La salvaguardia della dignità e la tutela della salute psicofisica della persona che lavora sono stati i temi principali della Terza edizione del Festival Internazionale della Salute e Sicurezza sul Lavoro svoltasi, dal 12 al 14 giugno, presso il Palazzo Ducale di Pesaro, Capitale della cultura 2024.
L’evento, promosso dalla Fondazione Rubes Triva e dall’Osservatorio Olympus dell’Università di Urbino Carlo Bo, è stato patrocinato dal Parlamento europeo, dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dal Ministero della Cultura ed ha visto la partecipazione di oltre 50 relatori dal mondo del lavoro, dell’accademia e della ricerca, insieme all’intervento di autorevoli rappresentanti delle istituzioni come, tra gli altri, del Commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit e del sostegno del Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani.
Direttore Mulazzi, la Fondazione Rubes Triva è in prima linea per la promozione di un approccio etico al mondo del lavoro, un approccio che tuteli la salute e il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici. In che modo la Fondazione promuove questa visione e cerca di sensibilizzare gli addetti ai lavori?
La Fondazione, in qualità di ente bilaterale ed organismo paritetico nazionale, svolge compiti di formazione dei lavoratori e, altresì, si adopera per informare ed assistere le imprese per la realizzazione di modelli organizzativi efficaci ed efficienti al fine di garantire la salute, la sicurezza ed il benessere dei lavoratori.
Tra le molte iniziative della Fondazione, durante la Terza edizione del Festival Internazionale della Salute e Sicurezza sul Lavoro avete presentato la Carta di Urbino, un decalogo di principi a tutela della persona che lavora.
La Carta di Urbino raccoglie dei principi che sono presenti in documenti ben più importanti della nostra Carta, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e, chiaramente, anche della nostra Costituzione. Quello che abbiamo voluto fare è porre l’attenzione sul valore del riconoscimento del ruolo che ha l’umano, non solo nell’attività produttiva, ma anche nella sua attività sociale. Il nostro obiettivo con la promozione dei principi contenuti nella Carta di Urbino è quello di oltrepassare l’idea di un’operazione prettamente culturale, perché il nostro è un intento politico-sociale. I principi contenuti nella Carta non sono aspirazioni, sono diritti inalienabili e con forza vorremmo che tutti li considerassero tali.
Una battaglia lodevole che, però, deve scontrarsi con la dura realtà degli infortuni e dei morti sul lavoro.
Ritengo fondamentale vincere quel retropensiero che considera una certa probabilità di rischio sul lavoro una condizione necessaria per lo sviluppo economico. I diritti sono diritti, non può esserci mediazione su questo. Dobbiamo comprendere che il diritto alla salute, il diritto al lavoro salubre e, soprattutto, il diritto al lavoro dignitoso non sono solamente questioni legate al mondo del lavoro, ma sono elementi fondanti dei rapporti sociali. La lectio magistralis del Prof. Andreoli in apertura del Festival lo ha ben rappresentato e ci ha allarmati di fronte a questo rischio: i lavori non dignitosi creano i presupposti per condizioni rabbiose che producono depressioni che possono condurre fino al disfacimento dei rapporti sociali.
Nel corso degli interventi che si sono susseguiti durante il Festival ci si è soffermati sull’esigenza di salvaguardare la dignità della persona che lavora e sulla necessità di riconoscere la soggettività e la professionalità del lavoratore e delle lavoratrici per evitare quei processi di alienazione che generano malesseri psicofisici.
Il mondo del lavoro è in costante mutamento, la richiesta di soddisfazione di nuovi bisogni comporta la creazione di nuovi lavori che, stiamo osservando, non sempre richiedono un’alta professionalizzazione. In questo nuovo mondo del lavoro dilatato che permea la quasi totalità dell’esperienze dei lavoratori e delle lavoratrici, è essenziale prevedere strutture organizzative che vadano a premiare la centralità del lavoratore e la propria soggettività e professionalità. Non si deve accettare la spersonalizzazione del lavoratore nell’attività produttiva perché questo fenomeno può avere delle ricadute, come ho premesso, sulle dinamiche di socializzazione.
Un’analisi che va ad ampliare lo spettro della riflessione sulla tutela del benessere psicofisico dei lavoratori ben oltre il solo riconoscimento economico.
Nonostante sia condizione primaria, il riconoscimento economico non è sufficiente per garantire la soddisfazione dei lavoratori. Infatti, nel corso del suo intervento, il professor Gosetti ha condiviso l’esperienza di un ingegnere che, nonostante una buona retribuzione e un lavoro in linea con il proprio percorso di studi, torna a casa la sera portando con sé uno stato d’ansia derivante da una mala organizzazione dell’impianto produttivo in cui è impiegato. Ci tengo a condividere questa esperienza non perché, sia chiaro, il datore di lavoro deve farsi carico delle ansie dei lavoratori, ma è onere del datore di lavoro strutturare un modello organizzativo virtuoso che aiuti la realizzazione dei propri dipendenti e non comporti stress ulteriori.
La Terza edizione del Festival ha visto il riconoscimento, oltre a quello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e a quello del Ministero della Cultura, anche del patrocinio del Parlamento Europeo e della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, ritiene che la cooperazione tra la dimensione nazionale e sovranazionale possa aiutare a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori?
L’Unione Europea ha un ruolo centrale nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Tutto parte dalla Direttiva quadro del 1989 che invita gli stati membri a legiferare in merito alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, ponendo al centro dell’attività legislativa di ciascuno stato membro la difesa di questo diritto. In Italia, purtroppo, nonostante i passi avanti che sono stati fatti, non siamo ancora in una situazione soddisfacente, questo anche perché, come è successo in passato, il legislatore sembra agire spinto dall’emozione collettiva, come avvenne successivamente alla tragedia dell’incidente del Thyssenkrupp di Torino con il Decreto 81 del 2008 che ha riformato il Testo Unico del 1994, piuttosto che da programmi e piani di lungo periodo. A mio avviso serve lungimiranza e progetti che possano difenderci dall’emersione dei nuovi rischi generati dai repentini mutamenti che coinvolgono il mondo del lavoro.
Quali rischi vede nel futuro dei lavoratori?
Guardi, oltre chiaramente ai rischi concreti che riguardano la salute e la vita dei lavoratori e delle lavoratrici cui dobbiamo costantemente porre la nostra attenzione, osservo con prudenza l’evoluzione della tecnologia e dell’intelligenza artificiale. Questo perché, come ha brillantemente espresso il prof. Romano nel corso del suo intervento, è necessario che questo strumento di potere, che è l’intelligenza artificiale, sia utilizzato in maniera etica e, quindi, in favore e sotto il controllo dell’uomo e non in maniera coercitiva.
In chiusura, le chiedo se esiste un modello di struttura organizzativa che la ha ispirata nel corso del suo percorso.
Non ho un modello di riferimento specifico, sicuramente come molti, ho osservato con interesse l’idea di fabbrica di Adriano Olivetti. Un’esperienza che trae origine dai villaggi industriali della fine dell’Ottocento, come il villaggio Crespi d’Adda, in cui si viveva all’ombra della fabbrica e si crearono le prime condizioni per cui, con le dovute contestualizzazioni, il lavoro divenne uno strumento di sviluppo economico/sociale per gli operai provenienti dalle campagne. Adriano Olivetti nella sua Ivrea si ispirò a queste esperienze e cercò di trasformare la fabbrica da luogo di dolore a luogo di progresso. Oggi, certamente, siamo un passo avanti rispetto all’epoca olivettiana, ma permane la necessità di migliorare l’organizzazione dei luoghi di lavoro e i processi produttivi affinché il lavoro non sia più tormento ma un elemento di progresso sociale.
Lorenzo Della Corte – Giornalista