“Stiamo lavorando per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale che darà finalmente uno slancio al mercato del lavoro. Troppi anni di politiche assistenzialiste hanno minato il sistema produttivo italiano riverberandosi nei salari dei lavoratori”.
Walter Rizzetto, friulano, classe 1975, è presidente della Commissione Lavoro pubblico e privato di Montecitorio in quota FdI. Eletto in Parlamento nel 2013 con i Cinquestelle, è passato presto al gruppo Misto per poi aderire al partito di Giorgia Meloni nel 2016, con cui è deputato alla terza legislatura.
Ferrato nei temi economici, è uno dei pochi dirigenti del partito di formazione non aennina (da An, Alleanza nazionale, NdR). E sulla delega fiscale spiega: “Puntiamo a una flat tax per tutti sul maggior reddito dichiarato rispetto alle annualità precedenti, abbassando, allo stesso tempo, l’aliquota per le imprese che investono o assumono. Così sosterremo la domanda privata e contrasteremo il calo del potere di acquisto delle retribuzioni causato dall’inflazione”. Quanto alla formazione, storico tallone d’Achille italiano, bisogna mettere in campo le aziende: “Amalgamare pubblico e privato non sia un tabù”.
Il momento è tutt’altro che facile: l’inflazione si mangia i salari, gli italiani hanno ormai eroso i risparmi del Covid. Il suo partito, FdI, non è favorevole al salario minimo. A quale tipo di intervento state lavorando per alzare le buste paga dei lavoratori?
Per troppo tempo il mercato del lavoro è stato aggredito da politiche assistenzialiste fini a sé stesse. Questo non ha fatto altro che minare il sistema produttivo italiano riverberandosi nei salari dei lavoratori. Per rispondere alle problematiche attuali è necessario un approccio organico, che punti ad affrontare i problemi cronici del sistema lavoro passando soprattutto da una implementazione della contrattazione collettiva e un aumento della produttività delle nostre imprese. Solo attraverso un’azione organica che sia in grado di dare risposte serie possiamo trovare il modo di alzare le buste paga dei lavoratori. Aumentare la produttività delle aziende è il primo passaggio da agevolare.
La flat tax ha già ridotto l’imposizione sul reddito delle partite Iva. Per i dipendenti la mini-riduzione del cuneo fiscale per i redditi sotto i 35mila euro è un primo passo, ma non risolutorio. La delega fiscale in discussione va in direzione di una serie di deroghe all’Irpef. Ma è davvero ipotizzabile come approdo finale una tassazione piatta per tutti? E in che termini?
Finalmente un governo, dopo 50 anni di stasi, ha intrapreso una riforma del fisco che abbia l’obiettivo di far ripartire l’economia italiana. Si sta delineando una revisione dell’intero meccanismo dell’Irpef con la riduzione a tre aliquote. Su questo punto è possibile prevedere una flat tax per tutti sul maggior reddito dichiarato rispetto alle annualità precedenti, abbassando, allo stesso tempo, l’aliquota per le imprese che investono o assumono. In questo modo vogliamo sostenere la domanda privata e contrastare il calo del potere di acquisto delle retribuzioni causato dall’inflazione. Mi preme sottolineare, infine, come la riduzione del cuneo fiscale darà finalmente uno slancio al mercato del lavoro. Stiamo lavorando per rendere strutturale il taglio.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sia pure in modo graduale, ha trasformato il reddito di cittadinanza nel nuovo e più restrittivo assegno di inclusione. Quali sono le prospettive per il nuovo sistema? E non temete che la difficile fase economica produca nuove povertà con tensioni sociali?
Il reddito di cittadinanza è stato trasformato nel nuovo assegno di inclusione, attivo dal 1° gennaio 2024 e riservato alle famiglie più fragili nelle quali vi è un disabile, o un minorenne, o una persona con più di 60 anni. L’importo massimo sarà di 500 euro o di massimo 630 euro se il nucleo è composto totalmente da persone fragili. In caso di affitto, in aggiunta possono esserci un massimo 280 euro mensili o 150 euro mensili se il nucleo è composto tutto da fragili. Per gli occupabili in situazione di povertà e che non accedono all’assegno di inclusione, partirà dal primo settembre 2023 lo Strumento di attivazione al lavoro. Le misure che sta mettendo in campo il governo Meloni puntano ad una diminuzione della precarietà, ad un generale rafforzamento dell’occupazione e a evitare che si possa creare un nuovo sistema di assistenzialismo, come invece hanno fatto i governi precedenti.
Non è velleitario credere che il taglio del sussidio conduca automaticamente a un aumento dell’occupazione?
Le nuove misure di inclusione e politiche attive, conservando i necessari sussidi per la platea degli inabili al lavoro, rimettono in moto la forza lavoro del Paese grazie a percorsi di formazione e riqualificazione lavorativa. Aumentare l’occupazione è il modo migliore per generare profitto, solo così si può intervenire là dove c’è veramente una povertà importante.
Ma il vero punto debole dell’Italia sono proprio le politiche attive per il lavoro. I centri per l’impiego non hanno mai funzionato. E le imprese ripetono che hanno bisogno di personale specializzato con competenze specifiche e aggiornate. Che cosa si sta muovendo a livello di formazione?
Troppo poco è stato fatto in questi anni. Le politiche attive devono rappresentare una macchina efficiente in grado di collegare offerta e domanda di lavoro. Purtroppo, anche a causa di politiche di puro spirito assistenzialistico, si è perso tempo e denaro, tralasciando proprio elementi chiave come la formazione. Ritengo quindi fondamentale implementare una politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato e le competenze a disposizione della forza lavoro.
Come, in concreto?
Bisogna riconsiderare in questo ambito l’importante ruolo che possono avere i soggetti privati, soprattutto nell’utilizzo di nuove tecnologie per raggiungere e rispondere alle esigenze di chi rimane al di fuori del mondo del lavoro. Si tratta di mettere in relazione, in un’azione sinergica, la struttura regionale dei centri per l’impiego, le aziende, le imprese della filiera produttiva e commerciale dei servizi e, ovviamente, le agenzie private per il lavoro. Amalgamare le performance del pubblico con il privato non deve essere un tabù.
Il ministro Lollobrigida ha evocato numeri più alti di quelli attuali, già incrementati, di flussi migratori regolari. L’immigrazione pianificata e magari concordata con i Paesi di origine può aiutare imprenditoria, agricoltura e turismo?
Flussi migratori regolari possono senz’altro essere uno dei sostegni al sistema produttivo nazionale. Il problema si ha quando non c’è un controllo sui flussi migratori e questi ultimi finiscono per alimentare le reti di sfruttatori senza scrupoli e la criminalità organizzata. Proprio per questo il governo Meloni, con il “Piano Mattei”, vuole dare vita ad un ambizioso progetto volto a cambiare il paradigma con cui si pensa al continente africano per favorirne la stabilizzazione e la prosperità. Solo affrontando le cause di instabilità sistemica, infatti, è possibile garantire un futuro ai giovani africani e solo abbandonando un approccio predatorio in favore di una collaborazione paritetica si può permettere agli Stati africani di sviluppare appieno l’enorme potenziale inespresso a causa della mancanza di stabilità politica, l’incertezza economica, la scarsità di risorse finanziarie e – conseguentemente – di strumentazioni e tecnologie.
Come lei ha detto, è un progetto ambizioso. E non di effetto immediato. Nel frattempo?
Oltre la tematica migratoria, nel campo dell’imprenditoria, dell’agricoltura e del turismo dobbiamo investire – anche e soprattutto – sui giovani e sulla loro formazione continua per far sì che il nostro Paese possa continuare a vantare il concetto di Made in Italy come sinonimo di qualità.
Di cosa si sta occupando la Commissione che lei presiede?
Abbiamo molti temi sul tavolo – tra cui PNRR, salario minimo e siccità – che sono quelli maggiormente all’attenzione delle cronache. Tuttavia stiamo svolgendo un importante lavoro in merito alle disposizioni sulla conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche. Un tema che purtroppo, troppo spesso, non richiama l’attenzione ma che ho voluto evidenziare, presentando già nella scorsa legislatura una proposta di legge. E ovviamente cerchiamo di dare risposte e soluzioni alle diverse situazioni di crisi che il mondo del lavoro sta attraversando.
Federica Fantozzi – Giornalista