Sogni infranti, per i giovani diventare adulti è sempre più difficile

Percorsi di studio che cambiano di anno in anno, sempre più articolati e settorializzati. Scuole di formazione spacciatrici di chimere. Una narrazione in cui si inseguono i vincenti e la specialità e dove la normalità diventa una rarità. Lo spasmodico invio di curriculum vitae. In Italia per i giovani diventare adulti, e quindi autonomi, è sempre più difficile.

Lavorare; andare a vivere da soli; costruire una famiglia; avere dei figli. La normalità diventa miraggio per giovani rassegnati a posticipare scelte di indipendenza dopo anni di sacrifici. Una generazione che – oltre essere vittima dalla predica di quanti li accusano di essere “scansafatiche” – è bersagliata dalla pratica di chi offre salari bassi, contratti di lavoro in nero e affitti stellari.

Lo denuncia Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. “In molti casi il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate”. La quota di giovani che dopo cinque anni si trova in condizioni di impiego a tempo determinato “resta prossima al 20%”. Visco segnala anche che il 30% dei lavoratori percepisce retribuzioni annue particolarmente basse, sotto il 60% della media di 11.600 euro l’anno.

 

L'allarme di Visco: “Shock senza precedenti anche le banche a rischio” - la  Repubblica

 

Under 35 italiani: i dati su occupazione e inattività

Olio su tela: due terzi degli under 35 italiani vive a casa con i genitori. Due milioni di italiani tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione. La generazione Neet (persone inattive), di cui l’Italia è maglia rosa in Europa, sfiora una percentuale del 19 per cento, che in alcune zone del Mezzogiorno lambisce il 30 per cento.

 

 

I dati Istat confermano la tendenza. Rispetto allo scorso anno aumentano gli occupati, diminuiscono i disoccupati, ma gli inattivi rimangono gli stessi. L’occupazione cresce appena dello 0,1% (circa 22mila unità). Il governo che fa?

Le mosse del governo

L’esecutivo Meloni rilancia nel decreto Lavoro, fresco d’approvazione lo scorso primo maggio, la filosofia più antica del mondo: se assumi, ti premio. Fino al 31 dicembre 2023 chi ingaggia a lavoro un giovane riceve un incentivo pari al 60 per cento della retribuzione mensile. Il bonus – che si applica per i contratti a tempo indeterminato, d’apprendistato e di somministrazione – ha un limite: si interrompe dopo dodici mesi. La relazione tecnica che accompagna il decreto-legge stima che ci potrebbero essere circa 70 mila nuove assunzioni di under 30. Non solo. La misura si inserisce in una cornice – almeno in apparenza – favorevole ai giovani: il governo conferma il bonus per assumere i ragazzi sotto i 36 anni e stabilisce un esonero – anch’esso di 12 mesi – dal 100 per cento dei contributi per quei datori di lavoro che assumono i beneficiari dell’Assegno di inclusione (la misura che sostituirà il reddito di cittadinanza).

 

Perché Giorgia Meloni oggi vola in Tunisia e cosa spera di ottenere su  migranti ed energia

 

Ma è davvero così semplice? A parte l’annoso problema degli incentivi – che hanno il difetto di avere un termine ed esporre il mercato del lavoro a delle vere e proprie “bolle” – è proprio l’eliminazione del reddito di cittadinanza a costituire un problema. La nuova garanzia di inclusione – a differenza della misura precedente – si applica ai nuclei familiari in difficoltà e con almeno un membro minore, disabile o anziano. Rimangono fuori i “single”, che spesso sono proprio i più giovani.  Ma non è l’unica difficoltà per i poveri di anni.

Il caro affitti pesa su studenti e giovani lavoratori

Il caro affitti, una vera spada di Damocle.  Lo dimostra la recente protesta degli studenti universitari in tenda. La mobilitazione, poi diffusasi in altre città universitarie, denuncia un problema di difficile risoluzione, come dimostra il tribolato corso dell’emendamento da 660 milioni di euro per contrastare il fenomeno. Intanto, in attesa di interventi di più ampio respiro, si evidenzia l’esistenza di alcune detrazioni fiscali per gli studenti fuori sede e gli inquilini a basso reddito.

Molti Comuni stanno adottando misure ad hoc. A Milano, da dove tutto è partito, la strategia abitativa al vaglio di Palazzo Marino è quella di ridurre il numero degli affitti temporanei per turisti, come Airbnb, aumentare il numero degli alloggi popolari e coinvolgere l’hinterland.

L’Assessore alla Casa e Piano Quartieri di Milano, Pierfrancesco Maran, è convinto che serve un fondo di sostegno affitto strutturato secondo i modelli presenti in Europa, ma l’esecutivo italiano pare non essere dello stesso avviso “L’Italia  ̶  dichiara Maran  ̶  è l’unico grande Paese a pensare che non serva e il governo Meloni ha azzerato il fondo di 300 milioni istituito dai Governi Draghi e Conte, che quanto meno era un primo tentativo di supportare lavoratori, studenti e classe media delle città dove i prezzi salgono maggiormente”.

Come va nel resto dell’Unione europea

Il dipinto europeo: nel 2022 (dati di Openpolis) l’11, 3% dei giovani tra 15 e 29 anni è disoccupato. La situazione cambia da Stato a Stato. A registrare i tassi di disoccupazione più elevati tra i giovani under 30 sono i Paesi dell’Europa meridionale. I dati peggiori si leggono in Grecia (24,3%), Spagna (22,4%) e Italia (18%). Solo in 13 stati membri la quota si attesta sotto il 10% (in Germania si attesta sotto al 5%). La situazione peggiora se si considerano gli under 25 sia nell’Ue che nell’eurozona, dove (dati Eurostat) il tasso di disoccupazione supera il 15 per cento.

Sui giovani Neet l’Europa pare invece un altro continente: solo il 9 per cento dei ragazzi Ue non studia, non lavora e non si attiva. La soglia psicologica sotto al numero a due cifre è obiettivo che l’Ue si prefigge di raggiungere entro il 2030 in tutti gli Stati membri. Per adesso che accade?

La Fuga di cervelli

In dieci anni l’Italia è tornata nuovamente a essere terra di emigrazione: oltre 250 mila giovani tra 15 e 34 anni hanno lasciato il nostro paese. Secondo l’ultimo “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes, il fenomeno della fuga dei cervelli dal 2006 al 2022 è aumentato dell’87 per cento.  “La mobilità giovanile cresce   ̶  spiega il report   ̶  perché l’Italia ristagna nelle sue fragilità, e ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante; continua a mantenere i giovani confinati per anni in riserve di qualità e competenza a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo”.

In un recente studio sulle migrazioni interne e internazionali, l’Istat rivela, inoltre, che negli ultimi anni un emigrato italiano su tre ha tra i 25 e i 34 anni. A ciò va aggiunto che a lasciare il nostro Paese sono soprattutto neolaureati e dottori di ricerca.

Sogni infranti, carriere mai nate, ma soprattutto rischio povertà. I giovani partono, le  imprese non nascono e anche il denaro emigra all’estero.

 

Gabriele CrispoGiornalista

Andrea PersiliGiornalista

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