De Carlo, presidente commissione Agricoltura Senato: battaglia sui fronti caldi del settore. Allarme Ue sul vino, farina d’insetti, bistecche sintetiche: sarà rafforzata la nostra task force a Bruxelles

Luca De Carlo, veneto di Belluno, sindaco di Calalzo di Cadore, è presidente della commissione Industria, Commercio, Turismo, Agricoltura e Produzione Agroalimentare di Palazzo Madama. Eletto nelle file di FdI, nella scorsa legislatura ha battuto un record: unico ad avere esercitato il mandato sia alla Camera (da cui decade dopo un riconteggio) che al Senato (dove approda in seguito a suppletive).

Adesso, dalla guida di una delle commissioni cruciali per l’agroalimentare italiano, promette battaglia sui fronti caldi per il settore. A partire dalla “breccia irlandese” per le etichette health warning sul vino: “I produttori sono in agitazione ma sanno di non essere soli, governo e Parlamento si stanno muovendo. Il prossimo passo sarà portare il tema al WTO”.

Quanto alla farina d’insetti, De Carlo è meno preoccupato: “L’italiano medio assaggerà il novel food e poi tornerà alla cucina tradizionale. L’importante è la trasparenza sui prodotti”. Soprattutto, il senatore ha ben chiaro quale sia il campo di battaglia: “In passato non si era capito che molte strategie nascono in Europa. L’80% delle politiche agricole vengono decise a Bruxelles. Il ministro Lollobrigida intende rafforzare la nostra presenza a Bruxelles con una task force. Si tratta di monitorare i movimenti prima che diventino problemi, anticipare i tempi, creare relazioni. Bisogna dare centralità all’Europa. Ma deve diventare l’Europa che vogliamo”.

Il via libera dell’Unione Europea all’Irlanda per apporre sulle bottiglie di vino etichette health warning del genere “l’alcol provoca il cancro” ha suscitato forti reazioni in Italia. Il settore vitivinicolo si è fatto sentire? Che cosa temono?

Indubbiamente questa notizia ha provocato agitazione nel settore. I produttori hanno però la consapevolezza di non essere stati lasciati soli. A partire dal ministro della Sovranità Alimentare Lollobrigida, ci sono state iniziative bipartisan di tutto l’arco parlamentare. È suonato un campanello d’allarme che serve a dare al ministro la spinta per parlare con i suoi omologhi all’interno dell’Ue: Italia, Francia e Spagna insieme contano il 47% delle bottiglie vendute in Europa.

Federvini ha chiesto un intervento del governo presso la Corte Europea di Giustizia. L’ex ministro dell’Agricoltura Centinaio ha promesso tutele nelle sedi opportune. Quali sono secondo lei i passi da compiere e come si sta muovendo il governo?

Esecutivo e Parlamento si sono mossi all’unisono nella difesa della nostra cultura alimentare. Penso che quello nel WTO (l’Organizzazione Mondiale per il Commercio) che dovrà esaminare la questione sia il prossimo passo fondamentale. Bisogna mettere il tema sul tavolo con forza. Ormai per fortuna si è capito che non si tratta di attacchi all’Italia bensì all’intera Europa.

Beh, nel caso del vino l’offensiva viene dall’Irlanda. Si può parlare di un fronte comune mediterraneo a difesa delle tradizioni alimentari?

C’è un doppio problema. Da un lato, i Paesi del Nord Europa che non hanno una tradizione alimentare cospicua né variegata di prodotti tipici puntano a erodere il nostro settore enogastronomico a favore di prodotti più omologati. Dall’altro lato, le multinazionali che ovviamente fanno i loro interessi. E poi c’è l’Italia che ha 845 prodotti tra Dop e Dpg, di cui 526 vinicoli. Siamo un attore importante di questo mercato, solo l’export del nostro vino vale 8 miliardi di euro.

Altra questione discussa è l’ingresso della farina di insetti sulle nostre tavole. C’è un tema di trasparenza e tracciabilità o siete per un divieto assoluto?

Se si tratta di dare un via libera complessivo agli insetti come panacea per sostituire le proteine animali a cui siamo abituati, credo che sia l’approccio sbagliato anche perché irrealistico. Se invece si tratta di inserirli nella nostra dieta non lo trovo un dibattito appassionante: l’italiano medio proverà questo novel food e nel 90% dei casi tornerà alla cucina tradizionale.

Anche sushi e cous cous però dieci anni fa erano considerati roba per eccentrici e adesso vengono consumati abitualmente dagli italiani, anche grazie alla diffusione del delivery.

Guardi, il tema vero e più sentito dai consumatori è la trasparenza delle etichette. E io ritengo che diventerà anche un profilo di marketing: scrivere “non contiene farina di grillo” farà vendere di più il prodotto. Parliamo di un tipo di dieta diversa dalla nostra che viene dall’altra parte del mondo, e dubito che conquisterà i nostri concittadini.

Va bene, no alle proteine di insetti e pure alle bistecche sintetiche. Non ci sono scorciatoie. Come si sfamano, però, 8 miliardi di abitanti del pianeta terra in continua crescita?

Con una dieta basata sull’equilibro tra i prodotti. L’Italia consuma molta meno carne di altri Paesi, la dieta mediterranea ha una struttura piramidale con la carne rossa in cima. Servono varietà, efficientamento tecnologico nella produzione, ottimizzazione della filiera. I fondi del Pnrr saranno utili per i problemi delle nostre infrastrutture, anche se si sarebbe potuto fare di più. Ma non possiamo smantellare una tradizione secolare come l’allevamento. Ricordiamoci che l’Italia è la prima agricoltura sostenibile d’Europa e la sesta del mondo.

Tutto questo basterà?

I nostri agricoltori hanno già ridotto l’uso di fitofarmaci, e la Pac (Politica Agricola Comune, ndr) premia questa direzione. Chi fa innovazione affronta meglio le crisi perché ha già gli strumenti. In fondo, la tradizione è un’innovazione riuscita. C’è una cosa che non sa quasi nessuno: nel 1984 la resa del nostro mais era superiore a quella degli Usa. E vogliamo gettare via questo patrimonio?

C’è un aspetto ineludibile: il caroprezzi, l’inflazione. Se non si interviene sul costo dei generi alimentari, al di là delle belle parole, la spesa di qualità diventerà un lusso per ricchi.

È per questo che crediamo nella sovranità alimentare. Non è autarchia, è una campagna portata avanti dai campesinos, da Slow Food e da una parte della Chiesa. C’è un ministero con questo nome anche in Francia. L’obiettivo è garantire a tutti cibo equo e dignitoso a prezzi accessibili. Non vorrei che finisse con qualcuno costretto a mangiare cibo “chimico” perché costa meno.

In concreto come si può agire sui prezzi?

I prezzi attuali sono drogati dai costi di produzione schizzati in alto. La grande distribuzione non ha scaricato tutti gli aumenti sui consumatori e chi ha patito di più sono i produttori. Bisogna lavorare sui contratti di filiera che sono il primo scalino. Il ministero della Sovranità Alimentare ha già messo 500 milioni di euro per sostenere i meno abbienti. La situazione è difficile, non si può negare.

Vino, Nutriscore, insetti. L’Europa è “matrigna” – come il suo partito ha sostenuto in passato – oppure altri Paesi sono più bravi di noi a fare lobby e imporre le proprie posizioni?

L’Ue è molto influenzata dalle lobby, e lo si è visto con il Qatar-gate. Qui si tratta di fare “cartello buono” e tutelare i propri punti di vista. Forse in passato non abbiamo difeso con abbastanza energia le nostre istanze. Forse c’è stata distrazione. La mia mozione sul Nutriscore, quando l’ho proposta, è stata votata all’unanimità. E altri Paesi hanno capito di essere a rischio: ho spiegato alla vice-ambasciatrice tedesca che nemmeno birra e wurstel possono dormire sonni tranquilli…

Pensa che adesso le cose stiano cambiando?

Non si era capito con chiarezza che molte strategie nascono in Europa. Bruxelles veniva visto come un parcheggio per dinosauri a fine carriera. Ma l’80% delle politiche agricole vengono decise lì ed è lì che dobbiamo batterci. Il ministro Lollobrigida intende rafforzare la nostra presenza a Bruxelles con una task force. Si tratta di monitorare i movimenti europei prima che diventino dei problemi, come nel caso del Prosek. Si tratta di anticipare i tempi, creare relazioni. Bisogna dare centralità all’Europa. Ma deve diventare l’Europa che vogliamo.

 

Federica Fantozzi – Giornalista

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