“Se un mio spettacolo piace alla gente che detesto, non sono contento”. “Ero alla ricerca di un riconoscimento da parte di quelle persone che sole ammettevo potessero riconoscermi qualcosa”: la sfrontatezza con cui Luca Ronconi raccontò il sé stesso giovane ambizioso si leggono in un libro di riferimento per chi voglia cominciare a capire, magari per la prima volta, perché un attore diventato uno dei divi del teatro di regia sia ancora tanto importante nella cultura italiana, travalicando il teatro: Luca Ronconi, Prove di autobiografia, a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli 2019).
La stessa viva voce di Ronconi racconta il suo processo creativo durante gli anni di direzione artistica del Piccolo Teatro nelle fonti raccolte da Eleonora Vasta in Luca Ronconi, Gli anni del Piccolo: 1998-2015. Interviste, in uscita per Il Saggiatore, che il 14 maggio sarà presentato a Milano nell’ambito di Prospettiva Ronconi, il calendario di appuntamenti che fino all’estate omaggerà il decennale della morte del Maestro.
Al lascito di Ronconi sono diversamente legate due attrici che stanno precisando con successo le loro traiettorie sui palcoscenici di quel Piccolo Teatro che tanto deve a Ronconi: Sara Putignano, 38 anni, pugliese di Martina Franca, che miete successi in Ho paura torero diretta da Claudio Longhi, e Catherine Bertoni De Laet, 31 anni, italobelga, interprete nella Fedra diretta da Federico Tiezzi dopo il successo del film Europa centrale di Gianluca Minucci.
Putignano recita con toni pirotecnici la parte di Doña Lucia, moglie del dittatore Pinochet, in Ho paura torero, lo spettacolo che Claudio Longhi (direttore del Piccolo Teatro e a lungo collaboratore di Ronconi) e Lino Guanciale (anche protagonista) hanno tratto dall’omonimo romanzo dell’attivista e performer cileno Pedro Lemebel. Per il ruolo, tra il comico e il grottesco, Putignano ha attinto anche alle cinque estati trascorse con Ronconi al Centro Teatrale Santa Cristina dopo il diploma nel 2010 all’Accademia Silvio d’Amico, come mi ha raccontato prima di una domenicale di Ho paura torero.

“Chi ha vissuto Ronconi esclusivamente come regista ha vissuto un’altra persona. Noi abbiamo vissuto un Ronconi sperimentatore, libero. Mi ha fatto arrivare a zone dove non immaginavo che sarei arrivata. Era molto amante dell’ironia, era simpaticissimo. Il lavoro con lui è stato l’esperienza più incredibile della mia vita dal punto di vista teatrale, un po’ per come si è sviluppata nel tempo, un po’ perché un regista come Ronconi a 20 anni mi chiede di fare la Madre nei Sei personaggi in cerca d’autore! Mi diceva: “Attenta, perché è un attimo che la perdita si trasforma in piagnisteo e sono due suoni diversi”, e la Madre faceva anche ridere. Quello che lui chiedeva era millimetrico. Era come passare per la cruna di un ago: dopo che passavi per quella cruna, scoprivi che c’era un mondo di libertà. Eravamo a lezione con i registratori per memorizzare il suono che Ronconi ci chiedeva. Nel passaggio da un anno all’altro avevo perso quel suono e sono impazzita perché non riuscivo più a ritrovarlo. Poi ho capito che un lavoro sulla voce non può prescindere dal lavoro sul corpo. Si parla sempre dei “toni ronconiani”. Ma in realtà Ronconi era corpo: anche quando era in dialisi ci faceva vedere le cose col corpo. Se tu non hai un corpo di un certo tipo, quel suono non arriva. Io ho scoperto che era semplicemente un muscolo della faccia che era spostato e che, invece di essere così era così, e questo cambiava completamente il suono. Bisogna anche sentire la scena con la sensazione fisica dello spazio come un materiale denso da attraversare. Ronconi diceva: “Pensate che le battute devono essere qualcosa che taglia il silenzio”.

Catherine Bertoni De Laet, invece, si è diplomata alla scuola intitolata a Ronconi al Piccolo Teatro, di Ronconi ha approfondito il lascito con una masterclass al Santa Cristina con Michela Lucenti, Valter Malosti, Massimo Popolizio e Carmelo Rifici, del quale era stata allieva a Milano, e in Europa centrale ha recitato insieme a 2 grandi interpreti di Ronconi, Paolo Pierobon e Tommaso Ragno. Dopo la prima milanese di Fedra mi parla dello spettro di Ronconi, con il quale convive in maniera del tutto naturale.
“Di solito mi dicono: “Tu eri già con Carmelo Rifici, quindi Ronconi non l’hai conosciuto”. Nella Scuola, in realtà, l’intera struttura era quella di Ronconi. C’era il desiderio di tramandare tutto quello che c’era stato da parte di Rifici e di Mauro Avogadro (molto vicino a Ronconi, di cui ci raccontava aneddoti). Una volta Roberta Zanoli, che è un po’ la custode e l’organizzatrice della scuola, mi disse: “Saresti piaciuta molto a Luca”. Quando abbiamo cominciato le letture della Fedra, Tiezzi mi ha detto: “Si vede che hai fatto un lavoro importante sulla parola”. Stare in questo contesto del Piccolo, vedere Paolo [Pierobon] con cui ho lavorato nel film [Europa centrale]…Quando ieri sono arrivata allo Strehler ho sorriso perché avevo lasciato Pierobon dopo il lavoro nel film e adesso rivedevo la sua faccia ovunque. Ho avuto la sensazione di entrare in una casa che era stata in qualche modo costruita intorno a una ruota che continua a funzionare anche quando il perno centrale viene a mancare. Quando sono uscita mi sono resa conto che interiorizzi delle cose. Va poi detto che non ho mai conosciuto Ronconi ma l’ho sognato e c’è una parte di me che si sente di dire che l’ho conosciuto attraverso questo sogno, dove eravamo in una delle aule della scuola. È così anche con mio padre, che è morto prima che io nascessi: io non ho mai avuto la sensazione di non avere conosciuto qualcuno perché non l’ho incontrato”.
(A conferma che il teatro è la casa degli spettri).