Quale Europa? Ora è un pachiderma paralizzato dal diritto di veto

Rilanciare lo spirito del Manifesto di Ventotene, di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. È necessario un salto di qualità, una cooperazione non solo economica ma anche politica che dia nuova linfa all’idea di Spinelli e Rossi

La lunga telefonata tra i due autocrati che si ritengono alla guida del mondo, Trump e Putin, dovrebbe preludere alla fine della guerra in Ucraina. Non è noto su che basi dovrebbe correre la trattativa, ma certo non saranno rose e fiori per Zelensky e il suo Paese. E, probabilmente, non lo saranno neppure per l’Europa che, con ogni probabilità, se non sarà tagliata fuori, avrà un ruolo men che marginale. Del resto, è noto quale infima opinione abbia Trump dell’Unione europea. “Per lui (Trump) non è reale, il potere risiede negli Stati membri”, ha dichiarato in un’intervista alla Stampa Kurt Volker, inviato speciale di Trump per l’Ucraina e già ambasciatore di George W. Bush alla Nato.

Sullo scacchiere mondiale sembra sempre più affermarsi una sorta di diarchia Trump/Putin, in maniera anche piuttosto rozza, senza mezze misure, senza le sfumature che un tempo connotavano la diplomazia. Oggi non sembra più questo il tempo: si esige e si ordina. Sul piano internazionale il diritto pare dipendere ancora una volta dalla forza, mentre per l’Europa è sempre più dannatamente concreto ed attuale l’incubo di essere tagliata fuori, di restare avulsa da trattative lontane. Ne sono prova le preoccupate dichiarazioni dei ministri degli Esteri di Francia, Spagna e Germania, i quali si premurano di avvertire il Presidente americano che “non ci può essere un accordo per la pace in Ucraina senza la partecipazione di Kiev e dell’Europa”, mentre fanno quasi tenerezza le dichiarazioni di Kaja Kallas – alto rappresentante dell’U.E. (una sorta di Ministro degli Esteri dell’Unione) – secondo la quale “L’Europa deve potersi sedere al tavolo delle trattative, perché non c’è accordo possibile senza di noi”. 

Del resto l’Europa ha fornito un rilevante contributo, economico e di armi, per la difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa, ed ha subito un pesantissimo contraccolpo economico a causa della crisi internazionale determinata dalla guerra. Tuttavia, in questi anni, quasi mai ha fatto sentire la sua voce per il raggiungimento di una tregua e di una pace duratura, essendosi limitata, al più, a condannare l’aggressione russa e a manifestare sostegno al Paese aggredito. Tutto giusto, per carità, ma insufficiente a delineare un peso politico significativo, tale da incidere concretamente nella risoluzione della crisi.

Ernesto Rossi

Esiziale il diritto di veto

Purtroppo l’Unione europea sconta criticità remote, dovute ad una debolezza politica che è anche figlia di un inadeguato apparto normativo e che ben difficilmente potrà trovare soluzione nell’immediato. L’ultimo rilevante ampliamento, sino a 27 Paesi, senza un adeguato aggiornamento dei Trattati, ha trasformato l’Unione in un pachiderma, incapace di muoversi sollecitamente e stare al passo coi tempi. Lo sottolinea con grande chiarezza Romano Prodi (Repubblica del 13.2.25), evidenziando come già nel 2004, mentre si lavorava per l’allargamento dell’Unione a dieci Paesi dell’ex Patto di Varsavia e tutti i leder concordavano sulla necessità di importanti riforme delle Istituzioni, di fatto poi non accadde nulla, fatta salva qualche “limatura” di scarca efficacia. 

Esiziale, sotto tale profilo, si rileva la persistenza del diritto di veto e la sua mancata sostituzione con l’introduzione di un principio maggioritario, che si traduce in una vera e propria paralisi dell’Unione e dei suoi organi. Non ci vuol molto per capire che il diritto di veto, se poteva avere una sua giustificazione agli “albori” dell’Unione, quando gli stati membri erano sei, o nove (e raggiungere un’intesa era più facile), non può avere alcun senso oggi che gli Stati membri sono 27 (e ancora meno se dovessero diventare 37). “Il consiglio europeo – scrive Prodi – è sempre più il centro decisionale dell’Unione ma, nello stesso tempo, ne rappresenta il freno più tenace che viene reso ancora più efficace dall’incomprensibile e antidemocratica regola dell’unanimità. Una regola secondo la quale l’aumento del numero dei componenti del Consiglio moltiplica la probabilità che il diritto di veto sia applicato come erma abituale”.

Logico e comprensibile, dunque, che sull’Europa che, pure, ha vissuto un lungo periodo di pace, ma che ha perso slancio e rilievo nel contesto internazionale, anche a causa delle divisioni fra Stati, in un contesto come l’attuale tornino ad allungarsi le ombre di stagioni ormai lontane, quelle di una possibile deriva verso l’estrema destra, anche di stampo neo-nazista, peraltro solleticata da personaggi come Elon Musk, emblema di un mondo sempre più soggiogato al sovranismo (che altro non è se non la versione attuale del vetusto nazionalismo).

Romano Prodi

Tutto il contrario dell’Europa vagheggiata da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi

Entrambi, sullo scoglio delle Pontine dove li aveva confinati il fascismo, stilarono (con la collaborazione di Eugenio Colorni) il famoso “Manifesto di Ventotene”, contenente i lineamenti della vagheggiata unità dell’Europa. Proprio nel momento in cui il vecchio Continente bruciava sotto i bombardamenti e gli orrori della seconda guerra mondiale. Quel Manifesto – che poi vedrà la luce dopo la caduta di Mussolini – è, a ragione, considerato il primo testo che indica l’unità europea come soluzione alla barbarie della guerra che si stava ancora combattendo e come “antidoto” rispetto a guerre future. 

Dopo il 1945 molti altri spiriti europei, da Simone Weil a Frederick Hayek, da Joseph Schumpeter a Jacques Maritain, da Helmut von Moltke a Karl Popper, fornirono un altissimo contributo alla causa dell’unione europea, anche se l’opera di Spinelli e Rossi resta fondamentale nel campo della politica e dei rapporti fra gli Stati, perché va alla radice delle ragioni della pace e dell’ordine internazionale, necessario per scongiurare il ripetersi di tragedie come il secondo conflitto mondiale.

Richiamare, oggi, alla memoria il Manifesto è quasi come evocare un reperto archeologico. Spinte antieuropeiste si agitano un po’ in tutti i Paesi e i prossimi mesi saranno probabilmente cruciali per il futuro dell’Unione Europea, con le elezioni politiche che interesseranno Stati importanti come la Germania e, forse, anche la Francia, ormai priva di una stabile maggioranza di governo. La forte presenza, un po’ ovunque, di movimenti populisti, antieuropeisti e di estrema destra, in costante crescita di consensi, coniugata al decisionismo altrettanto populista di Trump, potrebbe rompere definitivamente l’unità del vecchio Continente. Ma anche ove tali forze non dovessero diventare maggioranza di governo, non potrà l’Europa non segnare un cambio di passo. Essa non potrà più nascondersi al riparo di quanto già esiste – una mera cooperazione economica e (in parte) giuridica, costellata, tuttavia, di gelosie e ripicche – perché ben difficilmente potrà resistere ancora per molto tempo, prima che il “sovranismo” la faccia da padrone. 

Appare, dunque, necessario un salto di qualità, attraverso una cooperazione che non sia solo economica ma anche politica e sociale, che faccia ritrovare nuova linfa all’idea di Spinelli e Rossi, evitando che essa sia consegnata ad una delle tante utopie della Storia. Per far sì che ciò accada occorre por mano ai trattati e provare a ridefinire in senso confederale l’organizzazione dell’Unione. Non sarà facile, ma occorre provarci.

Qualche anno fa, Papa Francesco, in un discorso ai potenti del mondo, ebbe a dire che occorre mettere da parte “l’età del sopire, troncare, procrastinare” e sostituirla con l’età dell’osare e sperimentare. È quello che occorre all’Unione europea.

Barbara Spinelli, figlia di Altiero e già parlamentare europea, in uno scritto recente, ha invocato, tra l’altro, che l’Unione cambi anche il nome e torni all’antico, evocando “il nome di Comunità”. “Comunità – scrive Spinelli – è un concetto più solidale e amichevole di Unione. Forse è il caso di restituirle questo bel nome che ha abbandonato, se è vero che ogni liberazione avviene così: impadronendosi del significato profondo delle parole, e volgendole contro le menzogne che s’ostinano a raccontarci”.

 

Roberto Tanisi

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