Francesco Saverio Vetere: la nuova frontiera dell’editoria e le nuove sfide

Intervista al Segretario generale dell’Unione Stampa periodica italiana, che guida da 20 anni, in occasione del convegno per i 70 anni dell’Uspi. Il convegno si svolgerà il 19 Giugno nella storica sala Zuccari, di Palazzo Giustiniani, alla presenza di giornalisti, rappresentanti delle Istituzioni culturali e del sottosegretario all’Editoria

 

Riproponiamo, per gentile concessione, il testo dell’intervista di Vetere a una testata associata all’Uspi Paese Press.

Partiamo dal titolo scelto per il convegno, “Il Bello e il Bene”, un titolo impegnativo che riprende i concetti di kalòs e agathòs di Platone che, per il filosofo greco, erano strettamente connessi, l’uno non poteva esistere senza l’altro. Perché la scelta di questo titolo? E soprattutto, è possibile mantenere integro tale binomio nel mondo dell’editoria e dell’informazione in particolare?

“Possiamo individuare tanti significati, diretti e indiretti, di un titolo così impegnativo. Devo dire che sono un appassionato di filosofia e dopo varie peregrinazioni nella modernità per circa 20 anni sono tornato a Platone, cioè al fondamento del pensiero di noi occidentali. Quindi si tratta di una passione, perché noi viviamo di passioni e tendiamo a ricondurre tutte le cose che accadono nella nostra vita a ciò che ci muove, ci determina ogni giorno. Non saprei vivere freddamente, non mi divertirei, non troverei un senso a tutto il lavoro che faccio.

 

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L’USPI è nata 70 anni fa per tutelare i giornali culturali ponendosi come punto di riferimento alto, non meramente commerciale di un settore dell’informazione che si fondava su principi che andavano al di là della logica dell’impresa. Tuttavia, nei decenni successivi la piccola e media editoria ha chiesto tutela. Noi non ne avevamo assolutamente alcuna voglia, ma abbiamo sentito il dovere di rappresentare presso le istituzioni le necessità di un comparto debole. E alla fine abbiamo rischiato di snaturarci perdendo di vista il tema della qualità, messo inopinatamente in secondo piano rispetto alla libertà di stampa. Dovrebbero, invece, sempre andare di pari passo.

Abbiamo dedicato molto tempo e molti anni alle cose che più interessavano gli editori piccoli. In particolare, le tariffe postali, i contributi pubblici, i contratti di lavoro. Sono tutti temi importanti e dolenti che però necessitavano di un lavoro in profondità, in alcuni casi di una vera e propria demolizione e ristrutturazione del sistema, strutturato sulle necessità di alcune lobby che facevano il bello e il cattivo tempo e condizionavano pesantemente tutta l’informazione. Così il tema della qualità, che io chiamo “bellezza” è stato messo da parte. Ancora di più quando è arrivata l’informazione online e sono nati i motori di ricerca e i social.

Assistiamo a un fenomeno veramente molto grave: l’attività giornalistica, allo stato, dev’essere strutturata secondo le linee guida dell’indicizzazione (la SEO) che impongono un linguaggio e un’ampiezza dei contenuti sempre più basici e fondati su regole comuni, quindi sulla costruzione di un modo di comunicare e di pensare uniforme. Una cosa orribile. Perché è successo? Perché l’informazione online è cresciuta sul modello della gratuità e si sostiene con le visualizzazioni determinate dall’approvazione degli algoritmi, dei motori di ricerca e dei social. Non c’è altra strada che stare nei canoni dell’economica guidata dai Big Data, che presuppone la gestione dei nostri dati da parte degli OTT (Over The Top). Questo tempo sta per finire. Questo modello sta per finire. I dati come i diritti dell’uomo non potranno più essere gestiti secondo le vecchie linee guida e il modello degli OTT andrà progressivamente sempre di più in crisi.

 

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Il futuro si giocherà, a mio avviso, sulla qualità dell’informazione posta in vendita, libera, per quanto potrà esserlo, dai condizionamenti linguistici e contenutistici degli algoritmi. Questa è la strada da percorrere. La qualità che porta all’informazione fondata sulla verità e non sulla ricerca truffaldina di visualizzazioni. Questo è ciò che noi dobbiamo sviluppare e promuovere staccandoci da piccole logiche lobbystiche e da più grandi logiche commerciali mascherate da libertà di internet. La chiamate libertà quella che impone un certo linguaggio e un certo contenuto?”

Nel mondo digitale e interconnesso del XXI secolo sono molteplici le sfide che l’Editoria in generale e l’Informazione si trovano ad affrontare: dall’aumentata velocità dei flussi comunicativi, ai cambiamenti nelle modalità di produzione, distribuzione e fruizione dei contenuti editoriali. Nel convegno “L’informazione del XXI secolo” svoltosi a Roma nel dicembre 2022, analizzando il tema della crisi del settore cartaceo nell’informazione, lei ha affermato che “è importante per USPI mettersi all’ascolto del mondo”. Come riesce USPI concretamente in questo intento, come ha cercato di rinnovarsi per restare al passo con i tempi e che tipo di supporto riesce a dare in questo ai suoi associati?

“Ci siamo messi continuamente “all’ascolto del mondo”. Dapprima il nostro piccolo mondo italiano, in cui i giornali, soprattutto quotidiani, per esistere avevano bisogno sempre di un aiuto pubblico. Poi all’ascolto delle dinamiche internazionali e abbiamo cercato di comprenderne le trasformazioni. L’informazione cambia e si svincola progressivamente dall’idea di giornale per frammentarsi in contenuti fruibili singolarmente. La vecchia definizione di giornali era quella di un’opera collettiva. Non sarà più necessariamente così, ma si tratterà sempre di informazione, cioè della produzione di contenuti informativi non occasionali, da parte di soggetti che praticano regole di mestiere. Come vedete, non è più “il giornale” ma può essere un blog, una pagina social, un podcast, un video, qualunque cosa.

 

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Per questo abbiamo creato un contratto collettivo nazionale di lavoro che non è solo giornalistico e non si riferisce solamente ai giornali ma a chiunque produca informazione in qualunque forma. Il contratto CISAL rappresenta un’avanguardia e, forse, è l’ultima frontiera della regolamentazione contrattuale dell’informazione. Al di là di questo contratto non c’è nulla. Finisce la regolamentazione del lavoro per come noi l’abbiamo conosciuta”.

Dal 1953 a oggi, qual è il bilancio dell’attività dell’USPI? Quali sono le maggiori difficoltà incontrate negli anni, quali i traguardi raggiunti di cui andare più fieri e quali i progetti per il futuro?

“In 70 anni l’USPI ha fatto molte cose. Ha difeso il settore più debole, evitando che i grandi editori prendessero tutte le risorse, soprattutto pubbliche. Ha favorito la regolamentazione della nuova editoria online a livello di definizione di prodotto editoriale e di tutela contrattuale. Ha generato pluralismo sindacale, andando a stipulare contratti con sindacati che prima non rappresentavano i giornalisti.

Ma potrei raccontarLe dei rapporti dell’USPI con l’Europa dell’est durante la Guerra Fredda, della nascita dell’editoria periodica come indicatore di libertà progressivamente acquisita nell’est, delle scuole di editoria, dell’insegnamento universitario, degli studi sulla libertà di stampa. Ma non amo rivolgermi al passato. Voglio pensare al futuro nel senso di contribuire al prossimo passo, cioè a definire il rapporto tra la produzione di informazione e l’Intelligenza Artificiale (IA). Che ne sarà del giornalismo per come lo conosciamo? Ho idea che il giornalismo umano creerà e rappresenterà una nicchia in un mare magnum di informazioni generate dall’IA. E sarà imprescindibile, ma con numeri incomparabilmente inferiori agli attuali.

I problemi che porrà questa trasformazione sono talmente enormi da non poter essere denunciati ora per intero. Cominciamo dai princìpi. Il Bello e il Bene sono a fondamento del mondo per come vogliamo conoscerlo e per come lo desideriamo”.

 

 

Redazione

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