Stellantis, Camusso: silenzio del Governo e assenza di una politica industriale

Dopo parlamentari, ex vice ministri, capigruppo alla Camera e al Senato, sindacalisti, pubblichiamo oggi l’intervista con Susanna Camusso, ex Segretario Generale della Cgil per quasi un decennio, dal 2010 al 2019. Ora è senatrice nelle file del Pd. Un suo libro ha il titolo Il lavoro perduto, in cui afferma tra l’altro: Aver cura del lavoro significa aver cura del Paese. La famiglia storicamente proprietaria della Fiat non ha più l’auto come baricentro dei suoi interessi. E come editore si è mostrato non neutrale. Il governo dovrebbe difendere l’italianità chiedendo impegni ma anche che le sedi fiscali tornino in Italia

Senatrice Camusso, cosa è cambiato in FCA dai tempi di Marchionne?

FCA è figlia dell’Acquisizione fusione con Chrysler, in una stagione difficile dell’economia mondiale; un’alleanza nata nel 2009 che si concludeva nel 2014, data che segnava la fine di un’azienda a  trazione italiana. Si era sfruttato il piano Obama che, mentre l’Europa si avviluppava nell’austerity,  l’amministrazione americana, sceglieva politiche anticicliche ed antirecessive e per questo investiva  grandi risorse nell’economia e nel settore auto in particolare.

La produzione della Jeep in Italia era figlia di politiche di espansione oltre che di equilibrio tra i due  contraenti. Dopo le crisi 2009 e 2014, i volumi FCA crescono fino al 2017, nel 2022 i volumi erano  tornati al 2011. Nel primo bimestre del ’24 i volumi sono inferiori del 16% rispetto all’analogo periodo  2023.

Torino è ancora l’headquarter FCA? E qual è il quartier generale di Stellantis?

Pare dunque evidente che l’operazione Stellantis non solo indica che la testa, il quartier generale non sia più a Torino, ma soprattutto che le scelte di localizzazione delle produzioni penalizzano l’Italia.

Il baricentro degli interessi della famiglia storicamente proprietaria della Fiat si è spostato, non è più l’auto il settore di investimento, e in quanto alla presenza nell’editoria, direi che recenti episodi dimostrano la non neutralità dell’editore, che sottrae informazione su un settore che nel nostro  paese riguarda il destino di moltissime famiglie e l’andamento di tutta la componentistica, produzioni  rilevantissime per l’Italia.

Per questo il silenzio del Governo e l’assenza di una politica industriale sono un grande problema per il nostro futuro industriale per i processi di innovazione nelle transizioni.

La politica industriale nel paese manca da tempo, ma questo governo eccelle nell’allontanare il paese dai processi di transizione che pure dovrebbero essere una grande opportunità oltre che una sfida per l’Europa.

Un governo che pensa di difendere il futuro negando la transizione ambientale è lo stesso che poi  accoglie l’idea di “importare” produttori cinesi, invece che discutere di piattaforme di auto elettriche comuni tra i produttori europei.

Senatrice Susanna Camusso

La progettazione dei nuovi modelli è in Italia o Francia?

Credo che sia ormai evidente che non è difendendo i motori termici, o rinviando le evoluzioni  tecnologiche che si difende il made in Italy.

Il governo italiano sta tutelando l’italianità di Fiat e FCA? I posti di lavoro degli stabilimenti italiani sono a rischio?

Assistiamo al ripetersi di politiche di incentivi a pioggia, che sostengono il mercato non necessariamente i produttori, ma molto meno a progetti per l’infrastruttura ed abbandono del  territorio nazionale da parte di multinazionali come Jabil che sta producendo le colonnine di ricarica  per l’alimentazione elettrica.

Pensa che il governo italiano debba chiedere impegni precisi agli Elkann? Quali? Perché  John Elkann, che vive a Torino, appare così disinteressato alla tutela del management  italiano e delle produzioni in Italia?

Certo. Il governo invece di proclamare che non ostacolerà mai le libertà di impresa e prevedere  incentivi a pioggia, dovrebbe vincolare gli incentivi ad obiettivi mirati di politiche, a scelta di produzioni strategiche. È cosi si difende l’”italianità”, anche disturbando e chiedendo impegni, anche chiedendo che le sedi fiscali siano in Italia. Non possiamo essere solo un mercato di cui si acquistano le quote e poi ci si trasferisce altrove o si vendono le proprietà ad altri.

Cosa pensa del cambio dell’Alfa Romeo da Milano a Junior, dopo che il ministro Urso  aveva definito illegale chiamare Milano un’auto che viene prodotta in Polonia, con  seguente commento dell’a.d. Jean-Philippe Imparato: noi non facciamo polemiche,  pensiamo agli affari

Capisco che fa “propaganda” sostenere che non si può chiamare Milano un’auto prodotta in Polonia,  ma la differenza l’avrebbe fatta una seria discussione sui livelli di produzione in Italia, quali modelli,  quali volumi, quali investimenti. Forse non fa il titolo del telegiornale in prima serata, ma determina  posti di lavoro e sviluppo industriale. Verrebbe da dire: speriamo che sia vero che non è mai troppo  tardi.

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

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