Ettore Rosato, deputato e già vicepresidente di Montecitorio, nel 2019 ha lasciato il Pd di cui era stato capogruppo per seguire l’avventura di Matteo Renzi diventando presidente di Italia viva. Nell’ottobre scorso ha lasciato il partito dell’ex premier per approdare pochi giorni fa, insieme all’ex ministra Elena Bonetti, dentro Azione di Carlo Calenda con il ruolo di vicesegretario delegato alla macchina organizzativa verso le elezioni Europee.
Dal centro di Italia Viva al centro di Azione. Motivi e obiettivi di questo trasloco?
Credo nella necessità di costruire un soggetto capace di parlare con onestà agli elettori e di essere alternativo agli estremismi in campo, che propongono l’abolizione delle accise da un lato e della povertà dall’altro senza nemmeno fingere di crederci. Lo stiamo costruendo con Azione, partito che vuole aprirsi e accogliere chi su questo percorso intende dare una mano.
Non è che i contenuti di Itala Viva fossero molto distanti.
Italia Viva rappresenta un altro schema molto legato al suo leader. Renzi ha voluto rompere il Terzo Polo, progetto su cui io ho lavorato con convinzione, ed è evidente che i nostri obiettivi non coincidessero più. Abbiamo preso strade politiche diverse senza nessun rancore personale. L’amicizia con Matteo non è in discussione.
Le Europee hanno una soglia di sbarramento del 4%, non bassissima. Riccardo Magi su Bee Magazine ha proposto una lista comune con +Europa, Azione e Iv. Realistico?
Gli elettori non crederebbero più a un accordo tra Renzi e Calenda, le lacerazioni sono troppo profonde. Con + Europa invece ci stiamo lavorando, già siamo insieme a Strasburgo su banchi dell’Alde. Vedo uno spazio per chiudere questo percorso.
Quando si parla di programmi elettorali in tv l’audience crolla, eppure bisogna chiedervi che Europa volete. Istituzioni, fisco, difesa, immigrazione: quali sono le ricette di Azione?
Penso che parlare di programmi sia fondamentale, oggi più che mai. La necessità di costruire un’Europa capace di rispondere a bisogni della nostra comunità in questa fase è fortissima. E bisogna cambiare le regole: togliere il diritto di veto su tutte le decisioni in capo ad ogni singolo Paese, realizzare una politica estera e di difesa comune, rendere il mercato unico in grado di reggere il confronto con competitor sempre più agguerriti.
E sull’immigrazione? La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha cercato di “esternalizzare” il problema stringendo un accordo con l’Albania, e Bruxelles sembra stare alla finestra. Esiste un modo di gestire questo tema?
Nel 2050 l’Africa raddoppierà il numero di abitanti. Se si pensa solo ad alzare muri non si andrà da nessuna parte. É doveroso controllare i propri confini, ma serve una politica di partenariato con i Paesi di provenienza dei migranti.
Quindi le piace il Piano Mattei del governo…
Ha un bellissimo nome, evocativo di uno dei pochi europei che ha capito davvero l’Africa. Ma dentro la scatola suggestiva c’è un contenuto che nessuno di noi ha visto.
La protesta dei trattori marcia su Roma e Sanremo, dopo Bruxelles. Stavolta l’Ue ha battuto un colpo: Von der Leyen ha ritirato la proposta di regolamento sui pesticidi. Come si può arginare la concorrenza di prodotti da Paesi che hanno standard meno rigidi su ambiente, diritti dei lavoratori, tasse?
Il problema non sono solo questi prodotti importati e il sostegno alle esportazioni all’estero, ma soprattutto cosa rimane agli agricoltori rispetto al prezzo al pubblico di frutta e verdura. Oggi il margine di chi lavora la terra è troppo basso rispetto al valore della produzione. Esiste un tema di organizzazione diversa del mondo agricolo che deve avere più forza contrattuale rispetto alla grande distribuzione.
Ha ragione Stefano Fassina nel dire che il Green Deal senza politiche sociali di accompagnamento è classista?
Il superbonus 110 è stata una grande operazione di destra fatta da un governo di sinistra: con oltre 100 miliardi abbiamo finanziato le case del 3% degli italiani, soldi anche dei più poveri per finanziare il patrimonio senza limiti di reddito, questi effetti sono stati sottovalutati. Le politiche del Green Deal sono condivisibili negli obiettivi – a cominciare dalla salvaguardia dell’ambiente – ma inattuabili nelle tempistiche. Lo sforzo economico andrebbe a detrimento di altri investimenti pubblici e privati, si danneggerebbe la competitività di imprese che agiscono con competitor che producono su mercati con minori regole ambientali. Per la transizione ecologica serve gradualità.
Federica Fantozzi – Giornalista