Due personalità di primo piano e due vite straordinarie per un certo tragitto condivise, quelle di Topazia Alliata e Fosco Maraini. Proviamo a conoscerle partendo dalle loro origini.
Topazia Alliata nasce a Palermo il 5 settembre del 1913 da una famiglia aristocratica di origini pisane. Il padre, Enrico Alliata duca di Salaparuta, unisce al blasone nobiliare l’interesse per le scienze naturaliste e la sensibilità per le istanze sociali. Ha l’animo del sognatore e segue le teorie di Rudolf Steiner – filosofo e pedagogista sostenitore, tra l’altro, dell’agricoltura biodinamica – e il socialismo umanitario di Tolstoj.
Papà Alliata frequenta i salotti europei più innovatori, è tra i fondatori della cucina vegetariana e, nell’emulare l’autore di Guerra e pace, coltiva la terra insieme ai contadini. Il suo nome rimarrà legato ai vini Corvo, preparati con tecniche innovative, e alle cantine di Casteldaccia. La madre, Sonia Ortuzar, è una donna bellissima figlia di un ambasciatore cileno. Nata e cresciuta a Parigi, da ragazza è stata una talentuosa soprano allieva di Enrico Caruso. L’avere abbandonato la carriera artistica (a quei tempi non appariva conveniente per una nobildonna calcare i teatri della lirica), le provoca frustrazioni che si riflettono in malumori e risentimenti riversati anche nelle relazioni più intime. Una famiglia di sangue blu, quella di Topazia Alliata, ma che disdegna i fasti e i costumi sontuosi delle casate altolocate siciliane: al contrario conduce un tenore di vita semplice e morigerato.
Topazia cresce in un ambiente di grande apertura, a contatto con diverse lingue e culture. Gli Alliata hanno una tata inglese, lingua che le è subito assai familiare, le origini della madre le fanno apprendere lo spagnolo e il francese. La ricchezza culturale del padre, il clima tutt’altro che provinciale ne fortificano la vivacità intellettuale e lo spirito indipendente. Topazia coltiva la passione per la pittura e fa amicizia con gli esponenti della scuola palermitana allora in auge: Pippo Rizzo, Nino Franchina, Lia Noto, Piera Lombardo.
Di Topazia s’innamora il giovane Renato Guttuso, ma sarà un invaghimento fugace e platonico. Giovanissima, assieme ai genitori, ma anche sola o con le amiche, Topazia va in giro per l’Italia e per l’Europa. Incontra Paul Guillaume, che le fa un ritratto cubista, e Pablo Picasso, che Guttuso conoscerà tramite lei; fa amicizia, inoltre, con Guglielmo Marconi e con Denis Mack Smith.
Fosco Maraini nasce a Firenze il 15 novembre del 1912, ha un anno in più di Topazia. Il padre, Antonio Maraini, è uno scultore affermato di origini ticinesi, la madre, Yoi Pawlowska Crosse, è una scrittrice di novelle e di libri di viaggi con sangue metà polacco e metà anglosassone, una donna di aspetto affascinante tanto da posare come modella al cospetto del futuro marito. Fosco frequenta il ginnasio presso i padri scolopi, poi si trasferisce in un collegio svizzero, infine studia al Liceo Classico Dante Alighieri di Firenze.
La sua formazione culturale è però influenzata più che dagli studi scolastici dal contatto con figure ricche di estro quali lo scultore e disegnatore Ernesto Michahelles (in arte Thayaht), cui si deve assieme al fratello Ruggero Alfredo Michahelles (detto Ram) la progettazione della “Tuta”, e il filologo classico Giorgio Pasquali. Il primo gli contagia la tensione verso il nuovo, l’inesplorato, il remoto, il secondo la passione umanistica. Il suo, come quello di Topazia, è un ambiente familiare ricco di stimoli: casa Maraini è frequentata da artisti e intellettuali di varia estrazione anche geografica, la madre ha legami con il Sud Africa, l’India e altre parti del mondo, il padre contribuisce alla fondazione della Biennale di Venezia. In Fosco, che cresce in un contesto bilingue, si sviluppa precocemente l’interesse per lo studio, per l’Oriente, per l’avventura, la natura e l’alpinismo. È abbastanza giovane quando entra a far parte del Club Alpino Italiano.
Sulla sua formazione incide, oltre che il raffinato ed eterogeneo clima culturale della Firenze di allora, l’incontro col mondo contadino: si reca spesso nella fattoria del mezzadro che conduce i poderi familiari alle porte del capoluogo toscano attratto dalla natura e dalla civiltà, ancestrale e genuina, di chi lavora la terra.
In quegli anni vi è distanza, soprattutto sotto l’aspetto economico e sociale, tra Palermo e Firenze, tra la Sicilia e la Toscana. Se a Palermo la povertà è diffusa, e con essa le angherie e i soprusi dei latifondisti e della mafia, a Firenze si respira un’atmosfera diversa: meno acuto è il morso della miseria e meno accentuate sono le differenze e le ingiustizie sociali. Ma tra la colta e avveduta aristocrazia degli Alliata e l’espansiva creatività e la curiosità intellettuale dei Maraini – universi entrambi di respiro europeo se non addirittura intercontinentale – le vicinanze sono tante.
Molti i punti in comune tra Topazia e Fosco, tutti e due cresciuti in contesti culturali fertilissimi e lungimiranti: la libertà dal vincolo dei pregiudizi, il trasporto per l’arte, l’amore per la vita che si esprime nell’ansia di conoscere e di percorrere nuovi orizzonti, la passione per i viaggi.
È durante una sosta a Firenze che Topazia conosce Fosco. Subito tra i due scatta la scintilla. È il 1932, sono entrambi nel fiore della giovinezza: Topazia ha diciannove anni, Fosco venti. Lei è bionda, ha gli occhi chiari dalle seducenti sfumature, i tratti delicati, il corpo atletico; lui è snello e alto, è un ragazzo «dalla faccia un poco mongola, gli occhi stellati», parole di Topazia. Ci vorrà poco per intendersi: sguardi incrociati, conversazioni che svelano le loro tante affinità, l’attrazione tra corpi e anime destinati a incontrarsi. Non attendono il consenso dei genitori per andare a vivere assieme.
Tra l’agosto del 1934 e il settembre del 1935 Topazia e Fosco si avventurano in un tour che gli fa esplorare l’Italia in lungo e in largo: da Torino alla Sicilia, da Firenze al Trentino. Si spostano da un luogo all’altro con intrepida spensieratezza. Perlustrano con avida curiosità città, villaggi, campagne, montagne. Assaporano l‘incontaminata bellezza della natura. La motocicletta di Fosco macina chilometri su chilometri. Sono innamorati, anticonformisti, liberi. Poco importa del denaro che scarseggia: si accontentano di sostare in alberghetti di terza categoria, in accampamenti, in rifugi lungo le montagne.
I due annotano in cinque grossi quaderni gli appunti di viaggio, il diario delle loro emozioni, e li accompagnano con fotografie, lettere, cartoline, disegni. Questi quaderni, rivelatori di un amore intenso che si è impadronito di loro, sono stati scovati dagli archivi di famiglia e pubblicati in un libro, che riporta il titolo originario Love Holidays, edito da Rizzoli nel 2014 con le testimonianze delle due figlie scrittrici, Dacia e Toni Maraini.
I quaderni sono la cronaca della loro quotidiana vita comune nel pellegrinaggio tra una parte e l’altra della Penisola. In essi, accanto al fiorire del sentimento amoroso, si leggono descrizioni di paesaggi e montagne (la passione per l’alpinismo di Maraini contagia la compagna), ma anche episodi ordinari, banali che fanno comunque rivivere quei giorni per loro meravigliosi e irripetibili. Ecco, perciò, sospiri d’amore e abbandoni sentimentali: «Fosco è a-do-ra-bi-le. Siamo innamorati, innamorati! – e in modo meraviglioso e perfetto. Life is wonderfull!», scrive Topazia nel retro di una cartolina col panorama di Enna.
Altre volte emerge la contemplazione estasiata della natura: «Fissare sulla carta un profilo di monti…e poi sdraiarsi bocconi sull’erba e respirarne tutti i profumi colorati di tanti piccoli piccoli modesti fiorellini ma enormemente belli», «Come è bello esser quassù, insieme, dopo aver insieme corso gli stessi pericoli, vinte le stesse difficoltà: compagni, fratelli; amanti perfettissimi; eppure, semplici come bambini!».
E spuntano anche preoccupazioni assai prosaiche: «Dopo pranzo…” l’avventura del mulo” …Fosco è abbastanza preoccupato perché un mulo ha le coliche – lo fa visitare dal veterinario, questo ordina una ricetta – è sera tardi – minaccia di piovere – si va lo stesso verso Omegna. A metà strada un lieve guasto alla moto. Si aggiusta. Primo paese…tutti dormono – non c’è farmacia di turno. Si prosegue – a Omegna trovare farmacia – trovare casa del farmacista – svegliarlo – la medicina sarà pronta tra un’ora», come si legge nella prosa sincopata di Topazia.
Il lessico dei due amanti è particolarissimo: mescola, per l’intrecciarsi di lingue e culture delle loro famiglie composite, l’italiano all’inglese, il dialetto siciliano a quello fiorentino, né mancano idiomi spagnoli. Si inventano un linguaggio originalissimo, che è frutto anche dell’euforia immaginifica e creativa tipica della comunicazione tra innamorati.
Il 9 febbraio del 1935 Fosco immortala così l’arrivo di Topazia alla stazione ferroviaria di Firenze: «Cerco le facce, le valigie, gli sci, dappertutto cercando un Topsindizio. Ecco, proprio nell’ultimo vagone un sacco da montagna gonfio, un paio di sci, una valigia. Ma son cose sue! Ah, eccola, Topsy my love, sweetie, sweetie. Ci baciamo più e più volte sotto gli occhi e le risate della gente. Che ce ne importa? La gioia è tale che non ci accorgiamo di nulla. Siam soli al mondo: Top e Fosco, Fosco e Top».
In un altro appunto Fosco ritrae la fidanzata con un pasticcio linguistico degno del più spericolato sperimentalismo letterario: «Che darlinga! Una sottanina bianca, una maglietta azzurra, un bascherino sulle ventitré. Un sorriso. Oh, il suo sorriso! We wolk out too happy for words».
L’estro del linguaggio svela quella lieve follia che contamina tutti gli innamorati. Topazia e Fosco sono consapevoli di essere invasati dalla pazzia dell’amore. Scrive infatti Topazia: «Fosco ed io abbiamo scoperto che lui è un po’ mad ed io sono un po’ mad- ed assieme formiamo un perfetto manicomio privato nel quale ci troviamo felicissimi e d’accordissimo». E però la coppia già progetta il futuro; un futuro con figli da educare garantendogli libertà e felicità e nello stesso tempo insegnandogli a essere responsabili.
Quel futuro, chiusa la parentesi dei quaderni Love Holidays, bussa alle porte. Se fino ad ora Topazia e Fosco hanno vissuto spensieratamente e “clandestinamente” la loro relazione, è adesso tempo di regolarizzarla. Col matrimonio. Sembra strano, ma il loro proposito coniugale non è accolto da unanime consenso da parte di genitori dalla mentalità non conformista. Gli Alliata hanno in mente di far sposare la figlia a un conte inglese, e però se la madre di Topazia mostra qualche resistenza (tra madre e figlia il rapporto è un po’ complicato), il padre entra subito in sintonia con Fosco Maraini. «Quanto a mio padre ci fu immediatamente un’intesa perfetta con Fosco. Il giorno in cui si conobbero papà aveva tra le mani i discorsi del Budda. Che buffo, disse Fosco, ho appena finito di leggerli anch’io. Si piacquero perché in fondo erano due nature senza conformismi», svelerà Topazia Alliata in un’intervista.
Nella famiglia di Fosco è la madre a schierarsi a favore dei due innamorati superando le iniziali diffidenze legate alla loro posizione non ancora solida. Il padre, invece, disapprova: non accetta l’idea che due persone possano convolare a nozze quando ancora non posseggono l’indipendenza economica. I contrasti tra lo scultore Antonio Maraini e Fosco sono inoltre accentuati da motivi politici. Antonio Maraini è un artista di successo e ha anche importanti incarichi: è Commissario nazionale delle Belle Arti e Commissario della Biennale di Venezia. Il padre di Fosco, sebbene animato da spirito cosmopolita, è legato al regime fascista, anche perché convinto che se manifestasse dissenso perderebbe la possibilità di contribuire al rinnovamento artistico.
Quando Fosco, in sua presenza, straccia platealmente la tessera del Fascio, tra i due si acuiscono i dissensi. Il matrimonio viene celebrato a Bagheria sul finire del 1935 con la massima sobrietà; dei genitori di Fosco è presente solo la madre Yoi Pawlowska Crosse. Il rito delle nozze è corroso dall’anticonformismo dei due giovani che raggiungono il luogo della cerimonia in moto; nel cartoncino di partecipazione alle nozze Topazia disegna due corpi nudi allacciati che guardano il mare e le rocce di Aspra. Renato Guttuso, ancora invaghito di Topazia, le scrive una poesia che intitola Viaggio di nozze: «Così lasciasti cadere svagata in due mari/ Scilla e Cariddi pronube/ scintillante un anello./ Amaro era il sorriso della città tutto sole».
Topazia e Fosco vanno a vivere a Fiesole in una modesta abitazione. L’amore, sempre vivo, fa superare le ristrettezze economiche. Non vivono nell’oro e sbarcare il lunario non è facile soprattutto quando arriva, nel 1936, la prima figlia, Dacia. Nel 1939 Fosco vince una borsa di studio e si trasferisce con Topazia e la piccola Dacia a Sapporo nell’isola di Hokkaidō. In quello stesso anno nasce la seconda figlia, Yuki. Per Topazia e Fosco è un periodo intenso e felice.
Fosco è incaricato di studiare la civiltà degli Ainu, una popolazione del nord del Giappone. I due coniugi sono in contatto con una cultura raffinatissima, i giapponesi sono premurosi e gentili. Nel 1941 nasce la terza figlia, Toni. La guerra è di scena nel Pacifico, lontana da Sapporo, dove la vita scorre serena, le sere sono freddissime, ad animarle sono gli incontri e le cene con intellettuali e studenti.
Ma è la quiete che preannuncia la tempesta. Sono in agguato gli anni più terribili per Topazia, Fosco e le loro piccole. Dopo l’8 settembre del 1943, l’armistizio e la rottura dell’alleanza dell’esercito italiano con quello tedesco, nasce la Repubblica di Salò. I giapponesi chiedono ai coniugi Maraini di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò. Fosco e Topazia si rifiutano. Vengono arrestati e internati, insieme a un gruppo di italiani residenti in Giappone, in un campo di concentramento a Nagoya. Con loro le bambine. La loro esistenza si trasforma in un incubo. Patiscono la fame. Quel poco cibo che riescono a raccattare è frutto soprattutto della pietà dei contadini. Ma il controllo dei poliziotti è impietoso: gli è proibito persino appoggiare le schiene sulle spalliere o sul muro. Se vengono scoperti sono bastonati.
Topazia dirà in un’intervista: «Di quel periodo ricordo soprattutto la fame, una fame ossessiva. Eravamo costretti a mangiare tutto, dai topi ai serpenti, ai resti trovati nella spazzatura. Poiché non davano razioni per i bambini, eravamo costretti a dare alle nostre figlie parte della nostra più misera razione. Un giorno un poliziotto se ne accorse, mi schiaffeggiò e gettò la mia porzione dalla finestra». Topazia si ammala, cade in depressione. Si giunge ai limiti della disperazione e della sopravvivenza. Un giorno qualcuno offre di nascosto una ciambella di pane. I poliziotti se ne accorgono e la imbrattano di escrementi. Fosco la pulisce e la rimette nel forno. Quel pane viene diviso come fosse roba sacra.
Un gesto di Fosco, dettato dall’esasperazione, segna la svolta nel trattamento disumano dei carcerieri giapponesi. Fosco, per protesta contro gli aguzzini che accusano gli italiani di viltà, si taglia un dito, il mignolo. Quell’amputazione per i giapponesi è un gesto simbolico. Lo chiamano yubikiri. Non è un segno di sfida, ma di coraggio, a suo modo rappresenta un’intesa amichevole.
Per ricompensa il governo imperiale dona ai coniugi Maraini una capretta per nutrire col latte fresco le bambine. A seguito della capitolazione del Giappone nel settembre del 1945 Topazia, Fosco e le figlie sono liberati e trasferiti a Tokyo.
È tempo di lasciare il Giappone. S’imbarcano per un lungo e travagliato viaggio che li fa approdare prima in Francia, poi a Firenze e infine a Bagheria. Dove Topazia e Fosco, assieme alle figlie, nel 1946 vanno a vivere nella monumentale Villa Valguarnera definita da Wolfgang von Goethe «maestosa come un’aquila». È una residenza sontuosa attorniata da giardini di aranci e limoni. In quello stesso anno il padre di Topazia, il duca Enrico, muore. È Topazia a prendere le redini dell’azienda vinicola di famiglia. Si rivela un’imprenditrice tenace e intraprendente.
Sebbene i tempi siano difficili e la Sicilia del Dopoguerra affondi nella miseria, Topazia si prende cura delle cantine di Casteldaccia riuscendo a risollevarne le sorti. Anche nel settore vinicolo fa valere il suo estro creativo: grazie a esso nasce il Colomba platino, un bianco ancor oggi vanto del marchio Corvo.
Fosco continua a viaggiare per il mondo seguendo i suoi studi di antropologia. I due si vedono sempre di meno. La loro convivenza diventa difficile. Nel 1955 si separano. «L’amore è eterno, finché dura», recita un aforisma dello scrittore e poeta simbolista francese Henri de Régnier. Il loro è stato un amore purissimo: la sua forza li ha trascinati in avventure fantastiche e gli ha fatto affrontare e superare atrocità inenarrabili. Ma anche i grandi amori sono destinati a finire.
Fosco si affermerà come uno dei più importanti studiosi di antropologia. Dopo il divorzio nel 1970, sposerà la giapponese Mieko Namiki, con la quale vivrà nella villa paterna di Torre di Sopra accanto al Poggio Imperiale. Morirà a Firenze l’8 giugno 2004. Topazia nel 1959 sarà costretta a vendere le cantine di Casteldaccia a un ente della Regione siciliana. Subito dopo si trasferirà a Roma per fondare a Trastevere una galleria d’arte fucina di tanti nuovi talenti.
Morirà a Roma il 23 novembre 2015 alla veneranda età di 102 anni. Un anno prima, ancora lucidissima, rilascerà a Repubblica una lunga intervista sulla sua memorabile vita. In quell’intervista dirà tra l’altro di ricordare tutto e che «la sola cosa che ho dimenticato è stato il dolore».
Antonino Cangemi – Giornalista, scrittore