L’interrogativo è figlio di ciò che viviamo ai nostri giorni. Ma non solo di oggi! Tuttavia le guerre in Ucraina, in Palestina e Israele, in Sudan e in altre parti ci propongono di continuo il dubbio che le diversità, o per interessi o per ataviche ragioni, anche religiose, sembrano non di rado inconciliabili, anzi foriere di violenze. Convivere, vivere insieme, è davvero una damnatio, una condanna? Gli episodi drammatici di femminicidi, di fratture familiari, di ragazzi che fanno della violenza uno stile di vivere e di essere, le vicende di complicate situazioni inter-religiose e di politiche in attaccamento malato al potere ci interrogano sul perché di relazioni apparentemente impossibili. La crisi di esse si accentua o diminuisce in modi poi fortemente influenzati quando la razionalità, l’intelligenza, la ricerca della verità e il ruolo della stessa coscienza restano emarginati. Da giovane ho vissuto in ambito per lo più culturalmente omogeneo, mono-religioso, cattolico. Poi, dopo i trent’anni mi sono trovato in molti paesi pluriculturali e plurireligiosi, dove la fede cristiana era minoritaria. Ho conosciuto nuovi ambienti (islamici, buddisti, induisti) che, lo riconosco, sono stati provvidenziali per la mia formazione e belli. Fondamentalmente ci si apre ad una ricchezza di valori e di stima senza paragoni. Il brutto, sempre, proviene dal fanatismo e dal disprezzo; e mi sono trovato anche tra guerre. Ho incontrato amicizie preziose. Qui, mi riferisco a due. Una nacque mentre vivevo a Hong Kong. In visita di cortesia venne a trovarmi un Rabbino, di origine tedesca ma trapiantato a New York, dove guidava la Park East Synagogue. Da ragazzo era stato internato nei campi di sterminio nazisti ed ha ancora tatuato sul braccio il numero che lo identificava. È un sopravvissuto perché egli possa raccontare e noi non perdere la memoria di quegli orrori (una visita ai campi di