Bertinotti: ritrovare la “connessione sentimentale” con il popolo. La rottura tra politica e popolo ha inaridito il terreno della cultura

Per riscoprire questa "connessione sentimentale" (termini gramsciani) "serve un impianto teorico necessario: vale a dire la critica al capitalismo del nostro tempo. Senza critica al capitalismo la sinistra non esiste. La sinistra, se esiste, non può che essere un’idea alternativa di società, del modo di produzione, delle forme di consumo, dell’organizzazione sociale, dei rapporti di potere tra le classi".

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Le prime elezioni politiche – quelle del 25 settembre – dove un elettore su tre ha disertato le urne, offrono l’immagine di un’Italia disinteressata al suo futuro. Sembrava ieri quando – nell’aprile del ’48 – l’affluenza superava il 90 per cento. Presidente Bertinotti, cosa è accaduto?

“L’elemento fondamentale è stato il distacco della politica dalla vita del popolo. Antonio Gramsci usò una formula straordinaria: “gli intellettuali non possono capire il mondo se non in una connessione sentimentale con il popolo”. Nell’Italia della Costituzione, la politica aveva questo orizzonte salvifico, una connessione sentimentale con il popolo e questo determinava il campo entro cui è cresciuta una cultura e una intellettualità figlia di quel tempo: basti pensare alla letteratura, al cinema e alla saggistica per rendersene conto”.

Lo scrittore Elio Vittorini, nel primo numero del Politecnico, il 29 settembre del ’45, invitava a scendere dalla “torre d’avorio” e impegnarsi per il cambiamento sociale offrendo al popolo “non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e che le elimini”.

“Gramsci parlava di intellettuale organico: ma bisogna intendersi. Nella cattiva interpretazione si pensava organico al partito; nella buona – che è poi anche quella di Vittorini – significava organico alla “causa” e cioè alla lotta di classe e all’emancipazione del proletariato”.

Ad abbandonare la “causa” per primi sono stati gli intellettuali o la politica?

“La politica. Basta scorrere ciò che è accaduto dopo gli anni ’70 per vederlo in maniera evidente. La rottura tra politica e popolo – o anche tra politica e l’idea di trasformazione della società – ha inaridito il terreno della cultura”.

A proposito di cambiamenti culturali: la recente polemica sulla maglietta della X Mas, indossata in televisione, offre lo spunto per richiamare quello che Pier Paolo Pasolini definì “antifascismo di maniera”: vale a dire l’idea che si mettano nel mirino comportamenti coreografici – e magari macchiettistici – del fascismo, mentre le politiche che davvero minacciano diritti civili e sociali (oggi poveri e migranti in testa) finiscano per godere – paradosso – di una maggiore tolleranza.

Pasolini è uno dei più grandi intellettuali impegnati dell’Italia del dopoguerra, tuttavia è evidente che apparteneva a un altro mondo nel quale le sue considerazioni, a volte anche così taglienti, aiutavano nel percorso di un cammino critico. La situazione odierna è diversa, è marcita, per cui la distinzione che Pasolini proponeva è superata”.

Come orientarsi?

“Nel mondo di oggi il problema è una lotta su due fronti: da un lato, quello contro gli elementi simbolici che non possono essere minimamente trascurati perché sono figli di questo tempo buio. Quando il governo illumina il suo programma con l’uso di termini, di parole (a partire da quella del merito) non si può sfuggire allo scontro. È una illusione pensare che una maglietta sia insignificante o irrilevante: fa parte di questo universo simbolico che può diventare devastante come si vede in altri Paesi del mondo a partire dagli Stati Uniti d’America. Dall’altro, c’è il tema cruciale di concludere una bonifica a fondo contro tutti quei fattori costitutivi del fascismo – e quelli da essi seminati nella storia del Paese secondo la formula sempre illuminante di Piero Gobetti “fascismo autobiografia della Nazione”.

Dunque mi pare di capire che, a suo avviso, i simboli – lungi dall’essere ridotti a puro significante nell’era del disimpegno-hanno ancora un significato attuale.

“Fortissimo. Nel simbolico si è giocata una parte importante della controversia sull’interpretazione del mondo. Basti pensare al nuovo capitalismo che ha trasformato sistematicamente i simboli in linguaggio, tecnologia, tecnica, disseminandone ovunque in modo scarsamente percepibile ma non perciò ininfluente”.

Una sinistra in tragica crisi dove può riscoprire la sua cultura?

“Il balzo di tigre deve essere fatto intorno all’elaborazione gramsciana, e cioè la connessione sentimentale con il popolo di cui parlavamo. Ma per riscoprirla serve un impianto teorico necessario: vale a dire la critica al capitalismo del nostro tempo. Senza critica al capitalismo la sinistra non esiste. Perché la sinistra – se esiste – non può che essere un’idea alternativa di società, del modo di produzione, delle forme di consumo, dell’organizzazione sociale, dei rapporti di potere tra le classi”.

Bisogna dunque ripartire dallo “stare in mezzo al popolo”.

“Dal mio punto di vista è meglio dire: “stare nel conflitto”. La connessione sentimentale è fondamentale ma deve poggiarsi sulla riscoperta del conflitto di classe. Bisogna tornare ai fondamentali: la sinistra non nasce se non nel conflitto”.

A proposito –visto gli elogi espressi a Papa Francesco per la sua sensibilità su quelli che possono essere definiti i “bisogni della povera gente”- ormai anche la dottrina sociale della Chiesa sembra ammettere il conflitto.

“Papa Francesco, quando incontrò i movimenti popolari, affermò che una società in cui c’è un contadino senza terra, un lavoratore senza lavoro – o senza la dignità sul lavoro – e una persona senza un tetto sotto cui stare, quella società è intollerabile. Poi disse di continuare a lottare – e di non farsi addomesticare per continuare ad avere lo sguardo lucido”.

 

Andrea Persili –Giornalista praticante

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