“La pace, o almeno una tregua, è la precondizione per trattare. Significa passare dalla guerra al dialogo, significa che il nemico diventa un interlocutore. È auspicabile un gesto di buona volontà che arrivi dal Vaticano, dalla Chiesa di Mosca, dalle Chiese ortodosse e cattoliche dell’Ucraina e dal patriarca ecumenico di Costantinopoli. Sarebbe più forte se si associassero anche i capi delle altre religioni, da sempre presenti in Russia e in Ucraina, come ebraismo e islam”.
Cosi don Sergio Mercanzin, sacerdote e giornalista, fondatore del Centro Russia Ecumenica, spiega e analizza la situazione del conflitto tra Russia e Ucraina.
Don Mercanzin, il giorno della vigilia del Natale cattolico saranno dieci mesi di conflitto tra Russia e Ucraina. A che punto sono, secondo lei, le trattative per la pace tra i due Paesi?
Trattative ci sono, ma i belligeranti non hanno fretta di arrivare alla pace e infatti mettono gli uni agli altri condizioni sempre più radicali e intrattabili, che non sono ponti ma muri. Quello che vogliono non è la pace ma la vittoria. Comprensibile per chi ha dichiarato la guerra, naturalmente con l’intenzione di vincerla non certo di perderla, comprensibile per chi oppone resistenza all’invasione e alla ferocia, determinato a difendere fino alla morte se stesso, la sua famiglia e la sua patria. Chi fin dall’inizio ha lottato per la “pace tout court” è il Papa, diversamente per esempio dallo stesso patriarca di Mosca, che auspicava una “pace giusta”, naturalmente quella di Putin, come poi ha fatto capire in ogni sua disgraziata esternazione. La pace o almeno una tregua è la precondizione per trattare. Significa passare dalla guerra al dialogo, significa che il nemico diventa un interlocutore.
Papa Francesco continua a offrirsi come mediatore di pace. Alcune sue recenti affermazioni contro la brutalita’ dei ceceni e dei buriati nel conflitto ucraino, hanno pero’ messo in discussione la sua posizione di imparzialita’. I russi hanno affermato che l’ex segretario di Stato americano, John Kerry, sarebbe l’interlocutore ideale per trattare la pace. Nonostante la diplomazia vaticana sia costantemente al lavoro per trovare una soluzione, il dialogo tra la Santa Sede e il Cremlino rimane teso?
Purtroppo il Papa, sempre con le più buone intenzioni, a volte esce in affermazioni che non farebbe mai il cardinale Parolin, Segretario di Stato, o l’arcivescovo Gallagher, Ministro degli Esteri della Santa Sede. La buona intenzione in questo caso era scagionare i russi delle brutalità che compiono da nove mesi in Ucraina, addossandola a popoli meno numerosi e meno civilizzati, all’interno della Federazione Russa. Invece ha offeso sia i ceceni sia i buriati, presentandoli come selvaggi, sia i russi presentadoli come combattenti incapaci o assenti. John Kerry come interlocutore? Niente male. All’inizio della guerra si ipotizzava come autorevole mediatrice di pace Angela Merkel, che conosce personalmente Putin dagli anni della guerra fredda, quando entrambi lavoravano a Berlino. Gli ipotetici interlocutori non mancano, ai primi posti, se non al primo, Papa Francesco stesso o qualche suo collaboratore di prestigio internazionale come Parolin o Gallagher. Ironia della sorte però più continua la guerra più il Santo Padre rischia di diventare inviso sia ai russi sia agli ucraini, perché ciascuno lo vorrebbe suo alleato esclusivo.
Però la Chiesa insiste e rilancia. Il 13 dicembre, in un convegno che si terrà presso l’ambasciata italiana presso la Santa Sede in presenza anche del cardinale Pietro Parolin, potrebbe nascere una nuova proposta per trovare una soluzione al conflitto in Ucraina. Cosa ne pensa?
Penso che questa iniziativa, la quale vede alleate Santa Sede e Italia, sia ottima e potrebbe dare dei frutti. Tra l’altro Santa Sede e Italia sono da sempre all’apice della considerazione dei russi, sia popolo sia governo. Proposte di pace ne sono state fatte molte, sarà interessante se da questo incontro e convegno uscirà una nuova proposta di pace, al di sopra delle parti, degli eserciti e dei governi, a favore di entrambi i popoli in conflitto, che stanno patendo sofferenze inaudite.
Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha dichiarato recentemente che il conflitto in Ucraina “può finire anche domani se Zelensky vuole”. Segnali di apertura ma forse anche la posizione intransigente del presidente ucraino, che continua a sostenere che una trattativa con i russi si potrà fare solo quando se ne saranno andati dall’Ucraina, non aiuta di certo nella ricerca di un percorso di pace.
Zelensky sta vivendo una nuova metamorfosi, la terza. La prima quando da attore comico è diventato capo di Stato, la seconda quando all’inizio della guerra da capo di Stato è diventato, come mi ha detto un intellettuale ucraino, il padre della patria e ora la terza: da valoroso resistente a vincitore assoluto, costi quel che costi. In pochi mesi è diventato un personaggio mondiale (vedi la copertina di Time, che l’ha nominato giustamente uomo dell’anno), con una fama e una hybris (presunzione della propria potenza) che può farlo diventare, come già ipotizza qualche osservatore, un interlocutore imbarazzante.
La tradizionale prima al Teatro alla Scala a Milano ha visto in scena un’opera russa, il Boris Godunov, di Modest Petrovič Musorgskij basata sul dramma omonimo di Aleksandr Sergeevič Puškin. Sia il Presidente Sergio Mattarella (“La cultura russa non si cancella, è europea”) sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni (“Non ce l’abbiamo con il popolo russo, con la storia russa con la cultura russa, noi ce l’abbiamo con la scelta politica. E i due piani vanno tenuti distanti altrimenti facciamo molta confusione”) hanno praticamente ribadito che la scelta, inizialmente criticata, non puo’ essere interpretata come un appoggio all’attuale politica del Cremlino. Pensa che l’arte, la cultura, anche quella religiosa, possano essere di aiuto per trovare una soluzione al conflitto?
Non ho dubbi. In soli mille anni di storia, la metà della nostra, la Russia ha dato al mondo le sue straordinarie ricchezze nel campo della musica, della danza, dell’iconografia, della letteratura, della scienza e tanto altro ancora. Chiudere questa fonte sarebbe impoverire il mondo! Hanno detto bene sia il presidente Mattarella sia la presidente Meloni che la prima condizione è distinguere tra popolo e regime. Spesso si dice che ogni popolo ha il regime che si merita, ma come si fa per esempio a dire che gli iraniani si meritano il regime che li sta massacrando? Ci sono regimi che sono disgrazie colossali e basta. Il popolo russo ha conosciuto e subìto solo regimi nella sua storia, precisamente tre: zarista, comunista e putiniano. La libertà e la democrazia sono riuscite a ritagliarsi un breve intervallo tra Gorbaciov e Putin, nel periodo disordinato ma nello stesso tempo ricco di speranza di Eltsin. Confondere il popolo russo con il regime e quindi abbandonarlo al suo destino sarebbe un delitto, un errore e naturalmente un pericolo per l’Europa e per il Mondo.
Intanto si continua a combattere e a farne le spese sono sempre gli innocenti, i bambini, le donne, gli anziani, ma anche le tante famiglie dei soldati di tutte e due le parti che hanno perso i loro cari nel corso di questo conflitto. Un miracolo, quantomeno un gesto di buona volontà magari propiziato dal Vaticano, almeno per il giorno del Natale ortodosso il 7 gennaio 2023, sarebbe auspicabile?
Più che auspicabile. Sarebbe ideale che a propiziarlo fossero il Papa, il patriarca di Mosca, i capi delle Chiese ortodosse e cattoliche dell’Ucraina, il patriarca ecumenico di Costantinopoli. Ancora meglio se si associassero anche i capi delle altre religioni, da sempre presenti in Russia e in Ucraina, come ebraismo e islam. Il grande teologo Hans Küng diceva “Non ci sarà pace tra i popoli finché non ci sarà pace tra le religioni”.
Silvio Mellara – Giornalista