Fu vera svolta? La domanda di manzoniano tenore regna nel centrosinistra e risuona, di riflesso, nel centrodestra per cui è suonata non la campana, ma una campanella sì. La partita delle Regionali finisce 2 a 1 per l’opposizione: il campo largo – espressione tornata all’improvviso di moda – vince in rimonta e chiude l’anno in bellezza, tenendosi l’Emilia Romagna e riconquistando l’Umbria, dopo aver perso la Liguria. Due match vinti da due sindaci – Michele De Pascale di Ravenna, riformista capace di “legare la sabbia” (copyright Pierluigi Bersani) e Stefania Proietti di Assisi, cattolica e pacifista – alla guida di coalizioni ampie e senza veti.
Uno scenario che in filigrana conferma e cristallizza i reciproci talloni d’Achille a livello nazionale. Per il centrosinistra, la mancanza di un progetto di governo credibile ed efficace: dove si litiga e si inseguono le comete dei massimi sistemi si perde. Per il centrodestra la (perdurante) inesistenza di una classe dirigente solida e diffusa: dove mancano il nome di Giorgia Meloni sulla scheda e la sua spinta-grinta elettorale, si perde.
Il day after della doppietta
Nel day after di questa doppietta, la tendenza di Elly Schlein è non strafare né caricare il voto di significati nazionali, quella della premier è di mostrare un volto conciliante promettendo collaborazione costruttiva ai neo-governatori. Tutto giusto. Ma troncare, sopire, sedare – insegna la storia – non scioglie i nodi. Che rischiano di trasformarsi in cappi.
E dunque, partendo dai vincitori di oggi. Il Pd torna a numeri da vocazione maggioritaria (il 30% in Umbria) o addirittura da vecchio Pci (il 40% in Emilia). Bello ma rischioso per una leader che nel ripetersi “testardamente unitaria” percepisce il pericolo di un solco che si fa voragine, di un albero troppo alto che faccia ombra ai cespugli, di uno squilibrio nell’edificio ancora tutto da costruire. Sebbene – e non è una sorpresa – i maggiori interrogativi riguardino Giuseppe Conte, che pur commentando positivamente le vittorie non si è mosso da casa. La testa del leader pentastellato è sulla sua deadline cruciale: l’assemblea costituente che deciderà le sorti del duello tra lui e Beppe Grillo.
In questo senso, l’esito del voto regionale che vede M5S crollato intorno al 5-6% è bicefalo: può incoraggiare la tentazione del “ritorno alle origini”, la coltivazione del mito – perché altro non è – della purezza del non schierarsi né a destra né a sinistra. Oppure – ma non ci scommettono in tanti – può dare un’accelerata all’alleanza progressista, elettrizzando gli elettori di quella parte che un’alternativa di governo non è una chimera litigiosa bensì una prospettiva politica di medio termine. L’incubo sarebbe la terza via: un Conte ancora più ondivago, spregiudicato e calcolatore di quanto visto nei mesi scorsi.
Chi fa i compiti e chi no
Quanto alla maggioranza di governo, qualche indicazione è chiara. FdI tiene pur perdendo diversi punti rispetto alla media nazionale: il vento soffia ancora a suo favore. La Lega – che alla tornata scorsa superava il 30% in entrambe le regioni – crolla ben sotto il 10%, nonostante la governatrice umbra uscente Donatella Tesei fosse in quota salviniana, da lui imposta agli alleati per il bis. Forza Italia supera i fratelli-coltelli leghisti, anche grazie a una classe dirigente locale più strutturata (vedi Andrea Romizi, capolista azzurro ed ex sindaco di Perugia).
Nulla di drammatico, forse prodromi di equilibri diversi, sicuramente fonte di fibrillazioni che non aiutano l’azione di governo. Come non l’hanno aiutata, in Emilia Romagna, le polemiche sulle zone alluvionate e la manifestazione dell’estrema destra a Bologna, a due passi dalla stazione teatro nel 1980 di un tragico attentato neofascista.
Fu vera svolta, dunque? Presto per dirlo. Meloni, intelligentemente, ha teso la mano e si vedrà la sua risposta alla svelta richiesta di De Pascale di diventare commissario per l’alluvione (incarico negato, per fini pre-elettorali, a Stefano Bonaccini). Persino Salvini si è mostrato conciliante, pur non essendo nella sua natura politica.
Tra scosse di assestamento, si andrà avanti fino alla prossima tornata, prevista nel 2025 anche se il governo proverà a spostarla alla primavera successiva: Veneto, Toscana, Val d’Aosta, Puglia, Campania, Marche. Un complesso poderoso di territori. Lì si vedrà chi ha fatto i compiti a casa e chi no.
Federica Fantozzi – Giornalista