La vicenda del sequestro e della successiva liberazione di Cecilia Sala ha rappresentato un momento di forte tensione tra Italia e Iran. La partita non si giocava solo tra i due Stati, investendo quindi altri Stati, altri interessi e altri protagonisti visibili e invisibili, palesi e occulti, così come è sempre stato per una area strategica e sensibile per i traffici commerciali tra i tre continenti.
L’arresto della giornalista italiana a Teheran ci riporta a rivivere i rapporti tra i due Stati contrassegnati da fasi contrapposte: ad una prima fase di intensa amicizia dal dopoguerra fino all’avvento della rivoluzione islamica che in virtù di una sostanziale distanza ideologica, culturale e politica, ne ha raffreddato i rapporti.
Non dimentichiamo che la prima visita di un capo di Stato straniero ospite della Repubblica italiana fu fatta proprio dello Scià di Persia nell’agosto del 1948 proveniente da Ginevra. L’archivio del Quirinale racconta nei dettagli le giornate romane dello Scià con l’arrivo a Ciampino, i ricevimenti istituzionali al Quirinale e a Villa Madama, le visite culturali ai Fori Romani. Non mancò un episodio curioso. Dopo la cena di gala nella Sala degli Arazzi e in quelle adiacenti mancò la luce e il Presidente Einaudi per superare il disagio portò l’illustre ospite a visitare altre sale e i giardini del Colle.
L’accordo di amicizia
Nel 1950 venne firmato un trattato di amicizia. Tra il 1951 e il 1953 si svilupparono intense relazioni culturali con il progetto Carafa, vicepresidente dell’Agip, che aiutò l’Iran a risolvere il problema delle raffinerie ad Abadan dopo le tensioni con la GB, svolgendo un rilevante ruolo di mediazione. La parentesi del leader nazionalista Mossadegh portò alla fuga proprio a Roma dello Scià e il successivo ritorno in patria fu possibile per il rovesciamento di Mossadegh con determinante coinvolgimento e il sostegno degli apparati di intelligence di USA e GB.
Lo Scià nel 1953 all’ambasciatore italiano Enrico Cirulli manifestò il desiderio di intensificare i rapporti con l’Italia. Si aprì per il nostro Paese una lunga fase di relazioni amichevoli che si intensificarono attraverso progressivi accordi bilaterali.
Protagonista per l’Italia fu Enrico Mattei che nel 1956 si recò in visita ufficiale ottenendo lo sfruttamento di 3 zone nel sud dell’Iran per 23 mila kmq al di fuori delle aree di sfruttamento angloamericano. L’accordo fu poi firmato nel 1957.
L’azione di Enrico Mattei fu consolidata nel 1964 da Marcello Boldrini, suo successore all’Eni.
Il grande progetto di sviluppo economico e di modernizzazione prese forma con diverse terminologie: la grande Civiltà, la Rivoluzione Bianca e l’Armata del Sapere, come campagna di alfabetizzazione.
L’Italia fu protagonista sia in ambito culturale con la collaborazione degli scavi archeologici sia nella realizzazione di grandi infrastrutture come la grande diga sul fiume Dez, la centrale elettrica di Isahan, le linee elettriche del Khuzestan, gli aeroporti di Zahedan e Bander Abbas.
Aumentarono progressivamente le presenze italiane soprattutto tecnici, che nel 1970 erano 1400. Anche religiosi, come i salesiani e le suore oblate avevano significative presenze. Rilevante il ruolo dell’istituto di cultura nel campo archeologico e della cooperazione con un ruolo specifico dell’Italia nell’ambito del II programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Per l’Iran veniva riproposto lo schema di modello già avviato con altri paesi come Tunisia, Costa d’Avorio, Kenya, Somalia.
L’attenzione di Moro, i suoi viaggi in Iran
Particolarmente interessanti sono i documenti dell’archivio Moro durante i governi del primo centro sinistra, allorquando Moro ricopriva la carica di presidente del Consiglio e anche quella di ministro degli Esteri, ad Interim, nel 1964 quando Saragat fu eletto Presidente della Repubblica.
Moro fu interessato dal movimento degli studenti iraniani in Italia alla situazione degli studenti coinvolti nell’attentato allo Scià Reza Pahlevi in Iran con l’azione sensibilizzatrice dei socialisti, così come avverrà poi nel 1978 per gli incidenti repressivi di Tabriz. Moro veniva puntualmente aggiornato dai vertici dell’Eni sulla situazione locale e per le azioni diplomatiche necessarie al rafforzamento delle relazioni.
Di particolare rilievo fu la visita di Aldo Moro del 16 – 18 settembre del 1970, in qualità di ministro degli Esteri del Governo Colombo. Fu siglato un accordo con l’omologo ministro Zahedi per lo sviluppo di centri di formazione scientifica. Aziende italiane da Impregilo a Saipem da italstrade a Pirelli da Gie a Sae, solo per citarne alcune, erano capofila dello sviluppo di programmi dei settori di competenza, dalle costruzioni alla componentistica, dal minerario all’impiantistica che muovevano la filiera delle PMI.
Alla visita di Moro si aggiunge quella, sempre ufficiale di Arnaldo Forlani, ministro degli Esteri del governo Andreotti, dall’1 al 4 maggio del 1978 nel pieno del sequestro di Aldo Moro, a conferma dell’attenzione dell’Italia per quel Paese con un ruolo di accentuata posizione nella parte meridionale dell’Asia, attraversata da crisi e periodiche tensioni internazionali.
Arnaldo Forlani rafforza l’idea della cooperazione internazionale valorizzando il ruolo dei tecnici italiani “che hanno svolto il ruolo di ambasciatori del nostro Paese”. Le ingenti risorse finanziarie derivanti dai proventi del balzo del prezzo del petrolio dovevano essere indirizzate in un colossale programma quinquennale. Lo Scià si dimostrò particolarmente attento alla vicenda di Aldo Moro. Forlani visitò le rovine di Persepoli in cui erano impegnati archeologi italiani. Con Forlani di fronte alla crescita della popolazione italiana si arrivò alla diffusione di trasmissioni in lingua italiana alla radio iraniana.
La visita si chiuse con la prospettiva della partecipazione dell’Italia al programma di sviluppo nucleare, allora ad uso civile e non militare. Sullo sfondo c’erano due potenze come l’Urss e la Cina, che guardavano con interesse a quel teatro strategico per accentuare la loro presenza attraverso aiuti e sostegni in iniziative di sviluppo. Aldo Moro nella sua visita del 1970 sottolinea “il suo sforzo a sensibilizzare maggiormente l’Europa in una grande azione”. Accentua il contributo allo sviluppo culturale e sociale. Era la pace il tema dei colloqui.
Per Moro, come scrisse l’inviato del Popolo Marcello Gilmozzi occorreva creare “una catena di responsabilità nella quale
l’Europa deve assumere una precisa coscienza del suo senso politico e la posta che è realmente in gioco una conquista di sicurezza che qui devono saldarsi nel cerchio di precise garanzie se non si vorrà compromettere le prospettive incoraggianti di una più grande distensione”. Era una azione guardinga ma tenace. La visione politica europea veniva privilegiata rispetto a sterili nazionalismi. Moro visitò i siti archeologici e lo stabilimento dell ‘Agip come riconoscimento della presenza italiana.
Poi il 23 luglio del 1971, nelle fasi dell’annuncio della visita di Nixon a Pechino, intervenendo alla Camera sulla politica estera, Moro, avverte l’azione crescente della Cina Popolare in aree strategiche che – va ricordato – muove dalla conferenza afroasiatica di Bandung del 1955 per stringere relazioni con i movimenti di liberazione e con i paesi africani indipendenti. Per la Cina si trattava di un discorso ideologico e di buone relazioni che parte dal nord Africa, al Cairo come centro nevralgico, e si spinge poi al Centro Africa, e infine all’intero Continente.
Una offensiva cinese con l’invito “venite a vederci” di Ciu en-Lai poi dopo la fine della rivoluzione culturale poggia su crescente assistenza finanziaria, tecnica e militare. Era una azione che guardava a risultati di lungo termine. Quelli che suscitano allarme al giorno d’oggi.
In quel dibattito parlamentare Moro ribadì ” la sua profonda convinzione che il mondo ha bisogno della Cina per l’edificazione di una pace durevole, così come la Cina ha a sua volta bisogno del resto del mondo per sviluppare le sue eccezionali possibilità in ogni campo”.
Poi verrà la repubblica islamica e si interrompono i programmi di sviluppo
La presenza italiana si riduce da una popolazione che raggiunge una dimensione considerevole di 15 mila a 500 dei giorni nostri. In tempi più recenti, nel 1997 il ministro degli Esteri Dini visitò Teheran e con il Presidente del Consiglio Romano Prodi nel 1998 ci fu la prima visita ufficiale di un premier europeo dall’instaurazione del regime teocratico iraniano. Fu una ripresa di dialogo politico per rilanciare le commerciali ed economiche tra i due paesi. Non mancò da parte iraniana il riconoscimento del ruolo fondamentale dell’Eni di Mattei.
C’era ancora la questione sospesa del porto di Bandar Abbas e i relativi sostegni finanziari. Nel marzo del 1999 Khatami fece a Roma la prima visita di un Capo di stato iraniano in Europa. I ricorsi della storia: il 1999 come il 1948. Pur nella diffidenza del quadro internazionale condizionato dalle ambizioni del programma nucleare iraniano e alle tensioni con Israele anche durante la applicazione delle sanzioni internazionali – è stato riconosciuto – che il nostro Paese ha sempre cercato di ritagliarsi uno spazio di dialogo sia formale che informale con Teheran.
Il Medio Oriente sta vivendo una fase di turbolenze che coinvolgono Stati, popolazioni, etnie, religioni. L’Iran ha una posizione strategica nella linea dei traffici commerciali tra Est e Ovest, tra l’Oriente e l’Occidente.
L’arresto della giornalista italiana ha colpito la opinione pubblica per la pretestuosità delle motivazioni. Ripercorrere oggi alcuni passaggi acquista il significato di rivivere le scelte del passato che hanno caratterizzato l’impegno di politici manager, diplomatici e religiosi che hanno saputo interpretare il segno dei tempi per il bene del Paese.
Nel 2025 a Ciampino c’era trepidazione per il ritorno liberatorio di Cecilia Sala. Un clima ben diverso da quello del 18 agosto del 1948 quando arrivò SMI lo Scià di Persia. La luce sempre accesa della cella di Sala fa da contraltare all’oscurantismo del regime teocratico. Saprà quella luce accendere la democrazia in Iran?
La speranza: dopo la conclusione della vicenda Sala
C’è da augurarsi che da questa vicenda si possa aprire una nuova fase di relazioni non solo tra Italia e Iran, ma tra Iran ed l’Occidente tra Iran ed Unione Europea, accantonando l’odio religioso per ritrovare le ragioni di antichi legami sul terreno dei valori culturali e sociali che hanno però bisogno di interpreti nuovi.
Maurizio Eufemi – Senatore della Repubblica nella XIV e XV legislatura.