Franca Florio, “la più bella donna d’Europa”

Parabola di una favola bella. Con Ignazio gestì un impero economico. Poi il declino e l’indigenza

 

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Se provate a chiedere in Sicilia chi sia stata la donna più incantevole, elegante, seducente, tutti vi risponderanno, senza indugi ed eccezioni: Franca Florio.

Il suo fascino, mix di bellezza e di classe, resiste nel tempo, supera ogni moda, ignora i mutevoli canoni dell’avvenenza femminile.

Il viso ovale sostenuto da un collo sottile e lungo, i capelli corvini e la pelle ambrata, gli occhi dal colore cangiante tra il verde e il grigio, le labbra carnose che con l’incedere flessuoso sprigionavano sensualità e grazia, il sorriso largo che scopriva una dentatura candida e perfetta, la statura superiore alla media che la slanciava sinuosa, la corporatura robusta quanto basta per quel che esigeva l’estetica muliebre del tempo, la rendevano unica. Inoltre, la bellezza naturale era condita di charme, leggiadria, savoir faire, femminilità ammaliante.

La cugina contessa d’Orsay la considerava ‹‹la più bella donna d’Europa››. E così scriveva di lei: ‹‹ Elle était certainement la plus belle femme d’Europe, surtout pour son ensemble harmonieux: trés grande, un corps parfait, una trés petite tete, des yeux vert-bleu, des cheveux noirs, un nez classique de statue grecque, un teint mat, le type sarazin, de race pure ››. Persino Tina Whitaker, sofisticata e mai tenera nei suoi giudizi, ammetteva la sua non comune bellezza, pur esprimendo riserve sulla sua intelligenza.

Ciò dicevano le donne. Gli uomini impazzivano.

 Gabriele D’Annunzio, dopo averla vista in un evento mondano a Venezia annotava nel suo taccuino: ‹‹Una donna – una signora siciliana, Donna Franca – passa sotto le procuratie: alta, snella, pieghevole, ondeggiante, con quel passo che gli antichi Veneziani chiamavano appunto alla levriera…Ella è bruna, dorata, aquilina, e indolente. Un’essenza voluttuosa, volatile e penetrante emana dal suo corpo regale. Ella è svogliata e ardente, con uno sguardo che promette e delude ››.

 

 

 

I più acclamati pittori e scultori dell’epoca si contesero l’onore di consegnarne le splendide forme all’olimpo dell’arte.

Si vociferò, non senza enfasi, che Ettore De Maria Bergler ne fosse segretamente innamorato e che per starle vicino e poterne cogliere meglio i tratti da incidere nei suoi dipinti lasciò Napoli trasferendosi a Palermo: tutto vero o dicerie frutto di feconda e libera immaginazione?

Lo scultore Pietro Canonica tentò di immortalarla in un busto, senza poi però consegnarle l’opera che si dice non fosse piaciuta abbastanza all’esigente Franca.

Il ritratto più celebre di Franca Florio è quello di Giovanni Boldini, sulla cui storia si è detto e scritto tanto. Boldini fu il maggiore ritrattista del tempo; tutt’altro che un bell’uomo, era però conteso dalle donne: sapeva leggere nelle loro anime e carpirne la femminilità che trasferiva nelle sue tele. Così fu pure con donna Franca. L’aveva conosciuta, insieme al marito, a St. Moritz nel 1898, e ne era rimasto stregato.

Nel 1901 Boldini aveva lasciato Parigi, dove viveva, diretto a Palermo. Dove l’attendevano Ignazio – che aveva commissionato l’opera per la notorietà internazionale dell’artista di cui tuttavia diffidò sin dal primo incontro a St. Moritz intuendone gli istinti pruriginosi – e, naturalmente, Franca. Il ritratto che in quell’occasione realizzò Boldini fu però rispedito a Parigi: troppo osé secondo Ignazio Florio. La scollatura era esagerata, ai limiti della decenza, l’abito attillato e corto metteva in rilievo più del lecito le morbide curve e le splendide gambe. A Parigi il maestro del pennello che più di tutti sapeva esaltare le donne, apportò sul dipinto le modifiche richieste: la scollatura fu ridimensionata, l’abito fu allungato sì da coprire le gambe, ma rimase tutto il resto: lo sguardo sognante e sensuale di Franca che esprime la sua seducente femminilità, la collana di 365 perle di Cartier, su cui tanto si è favoleggiato, che solo lei con la sua corporatura robusta ma aggraziata poteva indossare.

Sul dipinto si sono fatte tante congetture: ne esistono più versioni o una sola soggetta negli anni a diversi adattamenti? Pare che all’epoca del ritratto Boldini avesse tracciato su un cartoncino uno schizzo: vi si indovinava il corpo di Franca in tutto il suo richiamo voluttuoso, la ‹‹regina di Palermo›› era disegnata con le gambe avvolte da calze nere e con le giarrettiere in bella vista. A margine del bozzetto una scritta: ‹‹Giornata memorabile››.

Renato Guttuso che di ritratti femminili se ne intendeva e che ben conosceva la complicità che si viene a creare tra l’artista e la donna ritratta, commentò così quel disegno: ‹‹Non è il caso di fare congetture. Il disegno è indizio solo del rapporto che si era generato tra il pittore e il suo modello››; un rapporto fondato sulla bellezza, sulla voglia di donna Franca, moglie e madre ineccepibile, ‹‹di rendere partecipe il famoso pittore di una parte non conosciuta, né conoscibile, della sua bellezza››.

Il poeta e letterato francese Robert de Montesquiou le dedicò dei versi in cui la definì ‹‹le fleure inutile ››, paragonandola a un fiore di montagna il cui splendore è vano perché lontano da chi può ammirarlo. La venerazione per donna Franca era tale da alimentare la narrazione di episodi improbabili. Come quello che vede protagonista l’austero Arturo Toscanini: mentre dirigeva un concerto alla Scala, durante un intermezzo, si sarebbe girato all’ingresso di donna Franca chinando il capo per un saluto ossequioso.

La fortuna di Franca è legata al suo matrimonio con Ignazio junior Florio. Senza quelle nozze con il rampollo di una famiglia emergente della più intraprendente borghesia che avrebbe segnato la vita economia della Sicilia, malgrado la stupefacente bellezza Franca non avrebbe conquistato la ribalta che ebbe e di cui resta tuttora memoria.

Le nozze si celebrarono l’11 febbraio del 1893: lei aveva poco più di 19 anni, lui poco meno di 24.

Franca era figlia del barone Pietro Jacona di San Giuliano e di Costanza Notarbartolo. La sua aristocrazia derivava da parte della madre (la famiglia Notarbartolo aveva una certa risonanza), poco da parte del padre, proveniente da Caltanissetta e pressoché sconosciuto negli ambienti nobiliari palermitani di rilievo. Al di là del sangue blu, tuttavia, la famiglia di Franca versava in condizioni economiche difficili, soffocata com’era da debiti.

Ignazio Florio junior, al contrario, non vantava titoli nobiliari ma era ricco quanto non si possa immaginare, di una ricchezza accumulata lungo un secolo da una famiglia di mercanti, straordinariamente ingegnosa, approdata in Sicilia da Bagnara Calabra in cerca di fortuna alla fine del Settecento. Fortuna raggiunta grazie al mercato delle spezie e all’esclusività nella vendita del chinino, allora unico rimedio contro la malaria.

Secondo diverse fonti, il matrimonio tra Franca e Ignazio fu preceduto da qualche ostacolo. Posto, a detta di alcuni, dai genitori di lei per difetto di titoli nobiliari nei Florio e, ancor più, per la fama – meritatissima – di tombeur de femme di cui godeva Ignazio. Ma povera com’era la famiglia di Franca, sarebbe stata una pazzia opporsi a un matrimonio che spalancava alla figlia l’ingresso nell’altissima società, tanto erano potenti e acclamati i Florio.

Sembra invece che chi si opponesse a quell’unione fosse donna Giovannina, la madre di Ignazio, per reazione contro le accuse rivolte a Ignazio di avere compromesso Franca con una corte spregiudicata. Le nozze si celebrarono a Livorno, lontano da Palermo. Come mai? Per le avversioni familiari al matrimonio, quale che fosse la parte da cui provenissero, o perché, come pure si è malignato, i genitori di Franca volevano tenere lontani i creditori che gli stavano alle calcagna?

Franca divenne la ‹‹regina di Palermo›› mentre i Florio spopolavano e dettavano legge con la loro sconfinata ricchezza, nota anche all’estero, a Parigi come a Londra, sebbene le malelingue continuavano a chiamarli ‹‹i nipoti del droghiere››. Alla morte del padre Ignazio senior, avvenuta improvvisamente quando aveva solo 53 anni nel 1890, Ignazio junior, che sino ad allora si era dedicato quasi esclusivamente a correre dietro le gonnelle, da primogenito si trovò al timone di una serie di importanti attività finanziarie: dalla gestione della Società di Navigazione all’industria tessile e vetraria, dallo sfruttamento delle tonnare di Favignana al settore bancario e a mille altre tra di loro correlate.

I molteplici interessi economici esigevano una vasta rete di relazioni.

Donna Franca, di cui non ci si può limitare a magnificare la bellezza, giocò un ruolo importante nelle relazioni di altissimo livello e di rango internazionale dei Florio. Fu abile nel tenere banco, da maestra di cerimonie consumata, alla nobiltà, ai notabili, agli artisti di voga dell’epoca durante i tantissimi ricevimenti, banchetti, feste che si svolgevano nelle residenze dei Florio, complice naturalmente la sua straordinaria avvenenza accompagnata dalla classe della primadonna.  I Florio erano al centro del mondo.

L’Olivuzza e Villa Igiea, dove i Florio vivevano d’inverno, erano meta dell’aristocrazia più blasonata e delle corti reali. I ricevimenti nelle tenute dei Florio si susseguivano a ritmi incalzanti e a volte con riti speciali, quali, secondo i costumi di allora, i tableaux vivants, cioè i quadri viventi, dove i nobili indossavano vestiti settecenteschi e rappresentavano sul palco, rimanendo immobili, le scene di celebri dipinti.

Tra  il XIX e il XX secolo Palermo divenne il centro di fermenti culturali e la capitale italiana del Liberty. Grazie alle committenze dei Florio, Ernesto Basile, primo tra tutti, sprigionò il suo estro in architetture flessuose e fantasiose in cui prevalsero i motivi floreali, ancor oggi (per quanto rimasto dopo il ‹‹sacco di Palermo››) espressione di una felicità estetica che si coniugò alla vitalità e alla leggerezza mondana di quegli anni. Il Teatro Massimo, progettato da Giovan Battista Basile e completato dal figlio Ernesto, visse stagioni memorabili con impresario Ignazio Florio; fra i tanti protagonisti degli eventi lirici Enrico Caruso, che naturalmente, come tutti, rimase rapito dal fascino della ‹‹regina di Palermo››.

Donna Franca fece breccia, oltre che su poeti, musicisti, artisti quali Trilussa, Mascagni, Leoncavallo, Matilde Serao, anche sui reali. Le giunsero gli apprezzamenti e gli inviti di casa Savoia: nel 1902 fu nominata ‹‹Dama di Palazzo›› della Regina d’Italia. Il Kaiser Guglielmo II, in occasione di un viaggio dei Florio a Vienna, le regalò una tromba d’automobile, identica a quella delle sue vetture; al suono della trombetta donna Franca, mentre si spostava in auto per le vie di Vienna, scambiata per l’imperatore, riceveva gli omaggi e i saluti referenti della popolazione. I sovrani d’Inghilterra vennero a trovare Franca e Ignazio Florio nel 1907 giungendo a Palermo a bordo del loro yacth Victoria & Albert.

 

 

 

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Vi fu vero amore tra Franca e Ignazio? E se vi fu, come fu vissuto? Come recita un aforisma a troppi attribuito per stabilirne la paternità, ‹‹l’amore è eterno finché dura››. Finito lo stato magico dell’innamoramento, che non mancò ancorché breve, la relazione tra i due si stabilizzò nella distinzione dei ruoli che ciascuno esercitava nel nome dell’impero economico e del prestigio sociale dei Florio. Ignazio si occupava delle numerose imprese e dell’ingente patrimonio del casato senza tuttavia far mancare la sua presenza, con a fianco la moglie, agli eventi mondani; Franca curava le relazioni sociali, con compiti di “ambasciatrice”, e mai una first lady fu così ammirata e corteggiata. Ma se donna Franca rimase fedele al marito, Ignazio, da incorreggibile sciupafemmine, si concesse una lunga serie di avventure galanti, alcune memorabili.

Tra le sue relazioni extraconiugali resta alla memoria quella con Lina Cavalieri, una cantante d’opera mediocre che Ignazio fece debuttare alla Scala nella Boheme e che, per invogliarsene ancor più le grazie, fece scritturare per la stessa opera al Teatro Massimo. Fu un flop indimenticabile, non solo per le scarse inclinazioni della Cavalieri, ma anche perché donna Franca, consumando la sua vendetta, assoldò una claque per fischiarla. Spettacolo nello spettacolo, quella sera al Massimo si scontrarono la claque di donna Franca, che dissentiva sonoramente dalla sua performance, e quella di Ignazio pagata per applaudirla. Si racconta inoltre che donna Franca, che era solita negli intervalli ricevere nel suo palco gli interpreti, quella sera fece in modo che anche la Cavalieri si recasse al suo cospetto. Non appena l’ebbe accanto, Franca le chiese: ‹‹In quali teatri si è esibita prima d’ora, a parte quelli del Varietà?››, la Cavalieri rispose con sincerità che aveva cantato solo alla Scala, Donna Franca non paga incalzò: ‹‹E con quale opera?››, e, alla candida confessione che nel suo repertorio vi fosse solo La Boheme , lanciò la stoccata finale: ‹‹É un vero peccato che il pubblico palermitano non apprezzi il suo grande talento››. A quel punto Lina Cavalieri, intuendo da quelle parole piene di sarcasmo la ragione dei fischi plateali, replicò stizzita: ‹‹É il pubblico palermitano che non mi merita›› girando le spalle a Franca con la quale si contendeva, oltre che le attenzioni di Ignazio, il titolo della ‹‹donna più bella del mondo››.

Ma il palmarès di Ignazio vantava altre scappatelle degne di menzione: quella con una stella parigina del varietà con la quale rimase sospeso sui tetti della capitale francese dentro un pallone aerostatico, quella con la celebre ballerina Cléo de Mérode, che fece perdere la testa al Re del Belgio Leopold II, a cui per quella relazione fu dai sudditi affibbiato il soprannome di ‹‹Cléopald II››,  quella con Vera Arrivabene, con cui  Florio amoreggiava durante il conflitto bellico nelle tranquille retroguardie, e soprattutto quella con ‹‹la bella Otero››.

Di origini spagnole, Carolina Otero, per le cronache mondane del tempo ‹‹la bella Otero››, era una ballerina e una cortigiana dalla bellezza provocatoria e dagli atteggiamenti spregiudicati contesa dalla più alta aristocrazia. Tra i suoi amanti il più autorevole fu il Kaiser Guglielmo II. Una notte, al casinò di Montecarlo Carolina Otero si giocò una cifra da capogiro. Dinanzi alle perplessità dell’avversario che attendeva che coprisse la posta, considerata la somma considerevole, ‹‹La bella Otero›› in segno di sfida sfrontatamente esclamò: ‹‹Dite al signore che io mi posso giocare pure un impero››. L’allusione alla sua relazione col Kaiser era palese. Per conquistarla, Ignazio commissionò a Cartier un gilet di smeraldi, che le depose con le sue mani sul seno nudo della sciantosa; a chi gli chiedeva delle forme del petto della cortigiana, Ignazio rispondeva in gergo dialettale: ‹‹Dui purpittuna…››.

 

 

 

Donna Franca soffriva per i ripetuti tradimenti del marito. La sua infelicità trovava sfogo nel gioco: ne sperperò di denaro nei casinò, e tanto. Ignazio, per farsi perdonare, la riempiva di monili, colpendola in un suo punto debole: la passione per i gioielli. Considerate le innumerevoli evasioni extraconiugali, è facile immaginare quanto cospicuo fosse il patrimonio di collane e pietre preziose di donna Franca. Celebre la ‹‹collana di perle della Florio››, che contava trecentosettantacinque perle di buon calibro, un gioiello unico che metteva in imbarazzo persino la Regina d’Italia, immortalata, come detto, nel ritratto di Boldini.

Quella collana, che era diventata un appendice del suo corpo sontuosamente femminile, sembra che le sia stata omaggiata da Ignazio per risarcirla dal tradimento con Bice Lampedusa, madre dell’autore de Il gattopardo. I Florio viaggiavano molto, e ogni volta che si spostavano da Palermo donna Franca portava con sé il ricco armamentario di monili: non se ne voleva mai staccare. Era una donna vanitosa, Franca, che curava molto il suo aspetto, e d’altronde bella com’era chi poteva muoverle appunti per la sua comprensibile civetteria. Prediligeva gli abiti confezionati da Charles Worth, era attentissima ad accostare tinte e stoffe, i migliori orafi del tempo si contendevano le sue scelte. Pare che D’Annunzio le avesse consigliato di non indossare orecchini perché rischiavano di alterare i lineamenti del suo volto.

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Nei soggiorni all’estero i Florio sperperavano patrimoni. Per non fare pesare a Franca i lunghi viaggi, Ignazio le fece costruire una lussuosa carrozza ferroviaria tappezzata di rosso, arredata con mobili Liberty. Inoltre la famiglia si concedeva crociere nelle località climatiche più di grido della Costa Azzurra o della Riviera a bordo dei loro esclusivi yacht, il Sultana e l’Aegusa, pari per comfort ed eleganza, al Cristina di Onassis. Quando partivano, i Florio si portavano appresso gli oggetti più cari, i tessuti di damasco con cui coprivano i letti e i tavoli degli hotel, che naturalmente erano i più fastosi. Non solo si riservavano le suites più fastose, ma occupavano interi piani degli alberghi per farvi alloggiare lo stuolo delle persone addette al loro servizio, a quello di donna Franca in particolare.

Ma proprio mentre si adagiavano nel lusso più sfrenato, la fortuna dei Florio si andava eclissando. Quanto incisero sul declino del loro impero economico la dissolutezza e quanto invece scelte imprenditoriali poco avvedute e una politica nazionale che privilegiava il Settentrione a discapito del Sud? Sul punto il dibattito è aperto.

Di certo i Florio promossero importantissime iniziative economiche con uno spirito imprenditoriale innovativo che puntava sull’artigianato e legava l’industria agli eventi culturali e artistici; di contro quella famiglia che, partendo dalla Calabria in assoluta povertà seppe creare ricchezza grazie al talento e all’umile operosità, quando conobbe gli splendori della ricchezza e la mollezza della vita agiata ne restò inebriata e contribuì essa stessa alla propria disgregazione.

Il declino dei Florio probabilmente è simile a quello di altre borghesie dell’isola che, invaghite della magnificenza aristocratica, ne rimasero succubi smarrendo la spinta propulsiva. Sulla parabola discendente dei Florio, Sciascia osserva ne La Sicilia come metafora: ‹‹Essi hanno vissuto l’opposto di una storia balzachiana: sposando i rampolli della nobiltà, questi borghesi hanno perduto i loro profitti e messo fine al loro destino di imprenditori››.

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 La vita di Franca Florio, romanzesca per più di un aspetto, non conobbe solo sfarzi e illusioni mondane, ma anche cocenti dolori. Innanzitutto il dolore per la perdita in tenera età di tre figli su cinque. La primogenita Giovanna fu colpita da meningite. Per Giacobina si parlò di morte in utero. La più lancinante tra le sue ferite fu probabilmente quella dovuta alla scomparsa del piccolo Ignazio, chiamato col vezzeggiativo Baby boy. Sia perché la sua morte fu improvvisa e inspiegabile: si arrivò a dire persino che fu provocata dall’eccesso di sedativi somministratigli dalla governante per farlo stare più tranquillo; sia perché si trattava dell’unico figlio maschio, l’erede designato del casato.

A questi dolori che la colpirono (e con lei il marito) negli affetti più cari, si aggiunsero quelli legati al progressivo sprofondare nell’indigenza. Franca Florio li affrontò senza mai rassegnarsi al destino avverso, al punto che nel 1925, in un sussulto di orgoglio e di spregiudicatezza, invitò i reali di Inghilterra a Villa Igiea, ormai non più di proprietà dei Florio, nella quale le rimaneva riservata (ancora per poco) una suite. Inoltre, malgrado la povertà sempre più incombente, Franca, tentando disperatamente di aggrapparsi a qualcosa, cercava nel tavolo verde improbabili rivincite gettando alle ortiche quel che le rimaneva della passata ricchezza.

Nel 1925 Franca e Ignazio lasciarono Palermo per prendere in affitto una piccola abitazione a Roma. Dopo tre anni, nel 1928, conobbero l’umiliazione dello sfratto e cominciarono a peregrinare per altre case in affitto e per alberghi via via sempre più modesti. Nel 1935 i gioielli di donna Franca vennero messi all’asta: il ricavato fu assai modesto malgrado il loro valore, e per la ‹‹regina di Palermo››, ormai da tempo abdicata dal trono, fu un colpo al cuore.

Negli ultimi anni, segnati dalle ristrettezze economiche a cui non erano affatto abituati, si rafforzò il legame affettivo tra Franca e Ignazio. I dolori e le privazioni, se condivisi, riunificano. Come testimoniano, alcune lettere che Franca ricevette da Ignazio: ‹‹Cara Franca mia, Dio solo sa quello che passo. Le mortificazioni che debbo superare con santa rassegnazione. I rifiuti delle proposte che faccio, il dolore di constatare la poca fiducia al nome ed altro che non voglio scrivere […].Ti penso sempre e farò l’impossibile per poterti ridare una vita calma e serena ››.

Donna Franca e Ignazio trascinarono le loro esistenze, ormai grigie, sebbene alleviate dal conforto delle figlie Igiea e Franca e dai loro nipoti (entrambe fecero buoni matrimoni), sino agli anni Cinquanta. Franca si spense a Migliorino Pisano nel novembre del 1950, Ignazio, dopo la sua morte ritornato a Palermo, le sopravvisse per altri sette anni.

E così si conclusero la favola amara di Franca Florio, un tempo ‹‹regina di Palermo››, e l’epopea di una dinastia imprenditoriale che, come scrive Orazio Cancila nel saggio I Florio, ebbe la sorte di quelle famiglie di immigrati ‹‹che iniziarono in maniche di camicia e, nel corso di tre generazioni, si ritrovarono in maniche di camicia››.

 

Antonino CangemiScrittore

 

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