Giustizia e politica, seminario all’Istituto Sturzo, scrigno della memoria Dc. Maurizio Eufemi: “Un’occasione perduta”

Non si può ricercare la verità su Tangentopoli, Mafiopoli & co discutendo con coloro che furono i protagonisti di una deriva giustizialista. Occorre una serio dibattito tra storici di chiara fama per ristabilire la verità di quegli eventi

Andreotti Craxi

Il seminario sulla giustizia che si è svolto all’Istituto Sturzo “scrigno della memoria della cultura e della storia della Dc” nell’ambito delle celebrazioni dell’ottantesimo anniversario della fondazione del partito democristiano è risultato un tentativo lodevole ma, purtroppo, inadeguato ad approfondire la complessità di vicende che richiederebbero altri interlocutori, analisi penetranti, confronti serrati, studiosi obiettivi, liberi di pensiero e dai condizionamenti personali.

Diventa allora difficile racchiudere in poche ore, mezzo secolo di storia, di politica e di giustizia rispetto alla Dc. Ogni interprete racconta, purtroppo, la propria verità senza contraddittorio, soprattutto se c’è l’urgenza di un treno per Milano che impone di lasciare l’Istituto Sturzo, lasciando l’amaro in bocca nell’assenza non solo di un contraddittorio, ma perfino di un piccolo quesito da porre al panel.

L’operazione di mettere sul piatto le questioni con i protagonisti della stagione di Mani Pulite ha finito per preparare un piatto immangiabile.

Calogero Mannino

Calogero Mannino conBruno Vespa durante una puntata di Porta a Porta (2015)

 

Il tentativo di una strenua difesa

Il tentativo di Giuseppe Gargani di affrontare con coraggio Mafiopoli e Tangentopoli, difendendo strenuamente, con grande sofferenza, sul primo versante Calogero Mannino (definito campione di lotta alla mafia che sconfigge Ciancimino sul piano politico e di grande determinante ausilio a Giovanni Falcone per la realizzazione del maxi processo di Palermo) e Andreotti, respingendo una storia di corruzione e di collateralità tra Dc e mafia è stato purtroppo vano.

E così anche sul secondo versante la vicenda di Clelio Darida, ex ministro della Giustizia con i suoi 60 dì … 60 dì … a San Vittore e poi agli arresti domiciliari come recita il suo libro di memorie per la faccenda Intermetro, una vicenda romana. Darida fu arrestato dai magistrati milanesi poi l’inchiesta passò a Roma per competenza territoriale. La sentenza della IV sezione della corte d’appello di Roma scriverà: “Devesi osservare che negli atti processuali manca un sia pur minimo fondamento a (tale) preteso concorso morale (nel reato ascritto)”. Erano gli anni dell’artiglieria giudiziaria, come scriverà Darida. E poi l’uso del carcere come mezzo coercitivo.

Sarebbe bene che si rileggessero quelle pagine illuminanti.

Gli sforzi titanici trentennali di Giuseppe Gargani di trovare una pacificazione sono stati vani, ma l’uomo è tenace e non si arrende. Permane una contrapposizione tra potere legislativo e potere giudiziario in cui la classe politica è stata certamente passiva finendo per affermarsi un panpenalismo figlio di Tangentopoli e di una certa cultura della giurisdizione.

Le responsabilità di politica e giornalismo

In tutto questo scenario non sono mancate le responsabilità della politica e del giornalismo. E allora a sentire certe risposte dei magistrati che si rifugiano nell’innovazione del processo penale del ’92 con dibattimenti limitati, ma indagini amplissime o il solitario processo a Cusani, dimenticando il contesto dei suicidi di Cagliari e di Gardini, o focalizzando sulle percentuali aritmetiche tra assolti e prescritti. Quasi che fosse una responsabilità del Parlamento avere ridotto i termini della prescrizione evitando che il processo fosse infinito e non il “giusto” così come poi previsto dalla modifica costituzionale del 111.

Avere sentito dire “Darida è stato risarcito per ingiusta detenzione” dal magistrato del Pool, mi ha fatto sobbalzare. Come se quella tragedia umana e familiare che colpiva un ex ministro della giustizia e delle partecipazioni statali e il partito di cui era stato protagonista come sindaco della Capitale potesse avere un prezzo in lire senza contare le conseguenze politiche e morali.

Antonio Di Pietro

Antonio Di Pietro

 

Sono state ripercorse le vicende della metropolitana milanese, dei petroli, della P2, dei fondi neri dell’Iri e con il trasferimento per questa indagine, della competenza a Roma. Poi nel vol-au vent sono state ricordate le inchieste giudiziarie di altre Tangentopoli localizzate in altre sedi giudiziarie come Bari Venezia Napoli.

Sì è evitato di dire come è andata, per esempio, la vicenda di Bari che ha visto coinvolti Lattanzio e Formica. Così come non si è fatto cenno ai tanti magistrati protagonisti di inchieste, poi diventati anche leader politici, finiti per essere eletti in Parlamento. Non è sufficiente dire che la classe politica sarebbe uscita dal processo se si fosse scelta la strada indolore e si è andati avanti con il sistema giudiziario che esisteva perché si omette di ricordare la vicenda del decreto del ministro Biondi e dei magistrati protagonisti in tv contro il potere legislativo.

Si finisce per non affrontare il ruolo di alcune centrali culturali finanziarie internazionali con l’azione di informazioni recapitate come rivelazioni scandalistiche più diventate notitia criminis.

Protagonisti di quegli anni hanno efficacemente ricordato nei loro libri che le vicende degli anni Ottanta furono le prove generali di Tangentopoli con l’obiettivo di togliere ai partiti politici i mezzi finanziari non controllati e disciplinati dalla finanza internazionale speculativa e dunque gli spazi di autonomia sulle scelte politiche. Ma non bastava Tangentopoli, occorreva aggiungere Mafiopoli! Con il processo Mannino e la sua assoluzione è crollato il castello di carta.

Il giudice Giancarlo Caselli con Virginio Rognoni (2006)

Il giudice Giancarlo Caselli con Virginio Rognoni (2006)

 

Ma le sorprese più grandi avvengono quando si sente l’esaltazione di due grandi presidenti del Csm: Giacinto Bosco e Virginio Rognoni.

Scopriamo che le ragioni di questa ammirazione per Giacinto Bosco derivano dagli effetti della sua iniziativa legislativa del 1971 che portò alla introduzione del sistema proporzionale del Csm rispetto all’allora vigente maggioritario. Tutto ciò nonostante in quella vicepresidenza vi fosse una marcata opacità e poca trasparenza nella circolazione interna dei verbali, dunque sulla pubblicità degli atti. Beh, quel progetto di legge (atto Camera 3025 V leg) che prevedeva l’introduzione del sistema proporzionale aveva finalità in coerenza con la Carta Costituzionale giacché gli organi elettivi – così recita la relazione – devono essere caratterizzati in funzione della rappresentanza proporzionale delle forze che vi danno corpo.

Si voleva rompere la notevole disparità di assegnazione nei seggi. Lo sproporzione era tra la rappresentanza della Cassazione e Corte d’appello e di tribunale. 700 magistrati di cassazione avevano 6 rappresentanti nel Csm, mentre i 6000 di appello e di tribunale nei primi anni Settanta avevano la stessa rappresentanza di quattro membri ciascuno. Dunque più democrazia. Nessuno poteva prevedere i fenomeni degenerativi correntizi che si sarebbero riscontrati successivamente. Virginio Rognoni con la sua forte esperienza politica, rappresentò una candidatura per spirito di servizio prevalendo su un candidato forte come Nicola Buccico.

 Una storia più complessa di quella raccontata

Virginio Rognoni doveva essere candidato già nel 1995, fu proposto, ma Elia nel Ppi impose Piero Capotosti. Era il frutto dell’accordo politico tra Ppi e Pds. La scelta di Rognoni sarà rinviata al 2002.

In questi passaggi rievocativi trova spazio Vittorio Bachelet, con presenze variegate di tutti gli orientamenti, la stagione del terrorismo e la tenuta complessiva del sistema. Vengono dimenticati altri autorevoli vicepresidenti del Csm, indietro nel tempo Ercole Rocchetti e Alfredo Amatucci o successivamente come Cesare Mirabelli, lo stesso Capotosti, Giovanni Verde, (autore peraltro di un bellissimo penetrante libro sul difficile rapporto tra giudice e legge) Carlo Federico Grosso, per stare tra i tecnici o Nicola Mancino tra i politici.

Lo scudo crociato, il simbolo della Dc democrazia cristiana

Lo scudo crociato, il simbolo della Dc

 

Che cosa ricavo da questo dibattito: una magistratura sulla difensiva, una sostanziale diffidenza in trovare punti di incontro in una auspicata serenità per le riforme sulla giustizia. Il potere massmediatico ha scritto la storia di un sistema criminale, un grande processo di massa che ha alimentato una ondata di populismo. Non potrà esserci un riequilibrio tra i poteri dello Stato fino a quando la politica non assumerà la consapevolezza di affrontare la questione giustizia in termini nuovi per superare diffidenze, rancori e ostilità rispetto alla contrapposizione tra potere legislativo e potere giudiziario.

E allora per tornare al tema principale ritengo che nell’ambito delle celebrazioni per l’ottantesimo della Dc dovrebbe essere prevista una occasione in cui storici di chiara fama possano confrontarsi sul terreno delicato come la giustizia, verificando scientificamente con ricerche accurate le politiche antimafia portate avanti a partire dalle commissioni di inchiesta passando per i deliberati congressuali e parlamentari che hanno visto la presentazione di mozioni, l’introduzione della legge Rognoni – La Torre e tutto il pacchetto legislativo degli anni Ottanta.

I documenti parlamentari sono on line. È sufficiente valorizzarli

E sul problema di Tangentopoli potranno essere prodotte analisi sulla interpretazione della legge, sia rispetto ai reati di corruzione, di finanziamento illecito ai partiti, al falso in bilancio. Vista la impossibilità di procedere con una commissione di inchiesta, un contributo scientifico potrà consentire di giungere a un punto di mediazione che eviti sterili arroccamenti in cui ogni parte scriva la sua storia, ma non è la Storia in cui si possano trovare più generali consensi.

E allora, cari Zecchino e Gargani, cosa volete ottenere da un dibattito con Gherardo Colombo e Bruti Liberati fermi sulle loro posizioni di membro del pool Mani Pulite il primo, e, dell’associazione nazionali magistrati se non riescono ad esprimere quella onestà intellettuale di Cesare Salvi, per il quale gli accadimenti del 92-94 non possono essere attribuiti a quattro-cinque ma bisogna guardare oltre, in alto verso il Colle ( era presidente Oscar Luigi Scalfaro, NdR) e più in profondità.

Occorre rispondere agli interrogativi di chi perseguiva la debolezza esterna del nostro Paese, l’azione degli apparati interni e internazionali – come hanno dimostrato recenti documenti del dipartimento di Stato – in definitiva il mutamento del quadro politico interno con la convergenza tra postberlingueriani e un pezzetto di sinistra Dc.

Per dare risposte a questi interrogativi e per celebrare degnamente la storia della Dc è necessario cambiare interlocutori.

 

 Maurizio EufemiGià senatore nella XIV e XV legislatura

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