“Macron ha sottovalutato la vicenda della riforma delle pensioni, che ha aumentato le chances di vittoria di Marine Le Pen e finito di distruggere i gollisti. Non c’è più un partito di destra non lepenista. Il vero problema è che mancano quattro anni e si è già aperto il dibattito sul dopo-Macron. Non si vede una strategia per la sua successione”.
Gaetano Quagliariello, ex senatore del centrodestra per quattro legislature, ministro delle Riforme Costituzionali nel governo Letta, attualmente è presidente della Fondazione Magna Carta e insegna Storia Contemporanea alla Luiss. Conosce bene la Francia. Ha scritto una biografia di De Gaulle e da ultimo ha curato la voce sulla presidenza di Georges Pompidou per il volume che l’omonima Fondazione manderà in stampa nel 2024 per il cinquantenario della morte dell’inquilino dell’Eliseo succeduto al Generale. Ed è appena rientrato da un giro di conferenze a Parigi con think tank d’Oltralpe come la Fondation pour l’Innovation Politique, convegni con i media e incontri a Sciences Po. E avvisa: “C’è molto interesse per l’evoluzione dei rapporti tra la premier e l’Europa. Ma anche preoccupazione per la mancanza di un’Agenda Meloni dopo quella di Draghi”.
Professore, visto che è fresco di ritorno dalla Francia, cosa sta succedendo da quelle parti?
Fresco non tanto, visto che l’aereo ha avuto quattr’ore di ritardo proprio a causa degli scioperi. A mio avviso c’è stato da parte del governo un difetto di valutazione. Si è trovato di fronte a due grandi problemi, uno di breve momento – il calo del potere d’acquisto di fronte all’inflazione – e invece uno di lungo periodo – la riforma delle pensioni, appunto. Ebbene, il governo riteneva che l’opinione pubblica fosse interessata al primo problema e mettesse l’altro in secondo piano. Invece non è stato così.
Davvero migliaia di francesi sono scesi in piazza e saliti sulle barricate per non lavorare due anni in più?
La mia impressione è che dietro questa protesta ci sia un riflesso “cosmopolita”, cioè proprio dell’Europa di questi tempi, e un tema di fondo “franco-francese”. Entrambi vanno tenuti presente per capire l’accaduto, uno solo non basterebbe. Non ci si può limitare a valutare solo una riforma che allunga l’età lavorativa da 62 a 64 anni, che corregge una situazione incompatibile con le altre democrazie avanzate e casomai così poco incisiva che probabilmente toccherà rimetterci mano in un futuro assai prossimo. Anche se si dice poco che la riforma ha segnato la fine di molti regimi speciali con agevolazioni corporative.
E allora cosa ha scatenato la rabbia popolare? E’ una rivolta contro l’arroganza di Macron, le élites o un modello sociale che mostra la corda?
La Francia è una società molto impaurita del futuro. Alain-Gérard Slama, uno dei più importanti sociologi francesi, cita quattro paure: la povertà, le pandemie, le catastrofi e le invasioni, cioè l’immigrazione. Tutti elementi che rischiano di far venire meno gli equilibri e per un nonnulla far saltare lo scambio tra accettazione delle democrazia versus promessa di benessere.
È stato il covid a far saltare il tappo?
Non a caso tra le quattro paure c’è quella delle pandemie. Il covid ha ulteriormente fragilizzato la situazione, ma la Francia anticipa una situazione che temo si riprodurrà altrove. Il risultato del voto in Finlandia ci dice questo. Se non si mette mano a riforme strutturali con un inverno demografico così rigido la crisi peggiorerà perché viene minato alla base il sistema di welfare europeo.
Oltre agli spettri comuni all’Europa, lei citava un dato “franco-francese”.
Sì, mi riferivo al rapporto con il lavoro che per i francesi non porta la felicità. Nella loro visione derivante da Rousseau l’uomo è felice allo stato di natura, senza responsabilità e con tutto il tempo a sua disposizione. Ce lo dicono molti segnali, dalla battaglia per le 40 ore lavorative settimanali all’impressionante numero di festività sul calendario. I francesi si sono sollevati perché hanno visto toccato quello che considerano un diritto fondamentale.
Ha sbagliato Macron a by-passare il Parlamento grazie alla procedura del 49.3 per approvare la riforma?
Ma no. Il loro articolo 49.3 è meglio della nostra questione di fiducia. Il testo viene depositato, il Parlamento può leggerlo e alla fine rifiutarlo. Ma questa procedura mette al riparo dal rischio di maxi-emendamenti ed eccessi dell’ultimo minuto. Non mi sembra che da noi l’abuso di decreti -legge e questioni di fiducia sia meglio. La riforma delle pensioni in Italia è stata approvata da un governo tecnico e con la fiducia: di fronte a ciò che è accaduto in Francia, dunque, nessuno oggi si può stracciare le vesti. Il problema del metodo non mi sembra decisivo, e sulla riforma pende ancora la spada di Damocle del Consiglio Costituzionale.
Che potrebbe respingerla. Pronostici?
Il dato interessante è che è presieduto da Laurent Fabius, l’ex premier che abbassò l’età pensionabile da 65 a 60 anni quando all’Eliseo sedeva Mitterrand. Quindi colui che fece la riforma si trova a giudicarne la controriforma. Ma la partita può finire in qualsiasi modo, non azzarderei una previsione.
Macron si è giocato la carriera politica, come è successo a Matteo Renzi con il referendum costituzionale?
Macron la carriera politica l’ha già fatta, è stato rieletto e non è previsto un terzo mandato. Il problema è un altro: mancano ancora quattro anni e si è già aperto il dibattito sul dopo-Macron. Non si vede una strategia per la sua successione: il presidente non è riuscito a creare un partito né si scorge un Pompidou all’orizzonte. Oggi anche chi non la vuole fa i conti con la possibile vittoria di Marine Le Pen. E cerca una candidatura di centrodestra capace, al secondo turno, di mobilitare quel che resta dello spirito repubblicano che ha finora impedito ad esponenti dell’estrema destra di conquistare l’Eliseo.
Sta dicendo che Macron ha rimesso in sella la Le Pen?
Oggi come oggi la vicenda della riforma delle pensioni ha aumentato le sue chances e ha finito di distruggere i gollisti. Non c’è più un partito di destra non lepenista. E non si vede emergere una personalità forte, salvo forse Edouard Philippe, che è stato primo ministro di Macron e oggi è sindaco di Le Havre. È un comune sentire, non la mia opinione personale.
Nel suo giro di incontri che opinioni ha trovato sul governo di Giorgia Meloni? Come ci vedono dall’Esagono?
L’ambiente del gollismo moderato e liberale è molto interessato all’evoluzione dei rapporti tra la premier Meloni e l’Europa.
La considerano molto diversa da Le Pen e pensano che dovrebbe forse fare un passo in più sul tema della sovranità europea: se ci sono problemi risolvibili solo in ambito comune con quale governance si affrontano meglio? Mentre fa un’impressione negativa l’insistenza su una presunta coerenza con le proprie origini a scapito della concentrazione a governare. Sono preoccupati della mancanza di un’agenda Meloni, che dia seguito all’agenda Draghi.
Federica Fantozzi – Giornalista