“La tutela della persona nella innovazione e nel progresso: il giusto compromesso in una nuova era digitale”

Pubblichiamo la relazione, quasi una lectio magistralis, del cardinale Fernando Filoni a un convegno sull’intelligenza artificiale applicata alla medicina e chirurgia, in cui vengono sottolineate la centralità dell’uomo, la dignità e il rispetto della persona

L’intelligenza ha la sua radice nell’essere umano; essa è incarnata. Tuttavia, non è più un simulacro inviolato; dal secolo scorso, trasbordando da sé, tramite tecnologie e macchine, nasce quella che noi oggi chiamiamo intelligenza artificiale che sta velocemente assumendo capacità che danno vita ad un prodotto straordinariamente importante; in un giro di valzer, non si esclude che l’intelligenza naturale possa trarne vantaggi e che l’intelligenza artificiale, possa a sua volta esserne ancor più alimentata.  Ma non si potranno mai collocare le due intelligenze sullo stesso piano, perché la prima, come ho detto è incarnata (ossia è generata da un corpo organico), l’altra è attrezzata, ossia dipendente dalla tecnologia organizzata dalla mente umana.  Le due sono, dunque, sostanzialmente di natura diversa.

Nonostante ciò, la radice ‘umana’ rimarrà ancora la sorgente del sapere?  Per sussumere un’analogia ben comprensibile nella nostra Terra salentina, pensiamo ad un olivo (in tempi di xylella fastidiosa mi si lasci l’analogia) dal cui tralcio manipolato si dà vita ad un nuovo germoglio.  All’occhio dell’osservatore appare bello e florido, pieno di prospettiva, ma indubbiamente serpeggia anche il dubbio se la nuova creatura darà eguali frutti di qualità.

La macchina ha una successione di stadi e il suo funzionamento è legato a chi ne conosce i meccanismi.  In verità, non è solo la macchina, cioè l’intelligenza artificiale, a spaventare, ma anche chi, creandola poi la manipola. Partiamo dalla “macchina” o meccanismo: L’intelligenza artificiale, infatti, frutto di calcoli, di controllo automatico, di robotica, di sistemi digitali, di logica computerizzata, agisce ottimizzando, cercando efficienza e perseguendo il miglioramento. Questo è chiaramente da lodare, ma quando questo processo avviene automaticamente e ci mette davanti a scelte compiute ed “evidenti” siamo sicuri che questa sia sempre la “scelta migliore” a 360°?

Come nella vita quotidiana, procedo per argomentazioni e quesiti; ci si domanda: la cosiddetta intelligenza artificiale, quale destino ha e che effetto può avere sull’umano? Può sostituire la tradizionale intelligenza umana, così ricca di opere letterarie, artistiche e scientifiche, nei suoi vari livelli? Infatti, l’intelligenza umana non è un “pacchetto” unico e ci si chiede quale impatto l’intelligenza artificiale possa avere sui vari tipi di intelligenza (ad esempio naturale, collettiva, artistica).

Cardinale Fernando Filoni

Inoltre, l’uomo, la società, la natura, l’universo sono anche la prospettiva a cui tende l’intelligenza artificiale. Per questo ci si domanda: ma il futuro sarà ancora umano o è un’utopia di cui finora non abbiamo riscontro nella realtà?  Molti si stanno cimentando nel rispondere a questo e ad altri interrogativi: Non si rischia di cadere in frammentazioni tecnologiche e di dipendenza da algoritmi che sostituiscono le decisioni umane?  Le stesse democrazie sono o no a rischio se la dittatura tecnologica finisse in mani sbagliate? Si può pensare ancora che essa, attraverso i farmaci di nuova produzione, riesca a far piazza pulita delle cellule cancerose?

In ambito medico è evidente l’ambivalenza della sua applicazione e questo Convegno, nella sua impostazione, sembra recepire un desiderio, mentre si interroga su quale sia la strada da perseguire: integrazione tra la professionalità medica e la macchina o lasciare alla macchina di programmare il suo corso, nonché essere responsabile?

Tra innovazione e progresso, qual è il posto della persona umana? A chi spetta la sua tutela? La tutela dell’umanità passa spesso attraverso scelte non scontate, coraggiose, a volte contro la matematica e le statistiche perché l’umano non è perfetto, è debole, è fragile. Recentemente ho accolto la condivisione di un giovane medico cristiano, una pneumologa, che mi raccontava le sfide e le sofferenze del tempo del Covid: confrontarsi con una nuova malattia e cercare di intraprendere le scelte migliori per la vita dei propri pazienti. A volte, raccontava, le scelte sono state per amore, per permettere dignità agli ultimi momenti di vita e per aiutare paziente e familiari a vivere il distacco. Possiamo delegare questo all’intelligenza artificiale? Che responsabilità fondamentale manteniamo in questi casi? Come possiamo essere aiutati in questa missione senza perdere l’apporto morale ed etico del nostro essere persona? L’alta professionalità del medico è una grande garanzia, ma è sufficiente da sola?

Papa Francesco nel suo recente discorso al G7 commentava: «L’essere umano, non solo sceglie, ma in cuor suo è capace di decidere. La decisione è un elemento che potremmo definire maggiormente strategico di una scelta e richiede una valutazione pratica. A volte, spesso nel difficile compito del governare, siamo chiamati a decidere con conseguenze anche su molte persone. […] Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine. Abbiamo bisogno di garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità umana».

Ponendo questi quesiti stiamo scivolando non tanto sul valore della tecnologia, ma sull’uso di essa affinché chi la controlla non diventi arbitro e l’umano non diventi suddito inconsapevole in mano di pochi informati che manipolano la cosiddetta intelligenza artificiale.

La questione è allora la corretta ed efficace relazione tra persona, innovazione e progresso, e a chi spetti la tutela di queste relazioni. Perché mentre l’intelligenza umana è autrice dell’innovazione tecnologica, appare impossibile frenare il progresso a cui l’essere umano pur tende fin dal momento in cui inventò la ruota.

La crisi etica in cui caddero numerosi scienziati in relazione a certi usi dell’atomo (visitare Hiroshima e Nagasaki è altamente catechetico) non demonizza la scoperta dell’atomo, né il suo studio mentre godiamo ampiamente in tante applicazioni di esso, bensì l’applicazione di esso, ad esempio, come arma di guerra; in questo senso, appare tutta la responsabilità circa l’uso delle ricerche scientifiche. Si torna al ruolo dell’uomo, in quanto essere morale, artefice e potenzialmente vittima.  Quale applicazione dunque si prospetta per l’intelligenza artificiale?

La tutela dell’essere umano, ma anche della società e della natura, impone, pertanto, alcune riflessioni da tenere. Ci si può infatti porre in modi diversi rispetto a questa questione. C’è

  1. Chi non si pone nessuna remora, ma si lascia condurre in una visione astratta e da un principio scientificamente e creativamente senza recinti, una ragione che prenda in considerazione solo se stessa e l’illusione di onnipotenza illimitata;
  2. Chi pensa che l’intelligenza artificiale sia semplicemente utilitaristica, e non abbia finalità, ma interessi.
  3. Chi intende prevedere dei confini nell’interesse dell’essere umano, della sua dignità e centralità, giacché il ricercatore, pur nella sua autonomia di ricerca, non può essere indifferente.

A me pare che non avere né remore, né confini, oppure avere una visione semplicemente utilitaristica oppure antiscientifica, quasi che la scienza procuri solo danni, siano atteggiamenti estremi. È da una visione critica integrata che nasce invece la vera tutela a vantaggio della persona, della società e della natura. Pertanto, la scienza, la tecnologia e, in ultima analisi l’intelligenza artificiale, o meglio il suo uso, non possono essere ignorate. La ragione non può essere messa da parte, giacché ad essa spetta sviscerare i problemi, ma anche condurre ad una conclusione.

Come dice Silvio Savarese (Chief Scientist di Salesforce, una società per i servizi tech per le imprese), è necessario che il ruolo dell’uomo rimanga centrale e la sensibilità etica appaia necessaria per identificare «le allucinazioni che ogni tanto spuntano nelle risposte dei modelli».

In una recente intervista, Savarese rimarca come l’intelligenza artificiale faccia affermazioni senza sapere se sono vere o false, non sa distinguere; non capisce cosa significa mentire; non ha sensibilità morale; può anche imparare a essere ironica, se addestrata, ma non capisce cosa significa (cfr. Corriere della Sera del 18.3.2024).

Anche la Chiesa ha allo studio questo fenomeno e cerca di capire fin dove sia o meno necessario chiedere un impegno etico. «Attenti a non costruire ponti con pilastri non adeguatamente testati, che rischiano di sgretolarsi», dice ancora Savarese. È indubbio che un’intelligenza artificiale al servizio dell’uomo – sia in quanto operatore, sia in quanto fruitore – sembri non solo accettabile, ma auspicabile; la sfida nasce dal momento in cui la macchina è progettata/usata per domare l’uomo.

Non v’è dubbio che la medicina sia oggi uno dei grandi campi del progresso, ed è un bene.  Si pensi alla comprensione delle immagini di radiologia, ai dati del DNA, RNA, allo studio delle molecole, alla mappatura delle sinapsi del cervello, che aprono possibilità inedite delle neuroscienze. Ma che dire dell’intelligenza artificiale se usata per il controllo della vita dell’uomo, della sua cosiddetta qualità di vita, di un’utilitaristica valutazione di essa, oppure, ad esempio, nel campo del lavoro, del rischio che la macchina ne prenda il posto, o, invertendo le posizioni, che le persone prendano il posto delle macchine?

La sfida è non solo profondamente tecnologica, ma di cosa farne, ossia è fortemente antropologica: L’uomo di domani avrà ancora e quale libertà? Quale capacità di decidere? Avrà la possibilità di avere una ragione delle cose e dare ragione alle cose e, infine, di ricercare la verità? E la sua coscienza, sarà responsabile delle proprie decisioni e di produrre un pensiero?

Di recente la Santa Sede ha pubblicato un importante documento in relazione alla dignità umana, Dignitas Infinita; ci si domanda: Esisterà o avrà ancora un futuro questa dignitas? Sarà umana o in mano a delle macchine guidate da pochi o da gruppi di potere? Per la prima volta un documento pontificio parla di possibile «violenza digitale».

Superati i tempi fideistici e quelli freddamente ideologici, confrontarsi con la ricerca scientifica stimola il dialogo e la comprensione; ed è ciò a cui il pensiero cristiano tende e orienta, al fine di assicurare all’umanità un domani di pace e di prosperità attraverso le straordinarie conquiste della scienza e della tecnologia e contro ogni dittatura di esse, senza separare dunque lo sviluppo dell’intelligenza artificiale dalla filosofia e dall’etica.

Ma che cos’è l’etica? Ed esistono una o più etiche? E a quale di esse riferirsi in relazione a macchine a cui si pensasse di dare un’algoretica, cioè un approccio etico? Il problema di definire l’etica della specie umana non è semplice. L’essere umano ha molti comportamenti che affondano la loro radice nelle culture e nei principi che si sedimentano in vari tempi ed epoche. Papa Francesco, nel messaggio del 1° gennaio 2024 sull’intelligenza artificiale, scrive che le ricerche tecnologiche e scientifiche e le innovazioni “non sono disincarnate dalla realtà e ‘neutrali’, ma soggette alle influenze culturali. In quanto attività pienamente umane, le direzioni che prendono riflettono scelte condizionate dai valori personali, sociali e culturali”.

Accettando tale visione, si possono dare alle macchine “valori”? E per tutti? E per sempre?

Nel contesto dell’antropologia cristiana – quella che ha come valore il Vangelo racchiuso nella dottrina della Chiesa – l’ambito è già più definito. Ma la macchina che procede linearmente potrà apprendere le sfumature che l’etica, ad esempio quella cristiana, richiede? Infine, ci sarà una coscienza artificiale?

Appare allora quanto mai necessario un approccio ampiamente condiviso nella ricerca, ma anche nell’uso che si intenda fare della tecnologia.

In conclusione, permettetemi di tornare al punto da cui sono partito dell’intelligenza incarnata, uno dei doni di Dio all’essere umano da custodire e, al contempo, da mettere a frutto. Questa intelligenza è chiamata a non soccombere agli algoritmi bensì a continuare ad esprimersi a tanti livelli: dalla fondamentale tutela della dignità e della fragilità umana, all’umanizzazione dei processi, soprattutto nelle fasi decisionali, fino all’integrazione etica e morale della tecnologia attraverso le necessarie riflessioni sul suo uso. Vi auguro un buon congresso e buon lavoro nell’importante campo nel quale operate.

 

Fernando card. FiloniGran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Prefetto emerito della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli

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