L’ interrogativo serpeggia a mezza voce tra tanta, troppa gente che assiste, impietrita, ad efferatezze sempre più frequenti e sempre più inconcepibili; s’insinua tra uomini e donne che vivono con l’impotenza d’agire, con gli interrogativi irrisolti sul declino, sulla morte, dei minimi precetti morali di una società estranea al cielo e alla terra.
Sì, noi siamo la Patria del Diritto, di San Francesco, di Cesare Beccaria, ma anche della mafia, della ‘ndrangheta, della camorra; siamo la patria del rispetto dei diritti umani, ma anche dell’offesa violenta e storicamente ancora irrisolta degli stessi diritti. E quando, a costo della vita di magistrati, procuratori, uomini delle forze dell’ordine, si raggiungano risultati importanti sulla carcerazione a vita di boss e delinquenti seriali, si dovrebbe almeno distinguere tra Caino e Caino e magari continuare a mantenere attivo, come è stato finora in Italia, quel procedimento dell’ergastolo ostativo, al centro delle critiche da parte della CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo).
L’ergastolo ostativo impedisce, infatti, l’accesso ai benefici penitenziari in assenza di collaborazione (comma 1) ovvero nel caso di collaborazione impossibile o oggettivamente irrilevante (comma 1 bis).
È del 15 aprile 2021 la pronuncia della Corte Costituzionale circa l’illegittimità del “rifiuto della liberazione condizionale agli ergastolani condannati per mafia che non collaborano con la Giustizia”.
È necessario, dunque, che il Parlamento riempia un vuoto legislativo in materia. Ora, il rispetto dei diritti umani è civiltà, umanità, giustizia reale, non nominale, ma…
Si affaccia un Ma, una istintiva e insieme più che motivata avversione nei confronti della reale possibilità che si possano concedere benefici penitenziari, quali permessi o sconti di pena a chi si è macchiato di omicidi per mafia, o terrorismo. La motivazione: si vìola l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani anche nei confronti di chi mai ha collaborato o ha mostrato pentimento.
Il Ma si ingigantisce e crea indignazione. E proprio perché siamo giuridicamente la patria del Diritto e della mafia, forse l’omologazione ai dettami della CEDU potrebbe non essere eseguita supinamente, come sempre più spesso accade anche in altri campi di riflessione e di azione.
Certa di una questione divisiva, continuo a pensare che una qualche autonomia nelle decisioni degli Stati vada mantenuta. Le nostre guerre contro i criminali di mafia non sono le stesse di altri Paesi in cui l’abbiamo esportata.
Che si tocchi Caino, allora, almeno qualche Caino.
E che si dica No alla sempre più frequente procedura dello sconto di pena,delle attenuanti generiche, della teoria dell’infermità mentale. La società è pronta ad operare dei distinguo; la giurisprudenza dovrebbe adeguarsi alle necessità che nascono dal basso, dovrebbe iniziare ad ascoltarne le ragioni.
Quella del cielo, per chi crede, verrà dopo.
Intanto qui, sulla terra, difendiamo prima Abele, dopo si penserà a Caino.
Rita Rucco – Docente di Lettere