Personaggi. Tomasi di Lampedusa e Alice Wolff, fu vero amore

CulturaMondo

A dispetto delle maldicenze e dell’assoluta indipendenza delle loro abitudini di vita, tra Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Alessandra Alice Wolff – più nota come Licy, diminutivo del secondo nome – vi fu vero amore.

Il loro primo incontro ha un testimone d’eccezione: Shakespeare. Il principe si trova a Londra dove lo zio Pietro marchese della Torretta regge l’ambasciata italiana e dove in quel periodo Licy soggiorna. I due si conoscono all’ambasciata, amano la letteratura e Shakespeare di cui subito recitano insieme dei brani. Siamo nel giugno del 1925 e sebbene Giuseppe e Licy girino per Londra per mete letterarie – la casa di Dickens, Whitechapel, il quartiere che impressiona Dostoevskij nel suo Diario di uno scrittore – la scintilla non scocca e pare che allora il cuore dell’autore del Gattopardo palpiti per un’altra.

Dovranno attendersi 5 anni perché i due si rivedano, questa volta a Roma, dove Licy è solita recarsi nel suo girovagare in Europa per seguire i vari convegni di psicanalisi, la scienza di Freud di cui è una seguace. Evidentemente la città eterna ha un fascino più romantico della bella ma grigia Londra e tra loro, accanto alla passione letteraria, inizia a prendere corpo qualcos’altro che vibra più intenso e non percorre solo le sfere cerebrali e dello spirito. Dopo poco Giuseppe si reca con Licy a Stomersee, un villaggio ai confini tra Estonia, Lituania e Unione Sovietica, dove sorge l’antico castello dei Wolff. L’anno successivo si rivedono ancora; tra Giuseppe e Licy, le affinità culturali fanno da preludio ad altro: Cupido è in agguato.

Il sentimento matura tra la fine del 1931 e l’inizio del 1932. Il 21 gennaio del 1932 Giuseppe scrive all’amico Bruno Revel, forse il solo a conoscenza del suo invaghimento, chiedendogli complicità per facilitare altri suoi incontri romani con la colta e bella psicanalista. La lettera si chiude con un’ironia rivelatrice del suo coup de foudre: “Come vedi la cotta è di una intensità che può dirsi senile”.

 

Tomasi di Lampedusa

 

I soggiorni romani di Giuseppe diventano sempre più frequenti tra la fine dell’inverno e la primavera. Dall’Hotel Quirinale, scrive tantissime lettere a Licy, che poi le consegna quando la incontra. Lettere in cui la destrezza dello scrittore è ravvivata dal fuoco della passione e in cui talvolta l’impeto dell’innamorato si fa beffa della sorveglianza e del rigore del letterato.

Il 28 gennaio, punto dal desiderio di averla accanto, le scrive: “Tutta la notte, questa volta, ho sognato di te, di te cattiva, di te scherzosa, di te triste; ho sognato che tu eri lontana e che ricevevo da parte tua lettere impossibili, ho sognato che tu eri vicino a me e che mi amavi, e ho sentito chiaramente la pressione delle tue braccia attorno il mio collo”.

La lettera del 17 febbraio è una reiterata dichiarazione d’amore: “Amo la tua anima, cara; amo i tuoi occhi; amo la tua bocca; amo quando ti fai gioco di me; amo quando tu mi guardi da tanto vicino con i tuoi occhi seri; amo quando tu ridi; amo quando tu sospiri dolcemente”.

 

Alice Wolff

 

In quella del 22 febbraio, la lontananza gli prude tanto da confessare: “Ho tenuto le mie braccia strette contro il mio petto, stringendo forte, immaginando di averti qui stretta a me, ho mormorato (al mio cuscino, cara, pensa com’è triste!) le parole più sconclusionate sforzandomi di pensare che fosse il tuo piccolo orecchio che si mostra tutto rosa tra i tuoi capelli. Ho immaginato quei momenti in cui tu diventi piccolissima, fragile, e come tutta sperduta; ho desiderato Muri [il vezzeggiativo con cui la chiama], il sapore di Muri, il profumo di Muri, il contatto di Muri, la vista di Muri, la voce sorda di Muri, fino ad averne l’allucinazione”.

Il 3 marzo Giuseppe è convinto ormai di dipendere da Licy: “Quella sera (una parte di quella serata, almeno) mi ha fatto pensare come io dipenda te sotto ogni punto di vista, se un solo bacio mi ha messo un tale fuoco nelle vene”.

L’8 marzo l’intenzione di una vita comune si manifesta in modo concreto, tanto che Giuseppe mette in guardia Licy sui possibili ostacoli – sua madre Beatrice e il loro reciproco affetto morboso, il matrimonio di Licy col barone André Pilar – e le indica come aggirarli.

Innamorato di Licy e deciso a sposarla, Giuseppe prepara i documenti e in prossimità dell’inizio dell’estate si trasferisce a Riga, dove risiede in un hotel in attesa delle nozze. Lo scrittore fa tutto di testa sua, all’insaputa dei genitori e dei parenti, rivelando doti di risolutezza e autonomia impensabili.

Si sposano il 24 agosto del ’32 nella chiesa ortodossa; alla cerimonia quanto più spartana non segue alcun ricevimento, gli sposi si concedono soltanto un pranzo tête à tête con le rose ad adornare la tavola. Delle nozze Giuseppe informa i genitori, con una lettera, solo 5 giorni dopo, né prima aveva mai rivelato le sue intenzioni. Sul suo comportamento incide la paura, assai fondata, che la decisione non sarebbe stata assecondata in famiglia, soprattutto dalla madre, donna dal carattere forte con una sensibile ascendenza nei suoi confronti. Quando, a nozze compiute, scrive ai genitori, li invita a “non lasciarsi trasportare da una stizza irragionevole” e decanta le doti di Licy: “È bella, possiede 60.000 lire all’anno di rendita, oltre Stormersee e le terre intorno… vuole vivere in Italia, eccetto la più forte estate”. Rivendica inoltre la sua indipendenza di uomo ormai più che maturo: “Non dimenticate che ho trentasei anni suonati, e non sono un bambino o un cretino”.

A ottobre la coppia si incontra a Udine con i genitori e i parenti paterni più stretti: i Torretta e i Lampedusa. È una “riunione di famiglia” che preannuncia una difficile convivenza: Beatrice si oppone a che il figlio e Licy vadano a vivere in una casa propria e pretende e ottiene, contro la volontà della nuora decisamente incline all’indipendenza, che si stabiliscano a palazzo Lampedusa.

Per Licy Wolff si rivelerà complicato – come non era difficile prevedere – sia il rapporto con la suocera e i parenti, sia con la nobiltà siciliana tanto diversa dall’aristocrazia di cui fa parte. Sebbene abbiano abitudini e stili di vita diversi – ai quali non rinunciano – fra tanti travagli – di mezzo anche la guerra – i due coniugi furono sempre vicini, indifferenti ai conformismi e ai pettegolezzi che li circondavano. Fino al 23 luglio del ’57, quando il principe muore, e anche dopo, quando Licy si prende cura del manoscritto del “Gattopardo”, oggi tra i capolavori del ‘900 grazie soprattutto a Giorgio Bassani.

 

Antonino CangemiGiornalista e scrittore

 

Medio Oriente in fiamme, la galassia araba sunnita si riavvicina a Israele. Gli scenari

L’attacco dell’Iran a Israele era atteso, ma non per questo meno inquietante: mai, prima di oggi, lo Stato islamico aveva Read more

Nocerino: Affiancare i Paesi candidati membri UE altrimenti rischiamo nuovi casi Ungheria

Tante priorità per l'Unione Europea a partire dalla tutela dei valori e dei principi ma anche puntare ad un allargamento Read more

“Sinfonia” russa fra trono e altare

L'invasione del territorio ucraino ordinata da Vladimir Putin il 24 febbraio 2022 ha fatto piombare l'Europa in un incubo che Read more

Giordania, un viaggio nell’attivismo per la parità di genere

Amman è una città bella, ma i suoi colori a volte possono essere incredibilmente neutrali, oscillando tra il giallo paglierino Read more

Articolo successivo
Bertinotti: ritrovare la “connessione sentimentale” con il popolo. La rottura tra politica e popolo ha inaridito il terreno della cultura
Articolo precedente
La rana bollita di Chomsky. Complessità di una metafora sociale

Menu