Legalizzazione cannabis, la svolta americana e le resistenze in Italia. Parla Luca Marola l’inventore della “versione” light legale

In America la legalizzazione fa passi avanti in nuovi Stati. E in Italia? Si tratta di un problema culturale. Secondo uno studio dell’Università di Roma "La Sapienza": in Italia i consumatori sono sei milioni, il dieci per cento della popolazione, il giro d’affari 4 miliardi. In caso di legalizzazione, 3 miliardi entrerebbero nelle casse dello Stato come imposta sulle vendite.

Le elezioni di midterm negli Stati Uniti non sono state solo un banco di prova per la politica in senso stretto, ma hanno dato responsi importanti anche su altri temi. Tra questi, in cinque Stati si è votato per rendere la cannabis legale e in due casi ha vinto il sì: Maryland e Missouri hanno così allungato la lista degli stati USA che hanno legalizzato la pianta per tutti gli usi. Ora sono 21 su 50.

Ma non è tutto.

Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva annunciato un mese prima, addirittura con un tweet, che avrebbe concesso la grazia a tutti coloro che erano stati condannati per possesso di marijuana. Biden aveva poi chiesto ai governatori degli Stati di seguire quanto avrebbe fatto la Casa Bianca in materia, considerando che negli Stati Uniti ci sono almeno 6500 persone che avrebbero beneficiato di questo provvedimento.

La questione non riguarda solo la depenalizzazione delle droghe leggere, ma anche la facilità con cui il possesso o il consumo dei derivati della cannabis si trasformano in reato se a compierlo è un afroamericano o un ispanico, a causa delle implicazioni della loro origine etnica. Biden, allora, ha sganciato la bomba che apre quasi definitivamente alla possibile legalizzazione della Marijuana, dichiarando che rivedrà la classificazione delle droghe leggere.

Si tratta dunque di un vero atto di liberalità e generosità, che è allo stesso tempo il riconoscimento di una ingiustizia cui porre rimedio. Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: perché in Italia non si segue lo stesso esempio? Quanto siamo lontani da questo modello? Cosa comporterebbe da noi una liberalizzazione di questo tipo?

“La distanza dagli Stati uniti è abissale – commenta l’attivista e fondatore di “Easy Joint”, Luca Marola – perché in America il dibattito coinvolge l’opinione pubblica dal 2010 e la differenza sta nella qualità del dibattito pubblico e politico: l’evidenza scientifica, il buonsenso e il pragmatismo prevalgono sull’ideologia. Le favolette che determinano il dibattito in Italia – spiega Marola – sono state smentite dalle evidenze negli Stati Uniti: il consumo non aumenta e la criminalità si riduce. Se così non fosse, gli Stati che hanno seguito a ruota quelli confinanti, come i primi Colorado e Washington, dubito che l’avrebbero fatto. Invece abbiamo assistito a questa escalation a cadenza biennale in cui la legalizzazione vince e il consenso dell’opinione pubblica sul tema non è mai sotto il 60%”.

Nel nostro Paese la questione depenalizzazione e legalizzazione delle droghe leggere è un braccio di ferro che va avanti ormai da decenni. La destra e la sinistra trovano in questo tema un terreno di scontro perenne e nessuna delle due vuole mollare la propria posizione. Nonostante l’Organizzazione delle nazioni unite abbia riconosciuto le proprietà terapeutiche della cannabis, rimuovendola dall’elenco delle sostanze pericolose per gli esseri umani, in Italia la sua coltivazione e il suo consumo personale restano un tabù.

“C’è la volontà di mantenere una fetta di popolazione nell’ignoranza per poi lucrarne i consensi elettorali sventolando degli spauracchi – prosegue l’attivista – i proibizionisti vedono nel fiore di cannabis un’immagine da abbattere. Questo porta a un processo di retaggio che in qualsiasi altro Paese farebbe ridere”.

Eppure, secondo uno studio condotto dal Professor Marco Rossi dell’Università “La Sapienza”, la stima ufficiale della spesa per consumo di cannabis nel nostro Paese è di 4 miliardi di euro annui. Tale consumo coinvolge quasi il 10% della popolazione, ponendo l’Italia tra i primi Paesi europei per numero di consumatori: circa 6 milioni. Di conseguenza, un’eventuale legalizzazione porterebbe l’Italia a raggiungere, con il sistema della tassazione, una cifra pari a circa 3 miliardi di euro l’anno da imposte sulle vendite, oltre chiaramente a contrastare il mercato nero della criminalità organizzata.

Lo scorso febbraio era stato sottoposto alla Corte Costituzionale un quesito referendario in materia, a seguito di una raccolta firme. Risultato: bocciato perché non accettabile a livello costituzionale. L’ex presidente della Consulta, Giuliano Amato, aveva spiegato che, così come era stato formulato, il quesito avrebbe portato “alla violazione di obblighi internazionali” e avrebbe prodotto “l’inidoneità allo scopo”. Secondo il presidente della Corte “il quesito referendario non era sulla cannabis ma sulle droghe pesanti, insistendo sui quei commi dell’articolo 73 del testo unico degli stupefacenti che non contenevano la cannabis, ma facevano riferimento a sostanze che includono papavero e coca, da qui la violazione di obblighi internazionali”.

In teoria, l’obiettivo del referendum era tuttavia quello di depenalizzare la coltivazione di cannabis ed eliminare le pene detentive per qualsiasi condotta legata esclusivamente a essa e ai suoi derivati, tranne nel caso del traffico illecito. Sarebbe rimasto invece punibile chiunque si occupasse di produzione, fabbricazione, estrazione e raffinazione.

In ogni caso, si tratta di un risultato che allunga apparentemente le prospettive per la liberalizzazione, anche parziale, della pianta. Ma non secondo Marola, che conserva una buona dose di ottimismo: “Come diceva Pannella, noi storicamente abbiamo già vinto. Sappiamo che l’opinione pubblica italiana è dalla nostra parte. Nonostante il colore di questo governo, pensiamo che basti organizzare le forze e aspettare l’apertura della piattaforma online per la raccolta firme. Si aprirà una nuova stagione – conclude – che travolgerà la politica delle proibizioni e darà finalmente voce ai cittadini sui diritti moderni. Il 2023 sarà un grande anno di attivismo per i diritti civili”.

 

Enrico Scoccimarro – Giornalista praticante

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