per Washington, su cui lui, da divo navigato qual è (e che di nomination e statuette ne ha perse fin troppe per considerarle ancora importanti), sorvola con maestria.
Gli Oscar 2025? Trascurabili
Durante le interviste preferisce parlare del suo prossimo spettacolo, Otello, in scena a Broadway a inizio del 2025, piuttosto che sprecare un singolo secondo in più a prendere sul serio l’impero romano o la macchina hollywoodiana del marketing.
Settant’anni il prossimo 28 dicembre, a Denzel non importa davvero più niente. O meglio, non è il riconoscimento del sistema ciò che insegue e desidera, perché ne ha costruito uno tutto suo. È l’ultimo dei divi intoccabili, anche se gioca a essere umile. In realtà è bene consapevole del peso della sua presenza in ogni stanza in cui mette piede. O su ogni red carpet, anche quello dell’anteprima parigina del film di Ridley Scott, in cui in contrasto con l’alta moda della città, si è presentato solo con una t-shirt nera. Senza giacca o cravatta.
Si diverte tantissimo a non far pesare quel suo status che tuttavia, è evidente, è diventato irraggiungibile, al di sopra degli stessi registi con cui lavora, al di sopra delle sproporzionate campagne promozionali, tra ospitate e interviste senza sosta. Il risultato è il cortocircuito che si è visto durante la promozione di Il gladiatore II, in cui si è divertito a scherzare con i giornalisti, portare le domande e le risposte fuori strada, così come l’attenzione su di sé e i suoi prossimi progetti.
Il futuro per Denzel
Un re senza la sua eredità e senza la sua dinastia, infatti, non è niente. E Denzel Washington ci ha tenuto a far sapere, intanto, che i suoi prossimi lavori saranno esclusivamente per registi neri. Avrà una piccola parte anche nel rivoluzionario franchise Marvel di Black Panther diretto da Ryan Coogler. Proprio lui che fu il mentore del compianto protagonista Chadwick Boseman, reciterà nel terzo capitolo, di cui ha accidentalmente rivelato l’esistenza e l’inizio della produzione, durante un’intervista. Altro segno che dell’etichetta e delle convenzioni di Hollywood non potrebbe importargli di meno.
Mentre si prepara a un probabile, ma imprevedibile, rientro nella stagione dei premi per Il gladiatore II, inoltre, Denzel Washington continua a lavorare “nell’ombra”, portando avanti un progetto a lui molto caro, la produzione cinematografica di tutte le dieci drammaturgie del Ciclo di Pittsburgh di August Wilson. Dopo Barriere e Ma Rainey’s Black Bottom, infatti, quest’anno ha portato sullo schermo The Piano Lesson, lavorando per la prima volta con i suoi due figli, Malcolm (regista e sceneggiatore) e John David (attore). Se non è un dinastia hollywoodiana, e leggendaria, questa.
La vera prova è il palco
Per Washington il legame con August Wilson è antico, oltre che radicato in una parte della cultura statunitense di cui da questa parte dell’oceano si sa ben poco. Per la sua interpretazione di Barriere a Broadway nel 2010 ha vinto anche un Tony Award e, nonostante la grande carriera cinematografica, è al palco che desidera sempre tornare: “Perché è sul palco che si impara a recitare”, ogni volta. È il segreto in bella vista di Hollywood, quello che nessuno vuole dire ma che tutti sanno: “I film sono uno strumento dei registi. Puoi fare del tuo meglio, il tuo miglior monologo, e loro potrebbero comunque decidere di stringere l’inquadratura sul tuo piede mentre parli”, ha affermato in un’intervista a CBS Morning.
Per questo a settant’anni si mette ancora alla prova dietro un sipario, davanti a un vero pubblico, per Shakespeare e per un Otello che durerà 15 settimane, tre ore a sera. “Sul palco nessuno ti ferma, nessuno ti fa ripetere la scena. Nessuno dice stop”, ed è anche lì che emerge il vero talento dell’attore, dell’artista.
La sua enorme autoconsapevolezza, a questo proposito, si è vista soprattutto nella recente intervista, virale sui social, con Zainab Jiwa, quando Washington ha dettato le sue tavole: “Devi imparare a recitare su un palco. Non devi fidarti mai dei social media, spegnili ogni tanto. Stai zitto o zitta. Calmati. Impara. Leggi. Rilassati. Rendi te stesso o te stessa migliore. Nella prima parte della tua vita impari, nella seconda guadagni, nella terza restituisci”.
Sembrano le parole di un terapeuta, dice l’intervistatrice. “Io sono già il tuo terapeuta”, risponde Denzel con la sicurezza, l’ironia e la complicità di chi sa di essere l’unico, il più grande. Colui che già sta “restituendo” al suo pubblico una nuova parte di sé, liberatoria, folle, assoluta e totalizzante, come il suo Macrino.
Valeria Verbaro – Giornalista