Cultura

Canto del Gallo/27 – Passato. Storia di futuro

Uno dei fenomeni consustanziali all’iper comunicazione globalizzata, che caratterizzano la nostra attualità, in cui c’è una deriva omologante e una originalizzazione povera e folcloristica, tipica di ogni mass cult, è quello detto dell’acculturazione. Tutto un sommovimento che sta creando isole e isolotti, comportamentali, etici, linguistici, che rompono più di quanto non costruiscano, i cui aspetti fondamentali sono di appiattimento dei fondamentali umanistici e superstima per quelli del neo positivismo scientizzante  e di aspetti contro culturali, religiosi, fondamentalisti e neo occultisti, di cui fa parte tutto il pianeta terrapiattista e complottista (che per fortuna non hanno intaccato i vertici del cammino della conoscenza e della religiosità plurale). Un aspetto positivo, direi di fondo, della scienza fisico matematica, è quello di non ammettere dogmi, ma i suoi cascami creano una oppositività dialettica di massa, che è un fattore di notevole turbamento, come testimoniano gli squilibri degli omnipresenti  social, che sono paragonabili, con paragone forzato, che rende l’idea, ai miliardi di topi, che stanno sotto la superficie, dei nostri incerti passi e delle nostre ragioni euclidee, che si basano su ipotesi, date per vere, fino a prova contraria. Stiamo assistendo al separarsi tettonico, di una zolla di paradiso per pochi e di un inferno per molti; e mi servo, per esempio dell’isola caraibica di Hispaniola, divisa in una San Domingo per i figli degli “dei” e una Haiti per I dannati della terra. Non parliamo della libertà, nel senso giusnaturalistico e del diritto, che appartiene ad una ridotta del mondo, mentre tutto il resto è odio e passione insana per la morte. Io che scrivo e non appartengo a nessuna ortodossia, son certo della parte in cui sto e che nessuno mi metterà sotto inchiesta per il mio pensiero, che coinvolge solo me quanti vogliono accostarlo. Molti anni fa, ho visto un film,

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Canto del Gallo/26 – Immaginazione. Fine del tempo

L’impressione è quella di essere sempre nel presente e che le nozioni di passato e di futuro, interessino solo gli storici e i filosofi, mentre quelli che hanno la “testa sulle spalle”, badano al sodo, attenti alle psicologie dell’essere e dell’apparire. Ma, come abbiamo ormai scontato, siamo immersi in specchi ed enigmi che ci fanno credere, quello che ad un vero sapere, apparirebbe come una fantasticheria del sogno, che non si ferma alla follia della notte, ma prosegue anche nel giorno facendoci inseguire chimere dell’effimero e dell’irreale. Usciti dalle velleità del materialismo storico e dialettico, dalle pesantezze della cultura positivistica, che riduceva tutto ad una azione / reazione ad un composto chimico, burlando l’idealismo come sottocultura della nostra immaginazione, in cui tutto avviene, avvolgendoci in una grande monade, in cui siamo tutti, individui e specie umana, incollati a questa piccola sfera di una galassia secondaria, a scontrarci su tutto, mentre tutto scorre, indipendentemente da noi. Ignota ci è, la nostra origine, terribile racconto che ci àncora ad un passato imperscrutabile, ma abbiamo anche là fantasia che ci proietta in una alterità, che si chiama memoria, immaginazione, intuizione, fantasia. Siamo tutto cervello, il resto è macchina , bellissima organizzazione che senza di esso muore, cessa di esistere e si estingue nella terra da cui proviene. Cervello produce mente e quindi idea del tempo e dello spazio (che ha funzionato anche prima che diventasse spazio / tempo); e questa nuova concezione spazio temporale ha influenzato la stessa idea di realtà (che si riduce a reale in forma psicologica, esperienziale) differenziandola da una irraggiungibile realtà. Ci stiamo convincendo di essere sempre in un invincibile passato, perché il tempo è troppo veloce e non parliamo della luce. Infatti, come dice Fritjoff Capra nel suo Il Tao e la fisica, noi vediamo sempre nel passato,

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Canto del Gallo/25 – Ordine. Disordine. Ordine

Quando uno sembra non capire diciamo che abbia acqua nel cervello. Quando vogliamo dire che un’impresa sia senza fondamento, inutile… sembra di pestare l’acqua in un mortaio. Piana, Schiaccia. Schizza. In parte diventa vapore. Ma poi si ricompone. Come se niente fosse avvenuto. Ma così non è, perche Jacques Benveniste, nel suo libro sulla memoria dell’acqua, ci assicura che niente sfugge all’acqua, vera memoria di un ipotizzabile “tutto”. Un termine speculare al “nulla”, di cui non possiamo dire altro, che quello che chiamiamo tutto, non è affatto tutto (perché a noi è negato antropologicamente pensarlo) e quello che diciamo nulla, è fatto di tutto un universo di piccolo, piccolo a tal punto, da non avere materia, ma è necessario ed essenziale.  A noi è data una eterna età di mezzo, che è come una grande prigione, che è tanto grande ed invisibile, da darci l’impressione di una grande libertà, tanto grande che alcuni la dicono assoluta, altri la dicono libero arbitrio. Siamo passati dagli dei a un dio, abbiamo affermato la morte di dio, per poi dire, che più ne sappiamo, meno ne sappiamo, avendo preso coscienza, a due millenni da Socrate, che l’unica cosa di cui possiamo essere certi è la nostra ignoranza. Oggi tutto è aperto, indaghiamo in tutte le direzioni e non facciamo un dramma nel dire che il big bang, non è avvenuto alla data di 13 miliardi 800 milioni di anni, ma forse in un tempo più del doppio, nel dire, senza capire, che l’universo è infinito, nel prendere atto che la terra, tra un miliardo di anni potrebbe diventare come Marte o come Venere e che, per salvarci, abbiamo tempo per imparare a vivere, almeno il tempo di quattro anni luce, per raggiungere l’area di Proxima Centauri (nella nostra Galassia) da cui distiamo 78

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Canto del Gallo/24 – Cielo Cosmo Universo

La parola possiede una propria vita, una sorta di biologia, che rispecchia le forme del tempo e dello spazio, trovandosi oggi, dopo essersi trasformata per tanto tempo, superando trasformazioni lente e graduali, con lunghe cronologie di crescita, affermazione, decadenza, ad affrontare una repentinità accelerata, nel confronto inedito con lo spazio/tempo, che la fa vivere in una condizione di crisi avvolgente, perché è esso stesso crisi, con abbandono dell’edito e transito nell’inedito. Con una dialettica in cui velocemente ogni sintesi viene travolta, in nuove tesi e nuove antitesi, che rompono  con le vecchie logiche, a volte con la singolarità teoretica della sua stessa concettualità e a volte somiglianti alla illogicità del delirio. Ma abbiamo bisogno della parola. E senza parola, questo lo sappiamo, al di là di ogni dubbio metodico cartesiano, non c’è pensiero e quindi non c’è reale, non c’è immaginario, non c’è comprensione e intelligenza. Quindi non ci siamo noi e se non ci siamo noi, è  come se il tutto fosse nulla. Non c’è più il cielo che ci rassicurava, posti al centro dell’osservabile, con sole e stelle che danzavano intorno a noi, sotto l’occhio ora benevolo ora irato del Creatore. Eravamo in errore, eppure su quell’errore abbiamo basato, matematica, fisica, geometria, astronomia, filosofia; insomma la storia della civiltà che ha fatto nascere prima Aristotele, Pitagora e Archimede e poi Bruno, Galileo e Keplero da Copernico.La definizione del cosmo segue di “necessità”, una disseminazione che si chiama umanesimo integrale, con un offuscamento di teologia e teleologia, inaugurando una storia senza obiettivi e senza mete, che non fossero quelli della conoscenza come premio a se stessa, con una introiezione del bene e del bello in noi stessi, senza alterità; un punto in cui si poteva senz’altro dire e ridire, “verum et factum convertuntur”, non in senso divino, inaugurando una

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Canto del Gallo/23 – Fine del solido. Impero dei numeri

Galileo Galilei e Isacco Newton, ci avevano abituato “male”, dopo la sberla che in poco tempo aveva fatto fuori l’antropocentrismo e il terracentrismo, il sole che ci girava intorno e il cielo delle stelle fisse. Nel senso che il solido era ancora solido e via via, il liquido, il gassoso, anche se con l’ancoraggio della temperatura, che ne poteva variare lo stato e la condizioni. E poi lo spazio, da un luogo all’altro, il tempo, da un’ora all’altra.  C’era il tuam nescis che era scritto in tutte le torri degli orologi, ma quella riguardava l’ora della nostra morte e che era l’unico ritardo che non ci dava alcun fastidio…. Anzi. Ma poi quel benedetto Einstein, con la sua relatività generale e ristretta, ci ha messo la sua, facendo balbettare lo spazio e il tempo, in uno spazio/tempo di difficilissima comprensione e già, allora, sindromi depressive, rettiliani, terrapiattisti, ravvicinatisti. Quando Max Plank con la sua fisica quantistica dice: guardati la mano ti sembra solida….? Sembra… ma nel suo sub atomismo di nucleoni ed elettroni, è tutto un movimento tanto veloce da creare illusioni, proprio come il cagnolino al guinzaglio di Balla e il cane a sei zampe della ex SuperCorte Maggiore, oggi Eni. Rientrano in gioco e prendono vigore il pgreco 3,14, la “e” di Eulero col suo 2,71, la progressione di Fibonacci ( 1+1=2 / 2+1= 3 / 3+2=5 / 5+3=8 e così all’infinito) per non parlare del segmento aureo di Archimede, che è una dimostrazione ante litteram dell’esistenza di Dio (ma non del Dio, di questo o di quello, ma Dio = luce e trasparenza; e basta). Insomma (niente appare per quello che è, niente è per quello che appare) tutto deve essere tradotto in nuova sapienza e rinnovata fede; perché noi non potremmo mai essere così intelligenti, se

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Canto del Gallo/22/Paura. Ominide. Uomo. Post…

I media, nuova cappa che riveste il mondo, appoggiandosi sulla rete dei meridiani e dei paralleli, come una nuova pelle, rimandano ad una nuova era antropologica, in cui le notizie sono istantanee e quindi prendono l’aspetto, della instabilità, della moda in senso ampio. Un succedersi continuo di segnali, che per la loro velocità, che si approssima (si fa per dire) a quella del suono (quella della luce è ancora inarrivabile) non ci concede nessuna pausa di riflessione, né in etica, né in estetica, inducendo alla proliferazione degli analecta, raccoglitori e compilatori, che cercano di rallentare il tempo, separando il grano dal loglio e istituendo una linea ermeneutica elitaria, che spezza in due la piramide sociale, divenente (più che divenuta) sempre più verticale nella parte superiore, sempre più orizzontale quella inferiore. Tanto che diventa ipotizzabile un suo tattile sezionamento in due parti, che potrebbero, per il venire meno della porosità intermedia, divenire non comunicanti. Il tratto comune diventa la paura, paura di non essere, paura di non avere, a sufficienza, per andare in alto; la paura di perdere l’effimero che si ha, per rimanere dove si è. Una paura “intellettuale” in alto, una paura “viscerale” in basso. La nostra narrazione antropologica parte dall’ominide che non si accorgeva nemmeno di essere, vivendo in una biologia totale, che non era né vita né morte, ma un frettoloso passaggio in cerca di cibo, nella panacea di un sesso, senza intermittenza. L’uomo come tale nasce, paradossalmente, con la scoperta della morte, da cui derivano tutte le attività mentali elevate, di nomenclatura, di agricoltura, di cronometria, di architettura. Tutte misure che portano all’amplificazione della memoria, fino all’invenzione della scrittura, che è il vero salto di qualità, quello che ingloba tutto e struttura la scoperta della divinità (fatta di tavole della legge, bibbie, codici ermetici, libri vedici…)

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Canto del Gallo /21/ Rosso. Nero. Bianco. Noi

La fantasia è il luogo del risarcimento del reale, non della realtà che è In gran parte invisibile e impercepibile, oscura, inodore, insapore, fuori dalla nostra portata intellettuale, concettuale persino, sia quando è infinitamente piccola, nella elementarità assoluta, sia quando è infinitamente grande e quando sfiora l’infinito. Il reale è il soggettivo, individuale e collettivo, memoriale, attuale; è il nostro mondo, emotivo, razionale scientifico, quello della commedia e della tragedia, dell’accidia e dell’eroismo: quando questo è monotono, carente, privo di interesse, essa entra in funzione, superando (quando lo supera e non rimane prigioniera) la condizione di depressione che ne sopravviene e comincia ad immaginare nuovi mondi, nuovi colori, nuove forme, oppure tempeste d’informale di astrazione, quando non il sopravvenire di tutte le stranezze del sogno. Bisogna dire che c’è una fantasia, tutto sommato, fisiologica, come quella a cui dobbiamo la civiltà stessa ed un’altra patologica, indotta da sofferenze endogene che sono oggetto della psicologia clinica e della psichiatria e da sofferenze esogene (anche esaltative) dovute a sostanze psicotropiche che poi possono installarsi come deviazioni endemiche e strutturanti. Insomma la fantasia, per quanto esaltata da poeti, pittori, musici, teatranti, predicatori e taumaturghi, non gode di buona stampa, tanto che scrittori, artisti, istrioni, della Roma repubblicana ebbero bisogno della seconda guerra punica e di Livio Andronico per essere considerati degni di sepoltura entro le mura, con il Collegium Scribarum histrionumque. Tuttora la fantasia e all’opposizione……e non piace all’”ordine” e al “costituito”, come Socrate non piaceva ad Aristofane. Se il mondo fosse stato (e fosse) perfetto, un assurdo, ci saremmo risparmiati la civiltà, sic et simpliciter, e senza, indugio avremmo seguito caprette, pecorelle, bovini e pollame, appagati da un eden senza linguaggio, senza sentimenti, senza emozioni e soprattutto, senza cultura. Tutto sarebbe stato netto. Le forme, i colori, le funzioni, hanno un valore,

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Canto del Gallo/20/ Pietre. Parole. Potere

Pietre.Parole. Potere Gorgia da Lentini, sofista, greco, siciliano, conterraneo di Empedocle, il fondatore della geologia, ma lui con la sua particolarità logologica, sosteneva che non ci fosse un legame strutturale, tra le parole e le cose, ma solo una pretestualità legata allo stesso modo di percepire, di vedere, di toccare, di annusare; ipotizzando, così, dei precisi limiti per la conoscenza, connaturati agli stessi processi mentali, che portano a fonetizzare in un modo, piuttosto che in un altro, nelle mille e mille lingue del mondo, con i limiti della traducibilità che tutti conosciamo, per cui possiamo, per paradosso dire, che i libri non debbano essere tradotti, senza neanche contare che ognuno poi ritraduce nella propria testa, con le proprie versatilità, ubbie, passioni, antipatie, avendo consapevolezza che esistono i multilingue ma non i multipensiero e che ognuno nel fondo più fondo, pensa sempre con la propria lingua madre. Pensate una Divina Commedia in swahili oppure I Ching in lingua basca, tanto per estremizzare, ma non troppo… Possiamo in ciò, istituire una scalarità, che mette Gorgia, nell’alveolarità di Ermete, Eraclito, Spencer, facendo salti temporali che oggi non scandalizzano più nessuno, nell’era della contemporaneità, che comprime e schiaccia sia esegetica che ermeneutica, intendendo con essa, non più e non tanto, una diacronia, del moderno più vicino a noi, ma una affinità elettiva, che transita le cronologie, in una cronicità di concetti e teoremi che vanno dalla paleontologia, alla antropologia, alla psicologia, alla biologia evoluzionistica, alla futuribile neuro biologia. Fare ricorso al passato aiuta a sconnettersi dalla immemoricità dei trovatelli e dalla nebbiosità dei dispersi; aiuta oggi, come sempre. Ricordo che aiutò Giotto nella querelle tra vecchio (Costantinopoli) e nuovo (Parigi) e gli fece scegliere ciò che veniva da Polignoto, Zeusi, Parrasio e anche Fabullo, ma questo è Raffaello in pieno Rinascimento. Si chiama retroterra,

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Canto del Gallo/ 19 – La congiura delle immagini

Le immagini ammalano e si chiama passione. Le immagini guariscono                                                            e si chiama contemplazione. Nel mezzo ci stanno, la neonata storia                                                      dell’arte e ogni forma di ermeneutica e di esegetica, che porta ai                                                                musei, alle collezioni, alle fondazioni e in ultimo alla comparsa di corsi                                     universitari di arte terapia e di un molteplice pedagogia, anche ludica,                                             dell’arte.                                                                                                                                                                              Ormai, non si può parlare di arte al  singolare, ma di arti al                                         

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