L’Europa non è una federazione di Stati, come potrebbe essere l’America, ma non è neanche il prodotto di un’intesa una tantum tra estranei, come potrebbe essere uno dei tanti protocolli che, di quando in quando, vengono sottoscritti davanti alle telecamere da capi di governo e ministri sorridenti, e di cui si perde traccia a stretto giro. È un’entità anfibia, una specie di balena spiaggiata sulle sponde del Mediterraneo di cui non si sa bene che fare perché è troppo grande per scomparire senza lasciar traccia e troppo malmessa per riprendere il largo. Certo, la balena può campare fino a 90 anni e forse più (l’orca o l’azzurra), ma bisogna che stia nel suo elemento naturale che, in tutta evidenza, non è una spiaggia mediterranea. L’Europa-balena è consapevole di questo, e cioè della necessità di uscire dalla uncomfort zone di un’incompiuta che la rappresenta nei “popoli membri” come una matrigna tutta burocrazia e divieti, esattrice cerbera e creatrice di ridicole imposizioni come quella del tappo di plastica penzolante dalle bottigliette?
Alcuni indizi direbbero di sì.
Ursula Von der Leyen aveva incaricato due ex premier italiani, Enrico Letta e Mario Draghi di riflettere sul destino dell’Ue dal punto di vista del rafforzamento del Mercato Unico (Letta) e del “futuro della competitività europea” (Draghi). In particolare il rapporto Draghi era stato accolto sul piano internazionale come un documento fondamentale su cui impostare il dibattito politico relativo alle necessarie riforme, nella consapevolezza – dichiarata da tutti – dell’urgenza di una scossa per fermare un declino dell’Unione imbevuto di torpore.
Una scossa che, in tutta evidenza, non potrebbe non coinvolgere la revisione dei trattati per superare la tragica e immobilizzante regola dell’unanimità per le decisioni importanti. La nuova legislatura europea, appena conclusa (si spera senza incidenti) la procedura di conferma del nuovo “governo Von der Leyen”, prenderà il via con pieno titolo e avrà come traccia i rapporti sull’Europa del futuro.
Mentre sul piano dell’Ue s’impone per necessità di sopravvivenza una riflessione sui dossier che riguardano il futuro, sul versante domestico un’assordante silenzio ha avvolto i documenti redatti dai due esponenti italiani, circostanza che ha rappresentato un riconoscimento importante per il nostro paese, peraltro non negoziato ma conferito intuitu personae. In particolare la cosiddetta “agenda Draghi” era stata condivisa e assunta anche dalla destra italiana di governo.
E allora, che cosa è successo alla politica di casa?
Dov’è finita l’agenda Draghi?
È davvero così distratta dal conflitto sulle piccole guerre quotidiane da dimenticare le cose importanti dell’Europa? Eppure l’agenda Draghi poneva moniti e tracce evolutive valevoli certamente per l’Europa come entità sovranazionale- criticando la frammentazione delle norme, l’accanimento regolativo persino su questioni minime, oltre la sopportabilità per gli ordinamenti, il bizantinismo delle procedure- ma poneva lo sguardo, ovviamente anche sulle politiche nazionali.
Per esempio lanciava l’allarme sulla scelta, arcaica, di riservare gli sforzi dell’apparato industriale prevalentemente alle medie tecnologie, come il settore automobilistico, restando indietro nella partita dell’innovazione del digitale e dell’IA, registrando così un gap con gli Usa che per l’Europa ammonta a 270 miliardi in meno di investimenti in questo settore. L’Europa scivolando così nell’area della sudditanza nella partita- che non è solo economica- degli over the top del digitale, e l’Italia accettando, senza consapevolezza da parte della politica, di svolgere un ruolo ancillare (salvo alcune significative eccellenze) nel grande game dell’innovazione.
Tra Goldoni e Tafazzi
Insomma: proprio nel momento più delicato per il Paese (e per l’Europa), la politica italiana si consuma nella pratica usata delle piccole baruffe chiozzotte, tipico prodotto italiano, di stile goldoniano, che si fa notare anche per il debordare in Europa dell’attitudine tafazziana, tipo l’interrogazione per chiedere una procedura d’infrazione contro l’Italia per la questione migranti in Albania. Quella trovata dello sbarco dei migranti in Albania sarà un’operazione malfatta, per carità, ma una clausola di stile non autolesionistica, in genere, soccorre in questi casi. Anche perché ci sarà sempre qualcuno, non italiano, ad intestarsi volentieri l’iniziativa dell’attacco.
Pino Pisicchio – Professore di Diritto pubblico comparato e saggista – Già deputato in varie legislature. Già presidente di Commissione, capogruppo, sottosegretario