Le figlie di Re Lear in una fattoria dell’Iowa, ossia il caso Jane Smiley: il “retelling” femminista non passerà mai di moda

Erediterai la terra, romanzo premio Pulitzer del 1991 noto in Italia come La casa delle tre sorelle, torna in libreria con un nuovo titolo. E prova ancora a rispondere a un’antica domanda: come fare per ritrovare le donne dimenticate?

C’era una volta una principessa, una sirena, una regina. C’era una volta ed era sempre raccontata da uomo, notavano le intellettuali femministe degli anni Settanta e Ottanta. Le favole, così come i miti antichi, per secoli hanno dato forma ai ruoli della donna nella società, spesso togliendo ai personaggi stessi la facoltà di parlare per sé: come Ariel che in cambio della vita sulla terraferma perde la voce e Biancaneve che cade in un sonno profondo in attesa del bacio che la salvi.

Ruoli femminili in cui identificarsi entrano così a fondo in una cultura maschile, da non permettere a chi legge e a chi guarda di accorgersi, per esempio, che Julie in 1984 di George Orwell non ha un cognome e non parla quasi mai. Rimane un’estensione e un’ombra del protagonista Winston Smith. E le tre figlie di Re Lear, nella più grande tragedia di Shakespeare, sono solo l’oggetto su cui ricade la decisione – e poi il pentimento – del sovrano di dividere il suo regno fra le eredi.

Un nuovo Re Lear

Proprio di Re Lear, testo adattato un numero di volte impossibile da determinare a teatro (e quasi venti al cinema), si ricorda una sola versione diretta da una donna, Segreti di Jocelyn Moorhouse, che non a caso è l’adattamento per il grande schermo del romanzo A Thousand Acres (La casa delle tre sorelle) di Jane Smiley.

La scrittrice Jane Smiley
La scrittrice Jane Smiley

 

Oltre trent’anni dopo la prima edizione in Italia, il libro vincitore del premio Pulitzer 1992 torna in una nuova veste e con il nuovo titolo Erediterai la terra, per la casa editrice La Nuova Frontiera da ottobre 2024. Con sé porta sempre una possibile risposta alla grande domanda che Shakespeare lascia in sospeso nella sua tragedia sui più bassi e oscuri sentimenti umani: perché le tre donne, le figlie del re, odiano il padre? E perché si odiano a vicenda? È una domanda a cui sono proprio Goneril, Regan e Cordelia a dover rispondere, sembra dire Jane Smiley, anche se il Bardo non ha mai concesso loro la parola.

Erediterai la terra quindi trasporta il testo di Re Lear in un contesto radicalmente diverso, l’Iowa delle ultime grandi fattorie, a partire dal 1979, nella vita di una famiglia di agricoltori guidata dal dispotico vedovo Larry Cook. I personaggi cambiano nomi rispetto al testo shakespeariano ma tutte le funzioni e le relazioni restano. Goneril, Regan e Cordelia diventano Ginny, Rose e Caroline. Edmund, il figlio illegittimo del Conte di Gloucester – per cui alla fine anche Goneril e Regan muoiono per reciproca gelosia – diventa un soldato disertore del Vietnam, che torna a casa solo dopo anni, in seguito all’amnistia e portando con sé tutti i traumi del mondo in cui è stato.

William Shakespeare
William Shakespeare

 

Le azioni, l’ordine degli eventi e i tradimenti sono gli stessi. A trasformarsi è la voce narrante, quella di Ginny, la figlia maggiore, che man mano che ogni equilibrio si spezza rivela le orribili verità nascoste nella sua famiglia e nella sua stessa memoria, raccontando al tempo stesso il legame con le sorelle

Rileggere testi antichi con occhi di oggi

Jane Smiley sceglie una riscrittura radicale, che trasforma un testo teatrale inglese del Seicento in  un grande romanzo americano, cioè un’opera inserita nella tradizione letteraria statunitense che dà forma e descrive quella specifica società nel suo tempo. Contemporaneamente esaudisce un desiderio personale: “Ho scritto Erediterai la terra perché mi dava fastidio che, in Re Lear, le figlie del monarca non parlassero quasi per niente, mentre lui non chiudeva mai il becco. Volevo dare loro la parola”, affermava l’autrice in una vecchia intervista a El País.

È per questo che il retelling femminile e femminista, cioè l’atto di raccontare storie già note, grandi classici, dal punto di vista delle donne in secondo piano, nasce come pratica teorica femminista ma è un fenomeno quotidiano che non accenna ad arrestarsi. Perché vogliamo sapere chi sono queste donne.

Margaret Atwood
Margaret Atwood

Le parole di Circe

Era così nel 1979 quando Angela Carter pubblicava La camera di sangue (1979), raccolta e riscrittura delle più celebri fiabe occidentali, da La bella e la bestia a Biancaneve. Era così anche nel 2005 quando Margaret Atwood scrisse Il canto di Penelope, per raccontare l’Odissea dal punto di vista della moglie che attende per vent’anni, e non solo. È stato così anche in tempi molto più recenti con l’attenzione virale per il libri di Madeline Miller, La canzone di Achille e Circe, che devono tutto agli illustri esempi che sono venuti prima.

Come Circe stessa afferma nell’incipit di Miller – “nacqui quando ancora non c’era nome per ciò che ero” – così anche il retelling femminile e femminista esiste per dare un nome e una funzione alle donne dimenticate o incomprese dalla letteratura. Per porre nuove domande a testi antichi, e quindi renderli eterni.

 

Valeria VerbaroGiornalista

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide