C’è un grande movimento a destra del Ppe in vista delle elezioni dell’8 e 9 giugno prossimi. In Italia, per colpa della concorrenza accesa tra Giorgia Meloni, che non si rassegna a essere imbrigliata nella veste di premier e scarta a destra con l’avanzare della campagna elettorale, e Matteo Salvini, che scegliendo Roberto Vannacci capolista ha giocato la carta della disperazione e di fatto schierato la “sua” Lega contro il Partito del Nord sostenuto dai governatori. In sostanza, il Capitano si ritrova stretto tra il Generale e i Colonnelli del partito.
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Giorgia Meloni
In Francia, a causa di una dinamica simile: Emmanuel Macron al suo secondo mandato è in difficoltà, primo presidente francese a sostenere una sovranità europea (ancorché a guida dell’Esagono) non raccoglie nel Vecchio Continente morso dalla guerra in Ucraina i frutti sperati e ondeggia tra fughe in avanti (come l’ipotesi – esplosiva e irrealizzabile – di inviare truppe francesi) e inspiegabili retromarce (l’invito, assai criticato, alla diplomazia russa per l’anniversario dello sbarco in Normandia).
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Matteo Salvini
Negli ultimi sondaggi Macron risulta quasi doppiato dall’eterna avversaria Marine Le Pen, che ha mandato avanti il giovane – per volto e nome – Jordan Bardella testando di fatto un ticket per l’Eliseo 2027, suo vero obiettivo. Ma anche il resto dell’Ue è percorso da sommovimenti tellurici: da Viktor Orban espulso dal Ppe e in cerca di collocazione, alla spaccatura del gruppo di Visegrad sul destino di Kiev. Per tacere del conflitto a Gaza, che lambisce l’Europa e alimenta divisioni anche in seno ai Ventisette.
Questo marasma si scontra (e si scontrerà) con la fredda logica dei numeri che vedono Popolari e Socialisti più o meno stabili, e un trittico di forze – i Liberali macroniani, i Conservatori meloniani e gli Identitari salviniani – in competizione per il terzo posto, con un’ottantina di seggi a Strasburgo. Il che significa – fatte salve sorprese che sconfessino le rilevazioni, sempre possibili – che l’Ue continuerà a essere retta dalla maggioranza Ursula magari ancora più allargata.
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Emmanuel Macron
In questa chiave si spiega il corteggiamento della presidente uscente della Commissione alla premier italiana (che con il 26% dei consensi accreditati avrebbe un tesoretto di una ventina di eurodeputati) più che “tollerato” all’interno dei Popolari. E così si spiegano anche le avances di Le Pen a Meloni – già caduto nel dimenticatoio il video della leader di Rn alla kermesse leghista del 25 marzo in cui sferzava Giorgia: “Sosterrai o no il secondo mandato di Von der Leyen?” – funzionali al suo percorso di “dédiabolisation”, di “normalizzazione democratica”. In Francia, tuttavia, il nome di Le Pen è ancora “radioattivo” e neppure in Germania il muro anti-ultradestra sembra vicino alla breccia.
Tanto rumore per nulla? Niente affatto. L’implacabilità dei numeri dice anche che stavolta le forze a destra del Ppe potranno pesare e influenzare la prossima legislatura. Come, è ancora un punto interrogativo. “Dipenderà se vorranno sedersi al tavolo o farlo saltare” ha sintetizzato Gilles Gressani, direttore de Le Gran Continent e analista molto ascoltato da Macron. Una scissione di Meloni dai suoi compagni di viaggio è continuamente smentita dall’interessata. Un gruppo unico non è alle viste – troppe le differenze – ma sinergie sui dossier più importanti saranno in grado di far ballare qualsiasi maggioranza.
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Ursula von der Leyen
“L’Europa è mortale” ha avvisato alla Sorbona l’inquilino dell’Eliseo auspicando un “risveglio strategico”. È tempo che ce ne sia anche uno politico. Questo voto è l’occasione giusta, o forse l’ultimo appello.
Federica Fantozzi – Giornalista