Di Giulio Regeni sappiamo che si era laureato nel Regno Unito, a Leeds, era uno studente dottorando dell’Università di Cambridge, aveva 28 anni ed era in Egitto per approfondire la sua tesi di dottorato sui sindacati indipendenti egiziani. Tema non semplice, dopo il ritorno del potere militare in Egitto e gli sforzi governativi per fare confluire in un unico organismo controllato dal governo (ETUF) i numerosissimi (forse troppi) sindacati indipendenti.
Giulio oltre ad essere dotato particolarmente per lo studio, aveva un ottimo curriculum lavorativo e, subito dopo la laurea (2011), era stato collaboratore presso l’UNIDO (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale), sede del Cairo, nel 2012/13. Nel 2013, una volta tornato in Inghilterra, Regeni iniziò a lavorare presso l’Oxford Analytica, una delle più grandi società private di consulenza geostrategica al mondo. Come dichiarato da Graham Hutchings, ex giornalista del Telegraph, esperto di politica ed economia cinese, Giulio si occupava di prodotti digitali e inviava reports che il gruppo redigeva per aziende o governi. Collaborava, inoltre, come giornalista, per l’Agenzia di stampa Nena. Aveva anche iniziato a scrivere per il Manifesto (il suo primo articolo sarà pubblicato postumo). Chiedeva di firmare con lo pseudonimo ‘Antonio Drius’ per non esporsi con il proprio nome e cognome. Possiamo perciò focalizzare, di Giulio, due attività preminenti: quella dello studente e quella del giornalista.
La scelta dello pseudonimo, inoltre, permette di credere che i temi di suo interesse potessero anche implicare rischi. Il 25 gennaio 2016 Regeni scompare. Il suo corpo martoriato sarà trovato sulla strada che da Cairo porta ad Alessandria il 3 febbraio. Nelle sue indagini bivalenti (per la tesi e per la sua passione giornalistica), tra le varie persone che incontra, emerge la figura di Mohamed Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti. È lui che passerà registrazioni e video di suoi incontri con Regeni alla polizia: “È un ragazzo straniero che faceva strane domande e stava con gli ambulanti per strada, interrogandoli su questioni che riguardano la sicurezza nazionale”…
Nelle registrazioni pare si consideri anche una possibilità di finaziamento/passaggio di denaro che Giulio avrebbe potuto ottenere tramite una borsa di studio. La cifra era comunque notevolmente alta (da £10,000.00 a £ 25,000.00) per un Paese come l’Egitto del 2016. L’ambasciatore d’Italia Maurizio Massari, viene informato del ritrovamento del cadavere da fonti private tramite il sistema di servizi che è presso ogni ambasciata. Ottiene di vedere il corpo e ne resta talmente sconvolto da parlarne con i giornalisti. Vi è il Ministro Federica Guidi al Cairo, infatti, proprio in quel momento per stipulare importanti accordi bilaterali Egitto-Italia. È ancora Massari a chiedere a Guidi di non darvi seguito. Saltano gli incontri, infatti, prima ancora che sia emersa la minima prova circa il ruolo del governo egiziano nel massacro di Giulio.
L’ambasciatore è richiamato a Roma, ufficialmente per consultazioni, mentre la stampa italiana si scatena contro Abdel Fattah al-Sisi, presidente egiziano, e i formatisi comitati cittadini che chiedono ‘verità e giustizia’ anche. Massari sarà poi inviato a Bruxelles, quale nostro rappresentante permanente presso l’UE. Intanto, necessariamente, s’interrompono le relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto. L’Unione Europea al momento tace e la Francia, tanto per schiarire le idee agli ultimi sognatori della solidarietà tra Paesi UE, si affretta a occupare spazi contrattuali che la latitanza dell’Italia rende vacanti. La cosa riesce talmente bene che il Presidente Macron conferirà al Presidente Abdel Fattah al-Sisi, ricevuto a Parigi con il massimo fasto, la ‘Legion d’Honneur’ (7.12.2020), il più alto riconoscimento che la Francia sia in grado di offrire. La cosa suscita polemiche, ma queste poi si calmano, mentre gli accordi Francia-Egitto restano.
Passerà tempo prima che al Cairo sia inviato il 14 settembre 2017 il nuovo ambasciatore, Giampaolo Cantini, e si riprendano relazioni diplomatiche e commerciali. I nostri interessi, in Egitto, infatti, sono molteplici e vi è una fiorente comunità italiana che lì vive da ben oltre cent’anni. Ci sono scuole, istituti religiosi, una efficientissima camera di commercio italo-egiziana a lungo presieduta da Giancarlo Cifarelli, italiano d’Egitto, attivo e lungimirante. Ci sono impianti petroliferi in cui nostri tecnici hanno lavorato per anni. C’è quel gioiello che è l’Umberto I, il più importante ospedale di tutto il continente africano, che dà lavoro a oltre 700 dipendenti ed è all’avanguardia nelle tecnologie. Regeni capita in Egitto al momento sbagliato, nel luogo sbagliato e incontra le persone sbagliate.
L’Egitto è stato tre volte al limite della guerra civile, a iniziare dai moti popolari del gennaio 2011 che hanno portato alla destituzione, processo e imprigionamento del Presidente Hosni Mubarak, alle elezioni del Presidente Muhammad Morsi del 2012, al colpo di Stato del luglio 2013 che vede imprigionato e processato Morsi e liberato Mubarak, al governo provvisorio di Adlī Maḥmūd Manṣūred e al governo dell’attuale presidente Abdel Fattah al-Sissi dall’8 giugno 2014 a seguito di nuove elezioni. Va specificato che il governo di Morsi, pur formatosi dopo democratiche elezioni, aveva presto incontrato fortissime reazioni popolari con imponenti manifestazioni di piazza che avevano appoggiato il successivo colpo di Stato. L’Egitto è un Paese multi etnico e interreligioso.
Muhammad Morsi nella democrazia forse credeva davvero, ma il movimento dei Fratelli Mussulmani, che l’aveva portato alla vittoria elettorale, lo sovrastava. Morsi cede da subito alla Fratellanza Mussulmana e opta per un regime autoritario e metodi forti, lasciando mano libera ad arresti e violenze e all’istigazione ed esplodere dell’odio religioso in un Paese in cui la tolleranza religiosa era sempre stata la norma. Se guardiamo alle minoranze cristiane vittime di atti terroristici occorsi nel brevissimo periodo (dodici mesi, 30.6.12-3.7.13) della presidenza-Morsi, alle 83 chiese assaltate, saccheggiate e bruciate anche con fedeli in preghiera all’interno (sotto al-Sissi quasi tutte le chiese sono state restaurate e sono in funzione), alle decine di proprietà dei cristiani date alle fiamme e derubate, ai copti sgozzati a colpi di macete, una riflessione è d’obbligo.
Solo in Cairo si parlano una dozzina di idiomi, mescolanza di tribù ed etnie confluitevi nei secoli. L’Egitto confina con quella polveriera che, grazie a noi, è diventata la Libia; con il Sudan spaccato tra nord e sud in guerre sanguinose (che noi fomentiamo), con Israele con cui ha raggiunto intesa e pace, ma che vede il Sinai mira di attentati. Poteva diventare un’altra Libia o un’altra Siria.
Al-Sisi, ministro della Difesa di Morsi, percepisce il malessere popolare che cresce e considera che è giunto il momento della svolta. Il governo è destituito, Morsi imprigionato, Mubarak riabilitato dopo un successivo processo. Il pugno di ferro di al-Sisi, soprattutto nei primi anni della sua presidenza, anche se non giustificabile sul piano dei diritti umani (ma neanche gli orrori sotto Morsi lo erano) è comprensibile nell’ottica di una stabilità che garantisca possibilità di ripresa. Giulio Regeni, arriva nel Paese egiziano in un momento oltremodo critico. Non si presenta né all’ambasciata né al consolato italiani (non risulta, infatti registrato, al momento della sua morte); pur essendo già stato al Cairo precedentemente (proprio in periodo di cosiddette ‘primavere arabe’), non si rivolge né alle nostre Autorità né alla comunità italiana. Studente dell’Università di Cambridge, non dà notizia della sua presenza all’Ambasciata del Regno Unito al Cairo.
Sarebbe stato utile farlo sia per avere direttive sia perché farsi conoscere sarebbe stato in linea con un’ottica di prudenza. Informazioni recenti, considerate attendibili in sede di processo (ma al testimone casuale di una conversazione tra due persone di cui una, a suo avviso, riconducible ai servizi segreti egiziani, è stato garantito l’anonimato) lo vogliono scambiato per una ‘spia britannica’ o del Mossad. Tutto l’interesse del governo al-Sissi era, all’epoca più che mai, di avere rapporti pacifici e interscambi economici con l’UE (il Regno Unito all’epoca era ancora nell’UE) ed è poco credibile che una ‘spia britannica’ sia massacrata, uccisa e scaricata in un luogo di altissimo transito dove sicuramente verrà ritrovata (perché, eventualmente, non farla sparire…). Tra servizi segreti ci sono accordi sottili, tra Paesi ‘amici’ (e anche poco ‘amici’) si comunica e le ambasciate, con i propri addetti militari, svolgono servizi di ‘intelligence’.
In quanto a Israele, va sottolineato che l’Egitto è uno dei pochi Paesi arabi che da più lungo tempo ha buoni rapporti bilaterali con lo stato ebraico. Ma Giulio risultava ‘sconosciuto’ sia all’ambasciata italiana che a quella britannica proprio in periodo critico volto a destabilizzare il Medio Oriente e da cui l’Egitto stava cercando di ‘salvarsi’ per garantirsi un’indipendenza e tentare una politica di neutralità. Va anche sottolineato che l’apertura prima all’URSS e poi alla Russia e una manifesta ‘reattività’ alle interferenze degli Stati Uniti hanno sempre caratterizzato l’Egitto da Nasser in poi e che l’abilità degli US nel fomentare colpi di Stato (non è casuale l’appoggio statunitense ai Fratelli Mussulmani e al governo Morsi) è fortemente temuta.
L’intervento degli USA che si affrettarono a promettere più di 65 milioni di dollari destinati alle organizzazioni che si occupavano della tutela dei diritti umani, fu oltremodo guardato con sospetto. Il ruolo delle ONG occidentali in Paesi in cui si verificano poi colpi di Stato dovrebbe essere oggetto di studi approfonditi. In Georgia, quando scoppia la nota ‘rivoluzione delle rose’ tanto cara a Bush jr., e viene rovesciato il governo, ci sono oltre mille organizzazioni non governative di cui la buona parte riconducibili a Soros che vi spende 42 milioni di dollari e di tale colpo di Stato se ne fa vanto. Di conseguenza il tentativo di destabilizzazione dell’Egitto da parte degli US e alleati, andato a vuoto e che può essere letto come una sconfitta in mezzo alle riuscite ‘primavere arabe’ (Irak e Libia in primis), resta sullo sfondo.
L’Università di Cambridge ha fatto scudo alla professoressa Maha Abdelrahman accusata all’inizio, dai media italiani, di avere mandato allo sbaraglio un suo studente con una tesi che l’avrebbe portato alla morte. In realtà, la tesi di dottorato è decisa a grandi linee con il docente. Le modalità di svolgimento sono lasciate allo studente perché proprio con questa tesi deve aprirsi al mondo della ricerca scientifica. L’Italia lamenta la poca collaborazione del governo egiziano, da cui esigeva ed esige la massima chiarezza e la consegna di quelli che considera siano gli assassini di Giulio.
Ci si è concentrati subito sui servizi segreti egiziani, tralasciando altre piste. Il Cairo conferma l’arresto di Giulio, ma anche il suo rilascio poche ore dopo. Chiedersi a chi potesse interessare di fare esplodere un caso diplomatico con un Paese dell’UE facendo trovare un cadavere martoriato sulla strada più importante che lega il Cairo ad Alessandria proprio in un momento in cui erano in atto preziosi accordi Italia-Egitto, ha solo sfiorato l’indagine che è proseguita con continui attacchi dei media italiani al governo egiziano, rendendo ancora più intricata la possibilità di collaborazione.
Il processo contro i presunti assassini di Giulio e che ha unilateralmente condotto ad un processo tutto italiano contro quattro esponenti dei servizi segreti si presenta in salita. Tale processo non vede la partecipazione della parte egiziana. Perfino le notifiche agli imputati, in mancanza di loro recapiti, sono solo notificate ai difensori d’Ufficio. L’Egitto, in tutto questo, si mantiene in ombra.
L’Italia, Paese dai casi irrisolti
È nostro diritto chiedere le teste degli assassini al governo del Cairo, sperando che altri risolvano questo caso in quest’Italia dei casi irrisolti. In un Paese, il nostro, in cui dal 27 ottobre 1962 (sono passati 52 anni) l’omicidio di Mattei attende chiarezza; dal 9 maggio 1978 (sono passati 44 anni) l’assassinio di Moro è in buona parte ancora avvolto nell’oscurità; dal 20 giugno 1980 (sono passati 46 anni) i parenti delle vittime di Ustica attendono una verità ancora criptata; dal 16 settembre 1970 (sono passati 54 anni) la famiglia del giornalista Mauro de Mauro, sparito nel nulla, non ha mai potuto avere risposte; dal 22 giugno 1983 (sono passati 41 anni) la famiglia di Emanuela Orlandi (cittadina dello Stato del Vaticano, ma scomparsa in territorio italiano) resta in attesa di soluzione; dal 2 agosto 1980 i parenti degli 85 massacrati nella strage di Bologna (sono passati 44 anni) non hanno avuto certezze sui veri colpevoli; dal 24 maggio 2014 (sono passati 10 anni) la famiglia del giornalista Andrea Rocchelli (circa stessa età di Giulio) massacrato dai battaglioni della morte di Poroshenko perché colpevole di averci documentato i crimini ucraini contro le minoranze russofone del Donbass, dopo indagini e processi farsa, aspetta inutilmente un processo giusto; e ci si ferma qui perché la lista sarebbe davvero troppo lunga, il processo Regeni difficilmente ci darà ‘verità e giustizia’.
E non pare possano avere particolare forza le nostre accuse e rimostranze all’Egitto perché non ci consegna su un piatto i colpevoli, considerato il fatto che a casa nostra i casi insoluti, di cui non pochi vedono l’ombra del coinvolgimento dello Stato (e dovremmo essere in ‘democrazia’), sono troppi per esigere da altri Paesi (che condanniamo quali ‘non’ democratici) di fare quello che non siamo in grado di fare noi a casa nostra. Oltre ai molteplici dubbi, restano come pietre le parole di Bonvicini, primo segretario dell’Ambasciata d’Italia al Cairo che ribadisce che Giulio era loro sconosciuto. Era un giovane ‘scomodo’ e, soprattutto, non si era creato una rete protettiva, indispensabile in Paesi con guerra civile alle porte. Era sconosciuto agli organismi che, se si fosse dichiarato, sarebbero stati costretti a dargli protezione e aiuto. Un uomo solo, Giulio, stritolato da un micidiale meccanismo molto più forte di lui. Resta il dolore della Famiglia Regeni, immenso e che non avrà fine. Resta il nostro senso di impotenza e il nostro sgomento davanti a una fine oscura e indegna.
Bibliografia :
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https://www.hrw.org/news/2013/08/21/egypt-mass-attacks-churches August 21, 2013;
https://www.ilsecoloxix.it/italia/2016/02/07/;
https://www.quotidiano.net/esteri/giulio-regeni-48ad01e3 15/02/2016;
https://www.jadaliyya.com/Details/33062 Mar 7, 2016 ;
https://www.camera.it/leg18/1344?shadow_organo_parlamentare=3174&id_tipografico=77;
CSCE, Georgia’s ‘Rose Revolution’, Commission on Security and Cooperation in Europe, Washington DC, 234 Ford House Office Building, 2004 ;
FDD, Georgia on his mind – George Soros’s Potemkin Revolution, Foundation for the Defense of Democracies, Washington DC, May 24, 2004 ;
Mohamed Abd El Ghani, Italian killed in Egypt was interrogated for days, Reuters, Mar.1, 2016 ;
Marta Serafini, Regeni e quel lavoro da consulente per Oxford Analytica, Corriere della Sera, Feb. 16, 2016;
Antonio Drius, Il movimento operaio egiziano tra scioperi e divisioni, Nena-News.it, 15 Gennaio 2016.
Redazione Huffington Post, Omicidio Giulio Regeni, capo del sindacato degli ambulanti:”L’ho denunciato io e ne sono orgoglioso”, 29 Dicembre 2016.
Repubblica.it, Caso Regeni, concluso vertice tra pm: Polizia egiziana indagò sul ricercatore per 3 giorni, 9 settembre 2016.
Manfredi Marciante, Divieto di tortura e sparizioni forzate: il caso ‘Regeni’, LUISS, tesi di Laurea, Anno Accademico 2016/2017;
Vincenzo Calia, Sabrina Pisu, Il caso Mattei, le prove dell’omicidio del presidente dell’Eni dopo bugie depistaggi e manipolazioni della verità, Milano, Chiarelettere, 2017
Maurizia Leoncini – Giornalista Freelance