Tornare a Nitti per capire l’Italia. È stato un grande interprete del Novecento

Dopodomani pomeriggio a Roma nella sede dell’Enciclopedia Treccani, ne discutono Giuliano Amato,  StefanoRolando, Simona Colarizi, Francesco Barbagallo e l’autore, il professor Massimo Crosti. Pubblichiamo l’intervista di Gianluca Tartaglia all’autore, che nel volume fa una ricostruzione complessiva del pensiero politico di Francesco Saverio Nitti, presidente del Consiglio nel biennio 1919-1920

La Fondazione “Francesco Saverio Nitti” ha annunciato la pubblicazione da parte di Editoriale Scientifica di Napoli del saggio del prof. Massimo Crosti Nitti interprete del Novecento – Analisi del pensiero politico, con prefazione di Franco Barbagallo e nota editoriale di Stefano Rolando, presidente della stessa Fondazione. 

Imminente la prima presentazione, che avrà luogo alla Sala Igea dell’Istituto della Enciclopedia Italiana (Piazza della Enciclopedia italiana 4, Roma) giovedì 6 giugno 2024, alle ore 17.30. Con l’autore, interverranno Giuliano Amato, Francesco Barbagallo, Simona Colarizi e Stefano Rolando.

 

Simona Colarizi

 

Stefano Rolando

Quest’ultimo – nelle prime righe della sua nella nota editoriale – ha scritto: “Un passaggio di Giuseppe Galasso secondo il quale alcuni apporti nittiani più frequentemente richiamati, compreso il pensiero meridionalista, non sono sufficienti a dare a Nitti tutta l’evidenza che merita”. Insomma, il “cono d’ombra” della storia a cui hanno cercato di opporsi le recenti celebrazioni del centenario del governo Nitti che sono state presiedute da Giuliano Amato. Nasce in questo contesto l’importante saggio del prof. Crosti che ha insegnato Filosofia politica all’Università Salesiana e anche all’Università Gregoriana, a Roma. E ha scritto saggi sul populismo, sul comunitarismo, sul pensiero democratico italiano, dedicando anche contributi a Philip Selznick, Alasdair MacIntyre, Paul Taggart, Roberto Ruffilli. Fra le sue pubblicazioni, con Vittorio Foa, Il ritorno dell’individuo. Cosa cambia nel lavoro e nella politica (Edizioni Lavoro, Roma 2000) e quella con Domenico Fisichella, Il primato della politica (Città Aperta, Troina 2005).

 

Giuliano Amato

 

Lo abbiamo incontrato a Roma e ha risposto alle nostre domande.

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Perché tornare, oggi, su Nitti?

Nitti è stato un grande protagonista del Novecento, lo è stato coniugando, nel suo percorso, dimensione scientifica di alto livello, e dimensione politica, ai massimi livelli di responsabilità, accompagnata da un’intesa attività pubblicistica, iniziata da giovanissimo sulla stampa italiana. Poi proseguita sulla stampa di tante parti del mondo. Quindi si tratta di un personaggio unico nell’Italia del secolo scorso. Tornare su di lui significa tornare sulle grandi questioni che ha dovuto affrontare l’Italia, quelle risolte e soprattutto quelle irrisolte. Ci aiuta a comprendere l’oggi.

Può fare alcuni esempi dei suoi apporti scientifici più rilevanti?

Sono veramente molti, difficile dirlo in poche battute, si rischia di essere riduttivi. Proviamo a farlo. Pensiamo a Il socialismo cattolico (1891 ), che gli dà la notorietà a livello nazionale, e, nei primi del Novecento a un volume, Principi di scienza delle finanze (1903), che viene tradotto in tante lingue, più volte edito successivamente, nel corso dei decenni, e adottato in tante Università del mondo. E non si può dimenticare La Democrazia, opera in due volumi, apparsa nei primi anni Trenta, in un’Europa attraversata da regimi, partiti e movimenti illiberali e antidemocratici.

Passando alla sua opera come uomo di governo, quali sono, secondo lei, i suoi rapporti più rilevanti?

Vede, anche qui è difficile dire in breve. Nitti ha avviato nel secondo decennio del secolo scorso una inedita e innovativa opera di riformismo amministrativo, veramente unica nell’Italia del Novecento. È stato motore della ripresa dell’Italia dopo Caporetto, quando era ministro del Tesoro nel Governo Orlando. Poi da presidente del Consiglio, pur durando poco il suo governo, tuttavia la sua opera è stata importante. Sono tanti i provvedimenti del suo Governo (1929-20), la cui attività è veramente intensa. Si introduce la proporzionale in Italia, si tenta di dare il voto alle donne. Non si fece in tempo per il voto alle donne, si riuscì a votare alla Camera, ma non in Senato perché il Governo Nitti cadde.

Pensa ci sia un filo rosso in questa multiforme e poliedrica attività?

Si, l’opera di Nitti, e quando dico l’opera, intendo quella intellettuale e quella politica, sono attraversate da una profonda istanza democratica, presente nei suoi studi e nella sua attività di uomo di governo. Lo dimostra il fatto che riteneva La Democrazia la sua opera più importante, quella che sintetizzata tutto il suo lavoro teorico e politico dei decenni precedenti.

Dove intravede questa istanza nella sua attività politica? 

Come le dicevo, un po’ in tutta… ma mi lasci dire che se leggiamo il Discorso, che tiene alla Camera, in difesa del voto alle donne, questa istanza la troviamo espressa con particolare forza. Quando viene contestato per voler dare il voto anche alle analfabete del Mezzogiorno, Nitti reagisce, e afferma che vuole dare il voto a tutte le donne, naturalmente, ma soprattutto a loro, che lui ha conosciuto bene. Ed è sicuro lo eserciteranno con estrema saggezza e miglioreranno la vita politica nel suo complesso.

Un grande momento, quindi, questo?

Si, certo, soprattutto sotto il profilo simbolico e culturale. E Nitti dice anche altro. Per esempio, che le donne, pur non votando, hanno contato più di quanto si pensi, perché hanno influenzato il voto dei loro mariti. E che aveva sempre evitato di mettersele contro durante le competizioni elettorali.

In conclusione, il titolo del suo studio rimanda a Nitti come interprete del Novecento? Perché Nitti è stato un interprete, un grande interprete del Novecento?

Proprio per la sua capacità di coniugare ricerca scientifica e dimensione politica, ambedue di alto livello. Le due dimensioni insieme, sintetizzate nella sua figura, gli hanno consentito di capire e di anticipare alcune grandi linee di sviluppo del Novecento. Intuisce che, dopo la Grande Guerra, un’altra, più devastante, sarebbe seguita; scrive a Mussolini di non entrare in guerra perché la Germania sarebbe stata devastata; comprende, in anticipo, che, probabilmente, nel confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, avrebbero prevalso i primi, ma che sarebbe stata una vittoria carica di problemi per il mondo occidentale.

È stato proprio un buon profeta, è il caso di dire? E sull’Italia?

La preoccupazione di Nitti è sempre stata la tenuta unitaria del Paese. Una preoccupazione che si rafforza quando vede profilarsi l’ipotesi regionalista dopo il secondo dopoguerra. Teme che il regionalismo, una volta attuato, avrebbe portato alla creazione di tante piccole repubblichette? Vedrete, vedrete, io non vedrò, ma molti di voi, si. Le pare che la preoccupazione di Nitti fosse infondata, che avesse torto a profilare un simile rischio? Alla luce di sviluppi recenti e meno recenti, a me non pare.

 

Gianluca Tartaglia

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