Italia “sorvegliata speciale” fin dal dopoguerra. Il ruolo di Raffaele Mattioli, Enrico Cuccia. Le interpretazioni di De Rita e Violante. Un interessante riconoscimento a Craxi

Gli americani liberarono l’Italia dal giogo nazifascista, e questo chi lo può negare? ma poi si … “affezionarono” così tanto – complice anche la divisione del mondo in due blocchi – che desiderarono diventare di fatto (se non di …diritto per meriti acquisiti) i “tutori”, i Lord protettori di un Paese spesso sul filo di, o a rischio di, una specie di “sovranità limitata” (il caso di Sigonella, ottobre 1985, fu una pietra nello stagno di questa radicata tendenza).

L’Italia, con liberi Trattati, sottoscritti dai governi e ratificati dal Parlamento, diventò parte dell’Alleanza atlantica, del mondo occidentale, in un mondo diviso in zone di influenza secondo l’accordo di Jalta del febbraio 1945, quando la guerra non era ancora finita ma poco mancava alla vittoria. Ma c’era chi pensava di testa sua a prefigurare per l’Italia un ruolo dimidiato. Non siamo certo a una versione aggiornata e contemporanea della formula di Metternich (Italia espressione geografica) ma a qualcosa che un po’ le somigliava.

Stiamo esagerando?

Vediamo cosa aveva in mente Winston Churchill. Il premier britannico, che alla Conferenza di Jalta c’era con Roosevelt e Stalin, aveva per l’Italia una idea di libertà economica ridotta. Il nostro Paese, a vocazione naturalmente e storicamente mediterranea, guastava la festa e i piani all’Impero britannico che voleva nel Mare Nostrum, e non solo lì, le mani libere. Il disegno di questo futuro “minore” perché era stato pensato per l’Italia e non anche per la Francia? Eppure anche il Paese d’Oltralpe era stato salvato dall’intervento americano, con lo sbarco in Normandia. Evidentemente la Francia aveva altri “titoli” agli occhi del premier col sigaro, che mai avrebbe osato sfidare il generale De Gaulle.

 

Il 75esimo anniversario della Conferenza di Yalta: "Il padre di tutti i summit" - la Repubblica

 

Dall’altra parte, pensando agli Usa, rappresentati a Jalta da Roosevelt, i governi italiani fin dal dopoguerra hanno guardato agli Stati Uniti come al Paese di riferimento; e ogni governo che nasceva ricercava il consenso della Casa Bianca, e ogni presidente del Consiglio tornava dalla sua visita al presidente Usa di turno con una sorta di riconoscimento e di “legittimazione” politica rafforzata. Salvo poi essere affondato in Italia dal fuoco amico del loro stesso partito e da alleati interni. Ma questa è un’altra storia.

Del resto, dopo un Draghi che cercava di appoggiarsi più sull’Europa, salvo anche lui stringersi agli Usa nella fine del mandato, anche l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ritenuto politicamente utile stabilire da subito un sincero e stretto rapporto con gli Americani. Siamo quindi nella continuità anche della politica estera italiana.

Un classico di questa prassi di “riconoscimento” e avallo politico fu il viaggio di De Gasperi nel gennaio 1947 (c’era andato anche l’anno prima per gli aiuti economici per far rinascere l’Italia dalle macerie della guerra). Al ritorno in Patria, De Gasperi – come da “intesa” con l’alleato americano-   sbaraccò dal governo comunisti e socialisti. E si prepararono le mosse per la resa dei conti elettorale del 1948, da cui il Fronte popolare uscì con le ossa rotte, e il Psi, per la scelta frontista di Nenni, perse il primato nella sinistra italiana e mai più si riprese dalla condizione di “seconda forza” rispetto al Pci.

 

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De Gasperi

 

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Fin qui nulla di nuovo sotto il sole ma solo un riepilogo per rinfrescare la memoria storica

Ma facciamo ora un passo avanti.

 

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Vincenzo Scotti

 

Orchestrando le vicende degli ultimi decenni della politica, e in fondo della storia italiana a partire dal Dopoguerra, Vincenzo Scotti, più volte ministro democristiano e poi dedicatosi al ruolo di reggitore di Atenei, e Romano Benini hanno scritto per l’editore Rubbettino un libro, Sorvegliata speciale, in cui con carte e documenti, desecretati, dell’Intelligence italiana e straniera, viene dipanato il filo conduttore che è il ruolo delle reti di condizionamento, italiano e straniero, di tanti eventi della storia d’Italia, dalla strage di Portella della Ginestra, in Sicilia nel 1947, all’uccisione di Enrico Mattei nel 1962, al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro nel 1978. E di tanti altri eventi.

 

Enrico Mattei e l'ENI: vita, pensiero e l'incidente che ne ha causato la morte | Studenti.it

Enrico Mattei

 

Sorveglianza speciale naturalmente esercitata sul campo economico in primis: e qui gli esempi non mancano, cominciando dal caso Mattei, fautore di una politica energetica autonoma da quella delle cosiddette Sette sorelle, che poi gliela fecero pagare. Poi il rapporto tra la mafia e gli americani che dell’appoggio di Cosa Nostra si servirono per lo sbarco in Sicilia nel luglio 1943. E poi altri casi, che qui vengono appena accennati: lo scandalo fatto scoppiare con il caso Ippolito appena l’Italia cominciò a pensare a disegni e progetti di energia nucleare; il caso di Domenico Marotta, direttore dell’Istituto superiore di Sanità, coinvolto in una inchiesta che riguardò anche due ministri. Si parlò di manovre politiche.

Nel 1986, la prestigiosa rivista Nature definì la vicenda giudiziaria una “incomprensibile vendetta politica”. In parallelo si svolse negli anni Sessanta la vicenda che mise fuori gioco Felice Ippolito, uno scienziato che aveva messo in piedi diversi progetti nel campo dell’energia nucleare.

 

5 febbraio 1966 Ridotta in appello la condanna all'ingegnere Felice Ippolito

Felice Ippolito

 

Ma contro di lui fu ordita una campagna prima politica (il promotore fu Saragat) e poi di stampa; le accuse: irregolarità amministrative nella gestione del Cnen (comitato nazionale energia nucleare). Risultato: pesanti condanne, sproporzionate rispetto agli addebiti, estromissione di Ippolito. Molti pensarono che facendo fuori Ippolito si tentasse di stroncare la nascente industria nucleare italiana per favorire la potente filiera petrolifera; si pensò anche a una rivalsa da parte delle baronie che avevano subito la nazionalizzazione dell’anergia elettrica. Curiosità: dopo la condanna e la prigione, Ippolito ottenne la grazia. E sapete da chi? Dallo stesso Saragat!

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Ma per mezzo di chi gli americani esercitavano, per essere buoni, una moral suasion e, per essere più crudi, pressioni e minacce, tipo quelle di Kissinger a Moro, per sventare una politica di avvicinamento ai comunisti e per influenzare le operazioni dell’economia e della finanza?

Giuseppe De Rita, presidente emerito del Censis, ha indicato alcuni personaggi su cui gli americani non solo potevano contare per tenere “sotto controllo” e sorveglianza (per usare i titolo del libro di Scotti) l’Italia, ma anche per interventi attivi nella economia, nella finanza, nell’industria, nella politica italiana.

 

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Giuseppe De Rita

 

Basterà parlare dei due personaggi più noti. Uno era Raffaele Mattioli, grande presidente della Comit, la Banca commerciale italiana, grandissima figura di mecenate della cultura, amico di Croce. Per dare una idea basterà questo fatto rivelatore, raccontato da De Rita: subito dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948 il primo ad arrivare in clinica fu Raffaele Mattioli, con questa indicazione: state calmi! Da oltre oceano si temevano rischi di guerra civile. Ma a questo ci aveva già pensato Togliatti quando dal suo letto di ospedale comandò ai suoi, pronti a dissotterrare le armi usate durante la Resistenza, a tenere i nervi a posto (ciò non impedì che ci fossero lo stesso scontri e morti). Ma il peggio fu scongiurato.

 

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Raffaele Mattioli

 

L’altro uomo del quartetto era un personaggio che si chiamava Enrico Cuccia: genero di Alberto Beneduce notevole manager e di importanti aziende nell’Italia liberale e fascista, tra gli artefici della creazione dell’IRI. Cuccia ne aveva sposato la figlia che aveva il nome di Idea Nuova Socialista. Cuccia fu uno dei protagonisti, con Mediobanca, della finanza italiana e il regista di tante operazioni finanziarie, con la benedizione americana.

 

Enrico Cuccia: chi era il banchiere italiano più potente del '900 | Investire.biz

Enrico Cuccia

 

I due personaggi, insieme con altri due– Quinto Quintieri, ex ministro delle Finanze nel governo Badoglio, e Mario Morelli, futuro segretario generale del Confindustria e Morelli – si recarono in delegazione a Washington nel 1944. Tutti e quattro erano massoni. Nello stesso periodo, per 15 giorni, si recò anche un personaggio che uno non si immagina di trovare in quel contesto: Mons. Montini (il futuro Paolo VI). Osserva De Rita: si disse che Montini era andato in vacanza. Ma – osserva il presidente del Censis con il suo pacato e freddo umorismo – uno come Montini in vacanza se ne va a Brescia, non in America. In quel periodo poi di piena guerra!

Oltre ai personaggi di quel quartetto che si recò in delegazione a Washington, e a cui si aggiunse Egidio Ortona, ambasciatore – semplifica De Rita, fu detto in sostanza: se sarete brevi noi vi garantiamo il potere (in Italia), il potere naturalmente che conta. Non era una investitura esplicita, ufficiale, si capisce, ma tuttavia si capiva che il mandato era quello.

Anche i servizi hanno giocato il loro ruolo. Ma i servizi segreti aggregati alla Cia li accetto, dice De Rita, il punto fu che poi entrarono in un club internazionale, e già le cose sono diventate meno chiare. Perché ci sarebbe poi da domandarsi: a chi rispondono questi servizi che fanno parte di un club internazionale?  agli americani? Non più. L’Urss non c’è più. E allora a chi? Evidentemente ad altri poteri, ad altre entità che decidono sui destini del mondo.

E tuttavia, è la conclusione di De Rita, in tuti questi anni, nonostante questi condizionamenti, e occhi addosso, l’Italia è andata avanti. Rasoterra, come spesso amo dire, ma anche rasoterra è diventata una potenza economica di rango internazionale. Chi ha vissuto gli anni tra il ‘43 e il ‘55 ha capito che il mondo stava cambiando. Gli americani usarono la mafia per lo sbarco in Sicilia poi organizzarono la pax mafiosa. Ma poi con la strage di Portella della Ginestra la mafia tentò di riappropriarsi della situazione.

La crisi degli anni 64-67: il cosiddetto “tintinnare di sciabole”

Frase di Nenni. (il tentato golpe di De Lorenzo). Cosa c’era alla base della resistenza al cambiamento, mentre si cercava di attuare una politica di riforme con i governi di centrosinistra, dopo gli anni del centrismo. C’era – spiega De Rita -il meccanismo del sospetto verso un governo che poteva statalizzare tutto, come aveva già fatto con l’energia elettrica, poi con il progetto di legge sullo sui suoli. Si sentiva minacciata la proprietà, la dimensione privatistica della Costituzione. Al presidente Segni saltarono i nervi. Nenni cercò di chiarire gli equivoci, di sdrammatizzare. Ma il tintinnar di sciabole erano una balla. Una formula su cui qualcuno ha fondato le sue fortune mediatiche.

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La lettura che ne dà Violante. Il riconoscimento della “felice intuizione di Craxi”

“Anche l’ex presidente della Camera, intervenendo alla presentazione del libro di Scotti e Benini, nella suggestiva sala dell’Archivio di Stato di Roma, diretto da Michele Di Sivo, nel Palazzo di Sant’Ivo alla Sapienza, ricorda le manovre e le mene di Churchill a danno dell’Italia e prova a dare una lettura della storia recente del Paese attraverso le varie “fratture”.

 

Luciano Violante e il 25 aprile: «Giorgia Meloni? È estranea al fascismo» - Open

Luciano Violante

 

L’Italia ha avuto sette stragi, due tentativi di golpe, la brigate rosse, l’assassinio di Moro. Quale paese sarebbe sopravvissuto a questi cataclismi? Si domanda Violante, che aggiunge tangentopoli, a proposito della quale fa una ammissione che avrebbe del clamoroso se non si sapesse che da anni ormai Violante ha intrapreso una rilettura non ideologica né prevenuta degli ultimi decenni della politica italiana.

E perciò può sorprendere solo chi non è aggiornato l’affermazione di Violante che Craxi ebbe una felice intuizione quando nell’ormai famoso discorso alla Camera, del 3 luglio 1992, si alzò a denunciare il sistema diffuso e generalizzato di finanziamento irregolare dei partiti. E chi non è d’accordo – disse -si alzi e mi smentisca. Non si alzò nessuno.

Dice Violante oggi: anche il Pds sbagliò a non cogliere questa occasione per un ripensamento comune del problema. Invece i partiti – il pds tra questi – pensarono a salvare più i loro gruppi dirigenti che il ruolo politico dei partiti stessi.

Si aggiunse, come corto circuito, l’intreccio tra giustizia e comunicazione, la deriva mediatica, la tv permanentemente insediata sulla scalinata del palazzo di giustizia di Milano, la omologazione della narrazione dei principali giornali (che cosa raccontiamo domani?) la opposizione della politica alla società.

Continuando a leggere la storia della politica italiana come una storia di fratture, tra queste Violante ci mette naturalmente l’assassinio di Moro. Con la fine di Aldo Moro- afferma l’ex presidente della Camera – si ruppe quella che era stata una convenzione non scritta secondo cui la Dc si occupava del governo dello Stato e il Pci della società (semmai sorprende che Violante non citi nessun altro partito, NdR). Oppure, detto in altri termini: nel Parlamento si legiferava, nel Paese si lottava (politicamente, s’intende).

Anche quanto avvenne nel 1994 fu un’altra frattura: l’avvento degli outsider (Forza Italia, che prima non esisteva), la Lega che si rafforza, Il Msi poi diventato An. Si fece strada – conclude Violante – e poi dilagò l’ipotesi antipolitica, e a declinarla furono persone che avevano cariche nelle istituzioni. “Io rappresento la società non la politica”. “La società vista in opposizione alla politica.  Berlusconi diede il la a questa ondata”.

 

m.n.

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