Pubblicità commerciale: e se ci ribellassimo al ruolo di eterni bersagli?

Se un tempo era lo sprovveduto consumatore a chiedere all’oste come fosse il vino che si apprestava a ordinare, ora è il venditore/produttore a sollecitare ossessivamente il potenziale cliente, sottoponendolo a un bombardamento commerciale che spesso non finisce neanche dopo che quel certo articolo o prodotto o servizio è stato acquistato.

Da espressione di ingenuità allo stato puro, ai limiti della dabbenaggine, a vittima designata, incolpevole e, ormai sempre di più, indifesa. Parlo della pubblicità. Se un tempo era lo sprovveduto consumatore a chiedere all’oste come fosse il vino che si apprestava a ordinare, ora è il venditore/produttore a sollecitare ossessivamente il potenziale cliente, sottoponendolo a un bombardamento commerciale che spesso non finisce neanche dopo che quel certo articolo o prodotto o servizio è stato acquistato. I venditori non si peritano dunque di sparare nel mucchio, mentre sono ancora troppo pochi i compratori (non a caso definiti “target”) che cominciano a ribellarsi e a respingere il ruolo di eterni “piccioni”.

È vero che le vicende politiche degli ultimi anni sono di portata così terribile e lasciano presagire scenari talmente terrificanti per le sorti del mondo che crucciarsi per lo scadimento e l’invasività della pubblicità potrebbe far pensare a un criminale sul quale incombe una condanna all’ergastolo ma che invece si preoccupa di proclamarsi innocente del furto di un chilo di pere. Eppure così non è.

Perché mentre le decisioni e gli sviluppi epocali sono vissuti, e in effetti lo sono, come avvenimenti che avvengono in centri di potere, luoghi che sfuggono alla percezione della gente che, infatti, non ha su di essi pressoché alcun controllo, la pubblicità e gli incentivi a comprare e a consumare in progressione costante sembrerebbero essere tra le poche attività riconducibili ad atti di libera volizione. Se un certo prodotto mi piace e se di esso ho effettivamente necessità me ne doterò, altrimenti ne farò volentieri a meno. Ciò, invece, succede molto più di rado di quanto si creda.

“Ubriacatura natalizia”

L’idea di esternare queste considerazioni, che effettivamente sono scontate e – ne sono certo – condivise da moltissimi utenti, come ogni anno mi è venuta alla fine della grande ubriacatura natalizia. Questa volta però ho deciso di mettere mano alla tastiera e vincere la scettica pigrizia. Non potendo contribuire a modificare le sorti del mondo, almeno proverò nel mio piccolo a ribellarmi alla dittatura del marketing. Un incoraggiamento, devo riconoscerlo, me lo ha dato anche il mio amico (e ottima penna) Luigi Nanni, che qualche tempo fa in una lettera alla Gazzetta del Mezzogiorno ha esternato riguardo alla pubblicità sentimenti non dissimili dai miei. Non credo che Luigi, al pari di me, si illuda di poter lanciare un movimento di opinione talmente vasto da far sparire la pubblicità dai palinsesti televisivi. Figurarsi! Ma chissà, forse i sassolini che lui, io e qualcun altro lanciamo in piccionaia potranno servire almeno a ridurre la ossessiva pervasività di certi spot, soprattutto televisivi.

Benché potrei sembrare condannato dall’anagrafe a essere il “laudator temporis acti” di turno, non sono però un misoneista, al contrario. Soprattutto mi è chiaro che con i costi attuali della pubblicità televisiva sarebbe impossibile per le aziende autopromuoversi con spot inseriti in un programma come il mai abbastanza lodato “Carosello”. Dieci minuti in totale, tra il 3 febbraio 1957 al 1º gennaio 1977, suddivisi tra quattro inserzionisti, ciascuno dei quali mandava in onda uno spot (allora, imperando ancora il francese, si chiamava réclame) contenuto in 64 metri di pellicola, per un totale “netto” (ossia sigle a parte) di due minuti e 15 secondi. Rispetto all’epoca digitale, sarebbe come dire Claudio Villa contro un cantante “trap”. Poco prima delle 21, sull’unica rete Rai del tempo, Carosello scandiva l’inizio delle trasmissioni destinate ai “grandi” e, di conseguenza, anche l’ora canonica in cui i bambini erano obbligati ad andare a dormire. A qualche genitore sbadato che avesse dimenticato di spedire la prole in camera da letto ci pensava la soccorrevole “mamma Rai”, che persino certe commedie di Eduardo De Filippo le faceva premettere dall’avviso di una annunciatrice, che con aria compunta ne raccomandava la visione “ai soli spettatori adulti”.

Il conformismo televisivo

Le scenette di Carosello avevano senso compiuto e facevano leva sull’ironia o la giocosità. Oggi, quando va bene, la televisione mostra soprattutto insulsi quadretti familiari. Un esempio. Padre, madre e due figli, convergono da parti diverse della loro casa (una villa multipiano con grande giardino) diretti verso una cucina che, da sola, misurerà quasi quanto gli appartamenti della media delle famiglie italiane; lì, di fronte a una “isola” con una batteria di pentole che costano come un’auto di media cilindrata una sciroccata con una fascia in testa comincia a sculettare e ad agitare le braccia al ritmo parabrasileiro di un insopportabile motivetto tratto da un tormentone estivo di qualche anno fa.

Il ritorno, qualche anno fa. del Carosello su Rai 1

Sull’onda di tale entusiasmo, maritino/ragazzo, figlio adolescente vagamente androgino e sorellina si uniscono alla mater familias, in un irresistibile coretto che decanta l’insuperabile bontà di una certa marca di riso. Moltiplicate il tutto per decine di volte al giorno e ditemi se non vi viene l’istinto di deportare in blocco la famigliola in Cina o altro luogo remoto dove il loro cereale sarebbe molto apprezzato, pur di non sentirla o vederla più.

Probabilmente a causa di un effetto/paradosso, in persone come me molte pubblicità scatenano provvidenziali amnesie regressive associate a idiosincrasia: non ricordo (o forse non ho mai memorizzato) un dato prodotto, ma ricordo con fastidio qualcosa di indistinto tolto da una sua pubblicità; il ragazzino con accento milanese che spalanca alcune vocali, caricando a dismisura la sonorità della esse; oppure una dinastia di topi albini affetti da rotacismo (noblesse oblige?) e vestiti come dandy di un secolo fa che io curerei radicalmente affidandoli a un branco di famelici gatti.

Numerose sono anche le microstorie che ambirebbero ad avere un effetto avventuroso/eroico tipo Indiana Jones e la coerenza narrativa degna di un Carosello d’antan. Ma a parte che per realizzare un lavoro del genere in soli 30 secondi non basterebbe la capacità di sintesi di Giovanni Scoto Eriugena e di tutta la Schola palatina (IX secolo), alcuni dei racconti che mi vengono in mente sono talmente squinternati e ridicoli che per reazione, visto che pubblicizzano un liquore digestivo, si potrebbe facilmente diventare astemi totali; visto in un’ottica proibizionistica alla Salvini, potrebbe essere persino vantaggioso se ci si deve mettere al volante.

Una scenetta di qualche anno fa mostra il recupero e la messa in salvo di un’antica anfora, trovata in un luogo impervio prospiciente il mare (lo spot è stato girato nello splendido comune di Buggerru, mille anime nella Sardegna sud occidentale), dove mentre si dice che il tempo minaccia tregenda (peccato che il cielo sia celeste e sporcato appena da innocui cirri e il mare somigli a una tavola) tre ardimentosi in idrovolante prendono in carico il preziosissimo reperto e lo portano “in salvo”, si presume verso la “civiltà”. Alla fine un brindisi col prodotto suggella il buon esito dell’impresa.

Esempi di pubblicità

Stessa trama concettuale, qualche anno dopo, la si trova in un altro spot dello stesso liquore. Questa volta l’eroismo è marinaresco. Un paio di “splendidi quarantenni” (o giù di lì) su un motos-cafone “open” riescono a localizzare in alto mare quello che viene definito un “barcone in panne” con a bordo sei sciagurati vestiti come becchini (tutti in completo e cravatta rigorosamente neri) che portandosi appresso ciascuno il proprio strumento musicale disperano di arrivare in tempo (ormai il sole sta per tramontare) per suonare in un concerto fissato per la sera stessa e nel quale il palco degli artisti sarà il “barcone” stesso. Ma nulla può la malasorte contro l’audacia dei salvatori.

In men che non si dica rimorchiano il natante alla deriva e lo consegnano, musicanti compresi, in una bella baia (nella realtà Castellammare del Golfo) dove sempre su altri mezzi galleggianti quello che un tempo si sarebbe detto “uno scelto parterre” può finalmente assistere alla insolita performance. Dalla platea galleggiante, come meritato premio, i prodi salvatori della serata si concedono il solito brindisi. Peccato che: il barcone sia in effetti un pontone privo di motore, che non potrebbe navigare se non trainato; i componenti della banda rock, chitarre elettriche e batteria, portino gli stessi incongrui vestiti scuri e la cravatta con cui avevano preso il mare.

Infine, l’elemento della scenografia che nella mente degli ideatori della pubblicità dovrebbe risaltare più di ogni altro: il pianoforte a coda che il pianista del gruppo, neanche fosse stato Arthur Rubinstein in tournée, si porta dietro ben legato sulla chiatta. Particolare curioso: soprattutto la prima di queste pubblicità, a giudicare dai commenti postati su YouTube, riscuote grande successo tra scolaretti e ragazzini delle medie, teneri virgulti che non ne colgono il ridicolo. A proposito, ma non c’è una legge che vieta la pubblicità di bevande alcoliche nelle fasce orarie protette?

L’evoluzione della pubblicità

Potrei seguitare a lungo, anche perché per secoli, prima della rivoluzione data dall’elettricità, e decenni dopo la radio e la televisione, la pubblicità si è servita e si serve di altri medium: cinema, quotidiani, periodici, cartelloni stradali fissi e in movimento su veicoli, internet e altro ancora. In questa sede non posso dare che qualche cenno, basandomi sulle mie conoscenze e/o personali idiosincrasie.

Proseguo questa piccola rassegna di brutture derivanti non da tutta la pubblicità, ma dalla cattiva pubblicità, con un esempio che a me sembra una vera aberrazione. Per una volta, sul banco degli imputati non c’è il piccolo schermo. Da alcuni anni, con non poca sorpresa e sconcerto anche di chi tiene in non cale gatti neri, gobbi, corni apotropaici, fatture e malocchi, nella cartellonistica stradale si sono notati dei grandi manifesti sui quali risalta, quasi in grandezza naturale, una bara, talvolta coerentemente accompagnata da urne, lumini mortuari e fiocchi neri. Alcuni di questi cartelloni sono corredati da cifre che indicano prezzi (suppostamente concorrenziali) di onoranze funebri.

Ma sin qui saremmo nella promozione di servizi ai quali, sfortunatamente, nessuno può sottrarsi. Quello che lascia sbigottiti, però, oltre alle immagini, sono gli slogan ideati da una impresa di pompe funebri (di cui non farò il nome), nata a Roma, ma presto diventata un franchising in tutta la Penisola. Ne riporto alcuni: “Questa cassa [con due esse, semiaperta e tanto di figurante cadavere] non è un albergo”; “morti sì, smorti mai”, allusione al trattamento cosmetico delle salme, a imitazione delle Funeral homes statunitensi; “posto fisso a tempo indeterminato”, con immagine della bara e un prezzo tutto incluso; “regalo locale seminterrato”, con solita cassa in primo piano e preventivo promozionale; “regaliamo cappotto di legno”, dove si pubblicizza un servizio funebre con bara in offerta; “il nostro regalo è già sotto l’albero”, che naturalmente è un cipresso, con monumenti funerari sullo sfondo e una cassa in primo piano; “se non arrivi a Natale, il regalo te lo facciamo noi” è l’ultimo di molti altri simpatici messaggi. Io posso anche arrivare a comprendere, pirandellianamente, che si può ironizzare su tutto; persino sulla morte. E forse ci sarà anche chi, vedendo manifesti simili, possa apprezzare un tale humour nero. Ma tale apertura di spirito, credo, si può provare soltanto se non si ha bisogno di quel prodotto. In altri termini, escludo che in caso di necessità la pubblicità sia l’anima (è il caso di dirlo) del commercio.

Un esempio di carosello

Concludo tornando alla Tv, oggi regina incontrastata della pubblicità ed emanazione diretta, anzi braccio armato, del marketing; tra i “consigli per gli acquisti” (consigli molto spesso non richiesti) che la televisione elargisce, ormai da anni è crollato un altro tabù ed è nato un sottogenere nuovo, che si potrebbe definire, in senso restrittivo e impreciso, escrementizio. In effetti va ben oltre i fatti che non solo io feci ma tutti a questo mondo, prima o poi, fecero, fanno e faranno. Comprende anche sudore (il primo a rompere il tabù), urina, mestruazioni, catarro, sanguinamento gengivale e tutto l’allegro carrozzone dell’umano catabolismo.

Al riguardo, si potrebbe raccogliere un vasto campionario di spot che con scrupolosa precisione non priva di realistici diagrammi e che in certi casi si serve di giovani modelle sedute sul “trono”, illustrano cicli mestruali, ascelle graveolenti, perdite varie e, naturalmente, reclamizzano prodotti utili ad eliminare o almeno far fronte a tali circostanze. Non mancano aitanti signori e avvenenti signore (cinquantenni o poco più, ma spacciati per quasi vecchietti ancorché in ottima forma) che dopo aver confessato, vergognosi, di essere afflitti da perdite urinarie ritrovano il sorriso grazie all’applicazione di assorbenti studiati per i due sessi. Il messaggio è chiaro: se persone così giovanili, curate e di bell’aspetto hanno “quel” problema, nessuno troverà niente di male se qualche perdita dovessi averla anch’io, che in ogni caso sono al sicuro grazie al pannolone “Ciaopipì” (il marchio è di fantasia).

Temo anche che di questo passo la gamma di situazioni incresciose, per non dire schifose, sia destinata ad aumentare e in futuro avremo, chissà, flèmmoni, ascessi, essudati etc. Peraltro, ciò che trovo oltremodo disturbante è che certi messaggi pubblicitari vengano trasmessi regolarmente all’ora di cena, tra le 19:30 e le 20:30, fascia di massima audience, quando si sta nel bel mezzo di quello che per la maggioranza delle famiglie italiane è l’unico pasto in comune.

Una mia poesia romanesca, tratta dalla raccolta Cènto sonétti ‘n po’ scorètti, pubblicati qualche anno fa.

 

PROPAGANNA ‘N TIVVÙ

A ‘na statua fascista, chiacchieróna 1,

je scappò détto ar tèmpo de l’annóna 2:

“Ce vò pròpio ‘no stòmmaco de fèro

pe magnà er pane der zecónn’ impèro” 3.

 

Mó che er reggime è mòrto sènza glòria,

(ammenoché…ma quélla è n’antra stòria 4)

‘no stòmmaco de fèro viè benóne

pe cèrti annunci dàa televisióne.

 

Tutte ‘e sére a céna, puntuarménte,

s’ha da véde ‘n omóne ‘ncontinènte

e n’antro, pènza ‘n po’, co ‘na diarèa

che nun ze férma e pare ‘na marèa.

 

Ma quésto ancóra è pòco: cèrte nòtti,

tanto pe rimané ner gabbinétto,

‘na strónza che se spazzola li dènti

 

ner lavandino sputa sangue a fiòtti.

E pe finì un pupo sur vasétto:

“A Ma’ me puzza!” e pare che la sènti…

 

1 Nella tradizione delle statue parlanti romane.

2 Le esigue razioni, solitamente di scarsa qualità, che attraverso le carte annonarie il regime distribuiva alla popolazione civile.

3 Così Benito Mussolini aveva denominato l’Italia, dopo le conquiste coloniali africane del 1936.

4 Molti, oggi, sembrano ignorare le nefandezze e i guasti della dittatura fascista.

 

Insomma, se nella programmazione pubblicitaria si deve proprio far riferimento alle funzioni fisiologiche, lasciatemi almeno fare una raccomandazione: invece che all’ora di cena, certe réclame le si mandi in onda al mattino. Del resto, lo riconosceva anche la sapienza medica della celebre Scuola Salernitana: “Defecatio matutina bona tam quam medicina. Defecatio meridiana neque mala neque sana. Defecatio vespertina ducit hominem ad ruinam”.

 

Carlo Giacobbe Giornalista. Corrispondente da varie capitali europee ed extraeuropee

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