Ora che il premio Nobel per la medicina è stato attribuito alla biochimica ungherese Katalin Karikò e al medico statunitense Drew Weissman, che sono riusciti a mettere a punto il vaccino contro il Covid, è logico e auspicabile che si torni a parlare dello stato dell’arte della ricerca.
Questa, oltre alla pandemia, si ritiene che potrà portare tra non molto a produrre vaccini in grado di contrastare altre malattie dal gravissimo impatto planetario: tra queste alcune forme neoplastiche, HIV, malaria, sindromi autoimmuni come l’artrite reumatoide o il lupus eritematoso e anche certe cardiopatie. Da profano quale sono, ma interessato da sempre alla medicina essenzialmente come fenomeno sociale, cercherò di fare il punto sui meccanismi di azione portati alla luce da queste ricerche, così come le ho desunte (e per grandi linee comprese) leggendo varie pubblicazioni destinate a noi che rappresentiamo il “grosso pubblico”, senza però eccessive semplificazioni; un pubblico non certo di addetti ai lavori, quindi, ma non di meno curioso di argomenti così avvincenti e di vitale importanza per l’umanità.
Di particolare efficacia mi sono parse le sintesi che degli studi sui nuovi vaccini hanno diffuso l’Istituto Mario Negri e la Bbc, sulle quali mi sono largamente basato nel riferire qui di questi studi. L’assegnazione del premio è avvenuta in concomitanza con una ripresa generalizzata del Covid, del resto prevista e per fortuna non così virulenta, grazie soprattutto agli effetti delle circa nove miliardi di dosi praticate nel mondo.
Il Nobel e il non trascurabile aumento di casi di Covid non potevano, purtroppo, non fare da cassa di risonanza anche per il riaccendersi di un altro focolaio – che ci si augura non raggiunga una diffusione pandemica – non di competenza dei medici ma di sociologi, giornalisti e, eventualmente, magistrati. Parlo del diffuso sottomondo rappresentato dalla cultura (si fa per dire) “no vax”. Di questa parlerò più avanti, nella seconda parte dell’articolo.
Con l’unica eccezione degli ovociti, dei globuli rossi e degli spermatozoi, tutte le cellule del nostro corpo hanno nel loro nucleo il genoma completo, il Dna, in cui sono “scritte” le informazioni genetiche di ogni individuo, compresa la sua propensione a sviluppare alcune malattie. Ma da solo il Dna, una sorta di nastro con struttura a doppia elica, non può agire; quando ha bisogno di mandare un segnale a una data cellula genera una copia semplice di una determinata sequenza di quel codice genetico. Il nastro-copia si definisce mRNA, dove la “m” sta per “messaggero”. L’RNA messaggero è stato scoperto nel 1961. Ricopre un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano, essendo indispensabile per produrre le proteine. L’RNA messaggero è quindi una sorta di postino che trasmette importanti messaggi alle cellule.
Da qui nasce l’idea negli anni ’90 di utilizzare degli RNA messaggeri sintetici a scopo terapeutico: introdurre all’interno delle cellule un’informazione, l’RNA messaggero per l’appunto, per produrre una proteina terapeutica. Da quando, circa 60 anni fa, tale meccanismo fu scoperto, i ricercatori si sono sempre chiesti se ci fosse la possibilità di sfruttare il meccanismo di “copia” all’interno della cellula per produrre specifiche proteine, con finalità terapeutiche, attraverso la generazione di risposte immunologiche, come ad esempio per combattere un tumore o l’insorgenza di virus potenzialmente letali.
Questa idea, evidentemente, non ebbe riscontri se non dopo esperimenti durati molto tempo. Ciò, in primo luogo, per l’estrema fragilità di una molecola come l’mRNA, che tende a degradarsi quasi subito prima che il suo “messaggio” raggiunga il destinatario. Grazie alla scoperta delle nanotecnologie, è stato possibile inglobare le delicate molecole di RNA all’interno di piccolissime bolle di grasso (nanoparticelle lipidiche), che così riescono a raggiungere la loro destinazione ancora integre.
Lo strato di grasso si fonde con la membrana esterna delle cellule così che le molecole di mRNA vengano rilasciate all’interno della cellula stessa. Inoltre, tali composti causavano invariabilmente infiammazioni provocate da forti reazioni immunitarie, al punto da mettere in dubbio la possibilità di una applicazione pratica di questi composti sintetizzati in laboratorio.
Il passo avanti decisivo è stato compiuto nei laboratori della Pennsylvania University, quando la Karikò e Weissman hanno messo a punto delle sostanziali modifiche nella struttura dell’mRNA che ne hanno fortemente ridotto l’impatto infiammatorio; appunto questi studi sono valsi ai due scienziati il prestigioso riconoscimento dell’Accademia svedese.
I vaccini a mRNA sono vaccini contenenti RNA messaggero che porta al suo interno le istruzioni per produrre una determinata proteina virale. Nel caso di SARS-CoV-2 la proteina è la Spike. Una volta all’interno delle cellule del nostro corpo, l’mRNA fa sì che la proteina virale venga da loro prodotta, fungendo da stampo. La proteina virale verrà in seguito rilasciata nel sangue, dove verrà riconosciuta come estranea dal sistema immunitario, che di conseguenza produrrà anticorpi specifici in grado di aggredire tutto il virus, in caso di necessità. Questi anticorpi persistono solo temporaneamente nel sangue (tra 4 e i 6 mesi). Ma il nostro corpo ricorda come difendersi da successive infezioni di SARS-CoV-2, grazie a cellule immunitarie definite proprio della memoria.
Dai primi anni del Duemila, a quando risalgono i primi test clinici, la comunità scientifica riteneva che i principali organismi regolatori mondiali non avrebbero dato le autorizzazioni alla messa in commercio di questo nuovo tipo di vaccini prima della metà del 2025. È stata l’esplosione della pandemia di Covid che ha causato uno stato di emergenza praticamente planetario, obbligando i ricercatori a distogliere i loro esperimenti da patologie molto meno invasive, come per esempio il virus sinciziale respiratorio, per concentrarle su un vaccino che proteggesse contro la Sars-CoV-2. In tal modo, già nel gennaio del 2020 si poté mettere a punto il sequenziamento genetico del virus e applicare i metodi immunizzanti mediante l’mRNA. Appena dieci mesi più tardi, l’ente statunitense FDA era in grado di autorizzare Moderna e Pfizer-BioNTech la messa in vendita dei nuovi vaccini.
Si calcola che in questo momento, Covid a parte, ci siano nel mondo circa 800 centri di ricerca che lavorano per approfondire gli esperimenti con i vaccini mRNA per una quantità di malattie. Come è comprensibile, le maggiormente prese di mira sono però le neoplasie, che poi sono quelle per le quali erano iniziati gli studi con questo nuovo genere di vaccini.
Attualmente già esistono, a livello sperimentale, cure contro il melanoma e altre forme di cancro che combinano l’immunoterapia a vaccini di tipo mRNA. Il sogno dei ricercatori è di estendere questo vaccino a forme tumorali più comuni, mediante il riconoscimento di certe alterazioni cellulari in un dato paziente, proteggendolo dall’invasione delle cellule neoplastiche attraverso una reazione “personalizzata”, sulla base delle informazioni genetiche di ogni individuo. Inoltre, spingendosi ancora più avanti nelle speranze della ricerca più avveniristica, c’è tra gli scienziati chi pensa già a una sorta di “memoria immunologica” di ogni paziente colpito da cancro, in modo da poter intervenire con una sorta di “richiamo” in presenza di metastasi o recidive.
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Ricordo che quando ero bambino, alla fine degli anni Cinquanta, un vecchio farmacista amico di mia nonna, uomo noto per essere spiritoso e autoironico, alludendo ai suoi clienti soleva ripetere al loro indirizzo, con finto cinismo, l’augurio di “una vita lunga e malaticcia”. Se fosse ancora vivo al giorno d’oggi, quel signore sarebbe subito identificato come il subdolo emissario di una rete mondiale di malaffare, facente capo a un pool di potentati farmaceutici, meglio noto come “Big Pharma” e che si potrebbero indicare anche come “i cattivi”.
Ma a mettere a nudo e denunciare le malversazioni delle grandi Case farmaceutiche, per fortuna, ci pensa un’altra rete con finalità opposte e virtuose, rappresentata dal popolo dei “no vax”. L’ironia, come spero si comprenda, è palese. Ma è davvero difficile prendere sul serio una stampa che difende toto corde le posizioni dei “no vax” e che, parlando di Organizzazione mondiale della sanità, di virologi di chiara fama e dei più qualificati centri di ricerca mondiali li definisce “cosiddetti esperti”, soffiando ormai da anni sul fuoco del più irragionevole negazionismo, dalla crisi climatico-ambientale fino, appunto, al Covid.
Tutte fanfaluche, secondo i negazionisti, artatamente messe in piedi dai potentati mondiali a discapito di creduloni affetti da dabbenaggine.
In realtà, secondo loro, il Covid e le sue ultime varianti non sono che semplici forme influenzali che, ammesso che qualche contagio ci sia, si curano tranquillamente. Basta usare anti infiammatori non cortisonici, antipiretici, ginnastica isometrica da fare a casa (magari meglio se con un trainer personale), terapie con anticorpi monoclonali (notoriamente a buon mercato e che il nostro florido SSN fornisce doviziosamente), oppure medicine antivirali o, se dovesse instaurarsi qualche birichina infezione batterica, con buoni antibiotici come ai vecchi tempi. Naturalmente, pur di vendere i loro vaccini, tutto questo i soliti potentati lo sanno ma non lo dicono.
Un giornale ha raccontato di “Cassandre del Covid”, alle quali non pare vero ricominciare a parlare di contagi, mascherine e oscure mene politiche. Un altro ancora, ribadendo che non c’è alcuna emergenza, ha accusato chi “fomenta il terrore”. Per finire, ancora una presa di posizione di un quotidiano per così dire “anticonformista”: nel senso che, con un’autorità che non gli si conosceva, ha scritto che la decisione di dare il Nobel per la Medicina e la Biologia a Karikò e Weissman è stata una scelta “discutibile”. A sostegno della sua tesi (o forse si dovrebbe parlare di “rivelazione”?) quel foglio parla niente meno che di una “rivolta” dei medici e degli odontoiatri “no vax”.
Due di questi operatori sanitari (uno dei quali radiato dall’Omceo), che complessivamente rappresentano circa lo 0,3 per cento del totale degli iscritti all’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri, hanno dichiarato che la notizia del Nobel è stata un gesto di “propaganda politica”; anzi, “uno schiaffo in faccia ai medici che lavorano in scienza e coscienza”.
Peraltro, per sapere che in buon italiano uno schiaffo è per definizione sulla faccia non si richiede un grande linguista, basterebbe un qualsiasi medico, ancorché “no vax”. A meno che gli stessi interessati non tendano a fare confusione tra i siti di applicazione di uno schiaffo e di una sculacciata. Cosa grave, per chi l’anatomia dovrebbe conoscerla.
Carlo Giacobbe – Giornalista