Mario Rusconi, dirigente scolastico del liceo capitolino Pio IX, è il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio nonché componente del direttivo di quella nazionale. Con Bee Magazine ragiona sull’inizio dell’anno scolastico.
In quali condizioni e con quali auspici gli studenti son tornati su banchi quest’anno?
Dobbiamo distinguere sul piano del software – insegnanti e studenti – e dell’hardware – edifici, trasporti, condizioni ambientali. Sul primo versante, il meccanismo di attribuzione delle cattedre a precari e supplenti ha funzionato meglio che in passato. Già d’estate sono stati smistati tutti i vincitori di concorso, che però a causa di distacchi, maternità e turn over (ogni anno decine di migliaia di insegnanti vanno in pensione) non sono riusciti a coprire tutte le cattedre. A quello si sta provvedendo a settembre, ma rispetto agli anni precedenti l’organico è aumentato. Qualche problema, invece, rimane per il personale Ata.
Ovvero le funzioni amministrative e di staff. Quali problemi vede?
Mancano in particolare i direttori dei servizi amministrativi – quelli che un tempo erano i segretari – che spesso vengono dimenticati ma invece sono il motore del sistema. Al loro posto capita che vengano nominati, in supplenza, quelli che in passato erano chiamati bidelli, ma spesso non hanno le competenze richieste in un settore delicato come l’amministrazione.
Sul piano dell’hardware, molte sezioni sono di 29-30 ragazzi. Non si riescono a superare le classi-pollaio?
Con il governo Draghi, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi fece un conteggio di tutti gli studenti italiani concludendo che la media era di 21-22 a sezione. Quindi, le classi pollaio non c’erano davvero. Il problema vero è il rapporto con l’aula e l’edificio sul piano volumetrico.
Non c’è anche un tema di partecipazione e attenzione, se sono in troppi?
Molti studi dicono che una classe d 25-26 persone funziona e consente una buona interazione tra ragazzi. Ma il 50% delle scuole ha oltre 50 anni di età. A Roma istituti storici come il Virgilio e il Visconti sono stati costruiti nel Cinquecento. Un liceo considerato moderno come il Giulio Cesare è del 1933…
La soluzione è costruire nuove scuole più moderne ed efficienti?
Sì, ma c’è un dato da considerare: ogni anno in Italia ci sono 100mila alunni in meno. Tra un decennio saranno un milione in meno. Quindi, a livello istituzionale ci sono remore a costruire ancora. Poi la distribuzione geografica è molto diversificata: fino agli anni Ottanta esistevano i bacini di utenza, oggi l’iscrizione è libera e ci sono scuole prese d’assalto. Alcune – come lo scientifico Avogadro, molto richiesto – introducono un criterio topografico che privilegia chi risiede nelle vicinanze. Ma lo stabiliscono i consigli d’istituto e non la legge, ed è flessibile.
Come valuta la riforma Valditara degli istituti tecnici, criticata da sinistra come “classista” e di restaurazione del vecchio avviamento?
La riforma del “4+2” sta partendo bene, hanno aderito centinaia di scuole, e a mio avviso nei prossimi anni decollerà. In sostanza, il percorso degli istituti tecnici e professionali si modifica: può durare 4 anni anziché 5 come prima, con i programmi ovviamente non accorciati ma riformulati, per poi sfociare nell’università; oppure può essere seguita da una Academy di due anni che si concretizza in una sorta di biennio universitario però basato su laboratori, ad esempio di meccanica e meccatronica. Va detto che la riforma ITS, degli Istituti Tecnologici Superiori, è stata anticipata da Draghi. E rende i ragazzi ferrati negli ambiti applicativi più richiesti dalle aziende, come l’informatica, ponendosi in modo concorrenziale con le facoltà universitarie.
All’esame del Parlamento, e alle battute finali, c’è un altro cavallo di battaglia del governo: il debito con 6 in condotta. Misura necessaria o punitiva?
La situazione cambia poco, e in meglio, andando incontro alle nostre richieste. Oggi si viene bocciati con il 5 in condotta, mentre il 6 nel secondo quadrimestre al triennio fa media per i crediti ai fini dell’esame di maturità. Quando la nuova legge entrerà in vigore, forse già quest’anno, con il 6 in comportamento si verrà rimandati in educazione civica pur con la media dell’8 o del 9 nelle altre materie. Ma il dato più interessante della riforma riguarda le sospensioni.
Come cambierà il regime delle sospensioni?
Radicalmente. Ho fatto parte della Commissione che ha elaborato gli strumenti su cui si è basato il Parlamento e sono soddisfatto. Oggi esiste la sospensione senza obbligo di frequenza, che rende molti ragazzi felici di stare a casa, o con obbligo di frequenza, che è ipocrita e i ragazzi non la capiscono. Entrambe saranno eliminate e sostituite: per le sospensioni fino a due giorni si viene a scuola ma non in classe, magari in biblioteca o in palestra per attività che aiutino la comprensione del cattivo comportamento. Per le sospensioni oltre i 2 giorni queste attività saranno svolte in istituzioni diverse dalla scuola.
Una sorta di lavori socialmente utili. Secondo lei può funzionare? A giudicare dalla cronaca, in diverse scuole la situazione è a limiti del controllo, sicuri che un percorso di “giustizia riparativa” sarà efficace?
Nella mia esperienza lo è stato. Una volta uno studente si è portato da Roma in gita a Istanbul una testa mozzata di agnello che ha messo sul cuscino del compagno più bravo. Lo abbiamo mandato per 15 giorni a servire alla mensa della Caritas, ed è stato così utile che il direttore non voleva ridarcelo. A un ragazzo dell’ultimo anno con una situazione familiare difficile che aveva spaccato una porta dissi: portala dal falegname e falla aggiustare. Il problema spesso sono i genitori: un padre avvocato mi diffidò dal far fare lavoro minorile a suo figlio che avevo messo a pulire la palestra. Finora queste misure sono state applicate su base artigianale, ora avranno copertura giuridica. Dal governo ci aspettiamo un elenco di indicazioni operative, soprattutto nei piccoli centri dove le alternative sono ridotte.
I soldi del Pnrr vanno più alla tecnologia che all’edilizia scolastica. Li state spendendo bene?
I fondi per l’edilizia scolastica sono amministrati dagli enti locali e non dalle scuole. Ci sono stati interventi ma non sufficienti: stime recenti calcolano che servirebbero 12-15 miliardi di euro per rinnovare il patrimonio immobiliare dell’istruzione, a partire dalle finestre.
Nel 2026 vedremo almeno i frutti dell’innovazione tecnologica?
Stiamo investendo sugli strumenti, come lavagne interattive, e sulla formazione dei docenti. Certe scuole purtroppo sono refrattarie, per problemi sindacali o burocratici. E’ chiaro che così aumenta il divario tra le scuole di eccellenza, che funzionano e spendono bene, e le altre. Ma chi è causa del suo mal… dovrebbe riflettere.
Federica Fantozzi – giornalista