Dialogo di Maurizio Eufemi con Giacinto Urso, “Grande democristiano” con modestia

Ricordi di De Gasperi, Moro, dei protagonisti della Repubblica, del lavoro parlamentare, della politica vissuta "come servizio per il prossimo". "La politica è anche scienza. Va imparata con umiltà e serietà". La lezione morale di don Tonino Bello.

Caro Giacinto, ti sento in forma e con una voce squillante!

Caro Maurizio, mi difendo come posso. Sono in forma come i gelati, che però, facilmente si squagliano.

Tu che fai in Piemonte?

No, Presidente, non sono piemontese, ma sono stato eletto senatore nel collegio senatoriale di Chivasso, Chieri, Settimo Torinese, comprendente 44 comuni e 240 mila elettori con un sistema economico avanzato e plurisettoriale. Il mio collegio di deputato della circoscrizione elettorale delle Province di Lecce, Brindisi, Taranto contava, tra Comuni e frazioni, 160 centri abitati!

Nei giorni scorsi abbiamo celebrato De Gasperi a Viterbo, lo hai conosciuto?

Sì. Venne a Lecce per un comizio nel dopoguerra. Precisamente il 22 febbraio 1948 in vista delle elezioni del 18 aprile. Tornò nel giugno del 1951. Visitò anche Taranto, dove pose la prima pietra per l’utilizzazione irrigua del fiume Tara, che rese coltivabili 4000 ettari!

Come lo ricordi?

Pronunciò a Lecce un bellissimo discorso. Concetti chiari e pensieri lunghi di grande Statista. All’inizio il suo dire sembrava stentato per poi esplodere in una oratoria densa di concretezza e di lungimiranza.

Come è stato il tuo avvicinamento alla politica?

Attraverso una intensa, ricca militanza nell’Azione Cattolica, che in quei tempi lontani concedeva appropriata formazione a vasto raggio e che faceva assaporare le bellezze dei sistemi democratici. Decisivo fu un corso formativo, tenuto nell’Arcidiocesi di Otranto, che ebbe illuminato relatore il giovanissimo Aldo Moro, docente universitario in quel di Bari.

I suoi pensieri – si era nel 1945 del secolo scorso – aprivano la mente verso conquiste democratiche e strumenti di comunanza politica, illuminati dal richiamo ai principi sociali e cristiani. In seguito, il mio impegno trovò consolidamento, seguendo gli insegnamenti di due grandi spiriti eletti: il giurista Giuseppe Codacci-Pisanelli e il docente di scienze naturali Beniamino De Maria.

Moro, che era nato a Maglie, che rapporti aveva con il Salento? I salentini lo consideravano ormai “barese”?

Anche se nella designazione dei candidati per l’Assemblea Costituente non si volle Moro candidato a Lecce, la radice magliese l’ha tenuta, la culla di Maglie non l’ha mai dimenticata, anche se ormai insegnava a Bari e li svolgeva la sua attività prevalente.

Cosa pensi della statua che Maglie ha dedicato Moro in figura intera con il quotidiano “L’Unità” sotto il braccio?

Lo scultore è stato ardito. Non c’era un fine politico; lo scultore non aveva una doppiezza politica. Era solo per ricordare la fase della solidarietà nazionale senza secondi fini.

Dopo l’Azione Cattolica che hai fatto?

Ho militato da dirigente nella Democrazia Cristiana nella mia natale Nociglia. Poi nella Segreteria provinciale di Lecce, che nel 1957, mi ebbe sua guida per passare nel 1963 a Deputato della Repubblica e a consigliere nazionale del Partito, facendo tutto, passo dopo passo.

Che ricordi hai della esperienza parlamentare?

Soprattutto ebbi la consolazione, io minuscolo giovane di periferia, di essere accanto a personalità di livello nazionale e internazionale. Si chiamavano, ne cito alcuni, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giovanni Leone, Berlinguer, La Malfa, Pacciardi, Saragat, Pertini, Malagodi, Almirante, e tanti altri di alto sentire e di grande tradizione democratica.

Chi era il tuo punto di riferimento?

In testa, Aldo Moro, nato a Maglie, cioè nella stessa provincia. In seguito, anche Paolo Emilio Taviani. Mi preme aggiungere che nelle collocazioni parlamentari seppi mantenermi un po’ al di fuori di radicali posizioni correntizie spesso esasperate e dispersive. Lo spirito unitario mi fu legge suprema e rispetto di tutti regola costante.

Che cosa seguivi in Parlamento?

Potrei dire tutto. Con diligente presenza e con misura del mio essere, mai disposto a strafare. Espressi specifico interesse per la sanità, per gli atavici problemi del Mezzogiorno, dimenticato, per gli Enti Locali, base della democrazia popolare, per i bilanci e i regolamenti interni della Camera, e spiccatamente per l’artigianato, forza propulsiva spesso dimenticata.

Nelle mie cinque legislature, ho preferito sempre far parte della Commissione Igiene e Sanità della Camera dei Deputati, che ho presieduto per sette anni e che mi ha concesso di contribuire al varo della grande legge 833 del dicembre 1978, che istituì l’attuale Servizio Sanitario Nazionale, una riforma epocale, compromessa in seguito, nella gestione pratica, affidata alle Regioni, che l’insigne Saverio Nitti, presidente del Consiglio, prima del nefasto ventennio fascista, considerava in sede di Costituente “funghi della confusione”. Colgo l’occasione per ricordare chi sostenne il mio lavoro con generosità: Tina Anselmi, Maria Eletta Martini e Danilo Morini.

Al termine dell’esperienza parlamentare quali altri incarichi hai ricoperto?

Mi piace precisare che – assolte cinque legislature – pur essendo in buona salute politica, rinunciai a rendermi nuovamente candidato, ritenendo che è doveroso il ricambio per agevolare, a buon diritto, altri meritevoli.

In più, ho sempre creduto, aspetto non facile, che conviene scendere da cavallo quando si è forte in sella e prima di incorrere in qualche ruzzolone obbligato. Terminato il periodo parlamentare, sono stato chiamato a Presidente della Provincia di Lecce, poi a Presidente della Società provinciale dei Trasporti e in seguito, per undici anni, a Difensore Civico della Provincia. Mi fu assegnata dal presidente della Repubblica, Oscar Scalfaro, la nomina “motu proprio” di Cavaliere di Gran Croce, massima onorificenza della Repubblica Italiana.

Anche io ho conosciuto a Treviglio un saggio, preparato efficientissimo difensore civico, che faceva tanto bene. Purtroppo, dopo una breve sperimentazione, la difesa civica, così necessaria sul piano del controllo è stata posta da parte, pur essendo valido scudo per i diritti dei cittadini e per il controllo del pubblico potere amministrativo.

Nei vari incarichi hai lasciato il testimone a qualcuno dei tuoi discepoli?

Non mi sono sentito mai un maestro. Ho avuto, però, molti preziosi collaboratori, che si sono fatti avanti per i loro valori e forse pure per quel poco che sono riuscito a fare e a concedere loro. La politica non può ammettere regie successioni.

Giacinto, chi fa politica deve sacrificare la famiglia. A te ha pesato?

Senza dubbio. Per 21 anni di attività parlamentare potrei dire che ho lasciato quasi “vedova” mia moglie Rosaria, ora nei cieli assieme all’unico figlio, Vito. È stato duro il sacrificio. Ogni settimana: due notti in treno. Ho usato poco l’aereo. Quattro giorni a Roma e tre giorni a Lecce e Nociglia. Porta di casa sempre aperta. Code di cittadini da ascoltare, che arricchivano la conoscenza dei problemi. Al Sud così si usa. Non si trattava di clientele, ma di utili raccordi popolari, fecondi per chi fa politica.

Ho accennato ai sacrifici, ma tante sono state le soddisfazioni. Servire, attraverso la politica, il prossimo. Si sparge carità, cioè amore. Lo ricordava don Tonino Bello, mio comprovinciale, di recente proclamato Venerabile.

Che giudizi dai di questa classe politica dell’oggi?

Senza atteggiarmi a giudice, non li condanno del tutto. Confiscati i partiti, sbiaditi i sindacati, quasi chiusi gli oratori, resa cioè esule la politica, si è spenta la formazione, agevolando la improvvisazione e l’avventura. La politica è anche scienza. Va imparata con umiltà e serietà. Non solo,  mai si deve scordare che una democrazia, che abolisce quello che chiede l’articolo 49 della nostra Costituzione è una democrazia stentata, che – tra l’altro – non può essere rimpiazzata dalla lebbra delle liste civiche o dell’attuale “civismo” ultima manifestazione dei voltagabbana di turno, impastata di cinismo.

Mi viene a mente De Gasperi che nella sua umiltà andava a casa di Sergio Paronetto in Via Arno ad apprendere lezioni di economia! Senza dubbio l’umiltà è il sale della buona politica.

Che ricordi ancora della Azione Cattolica?

Profonda nostalgia dei Gedda, dei Caretto, dei Bachelet, Veronese. Del servizio reso all’Italia e alla democrazia italiana, facendo amare la Chiesa, il Papa, ma anche le libertà civili. Al momento, con tristezza, vedo troppe noncuranze in proposito.

In finale, che ti piace ricordare?

Tanto e molto. Con un particolare. La grande amicizia con te, Maurizio, che salvavi tanti bisogni e tante mancanze di noi parlamentari, quando ti spendevi negli uffici dei gruppi della Democrazia Cristiana a Montecitorio. Eri un “salvagente” che accomuno all’On. Elisabetta Conci, deputata a sorvegliare le nostre presenze in Aula e nelle Commissioni.

Bei tempi. Straordinari davvero.

 

___________

Questo è Giacinto Urso, un quasi centenario che ha pubblicato Storia e Storie il suo costante dialogo con i cittadini attraverso il Nuovo Quotidiano di Puglia. Ricorda sempre i pensieri di don Tonino Bello, già arcivescovo di Molfetta, che veniva considerato un antipolitico mentre aveva il culto della politica. In una lettera personale a Giacinto Urso scriveva: ” … continua ad alimentare le speranze della povera gente in un mondo più pulito e più libero e più giusto. Chi è incontaminato può farlo. Quindi tu lo puoi. ! Coraggio”.

Di don Tonino Bello voglio citare due massime:

“Dobbiamo vivere il presente come uomini venuti dall’avvenire”;

“Noi nasciamo vecchi, bisogna cercare di morire giovani”.

 

Maurizio Eufemi – Senatore nella XIV e nella XV legislatura

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