Il leader leghista cavalca l’indebolimento dell’asse tra la premier e la presidente della Commissione. Ma “venti di cambiamento” potrebbero trasformarsi per lui in un definitivo Papeete europeo.
L’ultimo fronte della competizione elettorale e politica tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni si chiama Ursula Von der Leyen, la presidente della Commissione Europea, in carica e in cerca di un bis del mandato dopo le Europee.
La spitzenkandidat dei Popolari, appena scelta senza grande entusiasmo a Bucarest dal suo partito. La donna forte dei Ventisette, che dopo aver ricevuto gli allori per la gestione dei vaccini anti-covid in pandemia si è incagliata sul Green Deal, rischiando di essere metaforicamente travolta dai trattori degli agricoltori come è realmente accaduto alla storica statua in Place de Luxembourg a Bruxelles. E adesso dovrà vedersela davanti alla Corte di Giustizia per lo scongelamento dei fondi di coesione all’Ungheria, denunciata dall’Europarlamento (Ppe compreso) in un clamoroso conflitto istituzionale.
Nei mesi scorsi è apparso sempre più evidente il ruolo simbolico di Von der Leyen nella plastica divaricazione di intenti e strategie tra la premier e il più ingestibile dei suoi numeri due (all’altro, Antonio Tajani, è stato rimproverato di essere fin troppo acquiescente, ma potrebbe ricavarne un discreto gruzzolo di voti). Più Meloni tesseva la sua tela – fatta di incontri pubblici e colloqui privati – più Salvini gliela disfaceva. Fino all’ultima miccia: il video-messaggio di Marine Le Pen al raduno romano dei sovranisti, annunciato con brivido dai leghisti padroni di casa. Sei minuti in cui la leader del Rassemblement National e possibile candidata (per la terza volta) all’Eliseo si è rivolta in modo diretto alla premier: “Ci batteremo per evitare un secondo mandato a Madame Von der Leyen. E ho una vera domanda per gli italiani. Giorgia, sì perché ci siamo conosciute in passato, Signora Primo ministro, la sosterrete sì o no per il secondo mandato? Io credo di sì, ma dovete dire agli italiani cosa farete. Credo che a destra l’unico candidato che le si opporrà con tutte le energie è Matteo Salvini”.
Tailleur rosso e grandi sorrisi, ma modi spicci ed effetto deflagrante. Una dichiarazione di guerra dalla prima donna della destra d’Oltralpe – benedetta dal leader leghista – che ha lasciato Palazzo Chigi sbigottito e irritato. Un’entrata a gamba tesa nell’ambiguità di FdI, che si è sempre detto indisponibile ad una maggioranza a Strasburgo con i Socialisti, ma che tiene la porta aperta ad una nuova “maggioranza Ursula” per la guida della futura Commissione. A dettare legge, come sempre, saranno i numeri in uscita dalle urne, ma Salvini approfitta di ogni occasione per minare questa cripto-alleanza e sottolineare la propria identità di destra-destra.
Meloni e Von der Leyen hanno cementato un rapporto privilegiato che ha acceso su entrambe i riflettori: la tedesca ha accompagnato l’italiana in Tunisia e in Egitto per gli accordi sull’immigrazione, è stata ricevuta a Forlì per solidarizzare con le comunità alluvionate. Né è sfuggito l’atteggiamento attendista (e non di condanna) dell’euro-governo sull’”esternalizzazione” della pratica attraverso i due centri da costruire nell’Albania di Edi Rama. La Lega, invece, non ha mai smesso di ripetere: “Mai con Von der Leyen”, e non ha intenzione di placarsi proprio ora che l’avversaria è in difficoltà, stretta tra i mugugni della Cdu e le proteste dei contadini nell’Europa continentale. Al punto che Meloni ha raffreddato la luna di miele riavvicinandosi a Macron e commentando che il bis di Ursula “non la appassiona”.
Salvini dunque affonda il coltello nella piaga. Perché – contestato dal partito del Nord, braccato dai governatori, a picco nei consensi – a giugno si gioca in una mano un’intera partita politica. E perché, forse, cova una segreta speranza: simul stabunt, simul cadent. Liberarsi delle zavorre in Europa e, chissà, magari in Italia. Numeri alla mano i “winds of change” – i venti del cambiamento titolo della kermesse sovranista – soffiano assai deboli, e rischiano piuttosto di trasformarsi in un definitivo “Papeete europeo”. Ma Ursula, per i duellanti Meloni e Salvini, potrebbe trasformarsi da ultimo fronte in ultima frontiera.
Federica Fantozzi – Giornalista