La fantasia è il luogo del risarcimento del reale, non della realtà che è
In gran parte invisibile e impercepibile, oscura, inodore, insapore, fuori
dalla nostra portata intellettuale, concettuale persino, sia quando è
infinitamente piccola, nella elementarità assoluta, sia quando è infinitamente
grande e quando sfiora l’infinito. Il reale è il soggettivo, individuale
e collettivo, memoriale, attuale; è il nostro mondo, emotivo, razionale
scientifico, quello della commedia e della tragedia, dell’accidia e dell’eroismo:
quando questo è monotono, carente, privo di interesse, essa entra in funzione,
superando (quando lo supera e non rimane prigioniera) la condizione
di depressione che ne sopravviene e comincia ad immaginare nuovi
mondi, nuovi colori, nuove forme, oppure tempeste d’informale di
astrazione, quando non il sopravvenire di tutte le stranezze del
sogno.
Bisogna dire che c’è una fantasia, tutto sommato, fisiologica,
come quella a cui dobbiamo la civiltà stessa ed un’altra patologica, indotta
da sofferenze endogene che sono oggetto della psicologia clinica e della
psichiatria e da sofferenze esogene (anche esaltative) dovute a sostanze
psicotropiche che poi possono installarsi come deviazioni endemiche e
strutturanti. Insomma la fantasia, per quanto esaltata da poeti,
pittori, musici, teatranti, predicatori e taumaturghi, non gode di buona
stampa, tanto che scrittori, artisti, istrioni, della Roma repubblicana
ebbero bisogno della seconda guerra punica e di Livio Andronico per
essere considerati degni di sepoltura entro le mura, con il Collegium
Scribarum histrionumque.
Tuttora la fantasia e all’opposizione……e
non piace all’”ordine” e al “costituito”, come Socrate non piaceva ad
Aristofane. Se il mondo fosse stato (e fosse) perfetto, un assurdo, ci
saremmo risparmiati la civiltà, sic et simpliciter, e senza, indugio avremmo
seguito caprette, pecorelle, bovini e pollame, appagati da un eden senza
linguaggio, senza sentimenti, senza emozioni e soprattutto, senza cultura.
Tutto sarebbe stato netto. Le forme, i colori, le funzioni, hanno un
valore, quando li percepiamo come imperfezioni a cui porre rimedio
con altro, con altri; quindi con la civiltà che è il luogo prometeico
in cui la fantasia, l’inventività (quella che in modo irriflesso viene
chiamata creatività) si esercitano, flettendo, riflettendo, dando vita
alla Torre di Babele, disegno spaventoso di unire terra e cielo,
ma anche alle meraviglie della Divina Commedia, alle Porte del Paradiso
e anche all’ormai storico Empire State Building o del magico e squassato
Beaubourg.
Dobbiamo il dono della fantasia all’essere noi, pluralità nella
società dell’io, io, io, capace di mettere insieme desideri e paure, con
la volontà di lasciare un segno, perché memoria nuova sia e rimanga
traccia del nostro passaggio, non per sfidare Dio, perché quello è
fuori dalla nostra portata e possiamo solo pregarlo, ringraziarlo oppure
temerlo, ma per sfidare noi stessi, facendo fiato lungo del nostro
fiato corto e operare con le nostre mani, con il nostro intelletto, un
lungo tratto di strada, che è cominciato solo poche migliaia di anni fa,
confrontato con gli anni miliardari della nostra terra; e gridare il nostro nome..!
Francesco Gallo Mazzeo – Professore emerito ABA di Roma, Docente di linguistica applicata ai nuovi linguaggi inventivi delle arti visive in Pantheon Institute Design & di Roma e Milano