L’antifascismo va in dissolvenza? Riceviamo e pubblichiamo una “lettera al Direttore”. Un “sindacalista dissidente” ci scrive sull’episodio accaduto alla Scala

"Per quale motivo, ancora oggi dopo 78 anni dalla caduta del fascismo, si ha timore di un grido che inneggia all’antifascismo?", si domanda il sindacalista che dà una lettura degli eventi con la lente di Gramsci. Con qualche rischio di una schematizzazione forse troppo rigida.

Caro direttore,

quel grido alla Scala, da parte di un loggionista, “VIVA L’ITALIA ANTIFASCISTA” può essere la punta dell’iceberg di una insofferenza, germogliata negli ultimi anni con gli esecutivi borghesi, figlia putativa del “Melonismo”?

 

 

 

 

Quell’urlo intendeva lodare, onorare, i nostri Padri Costituenti ed affermare che la nostra società è fondata sull’Antifascismo, così come sancito nella XII disposizione finale della Costituzione Italiana, che vieta la riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista.

Pur essendo inserita tra le disposizioni transitorie e finali, questa disposizione ha carattere permanente e valore giuridico pari a quello delle altre norme della Costituzione. Facendomi scudo attraverso una severa, ed attenta, lettura di ciò che scriveva un immenso intellettuale, come Antonio Gramsci, vorrei interpretare quanto è successo l’altra sera alla Scala di Milano.

E, se è possibile, desidererei meglio indagare quanto sta accadendo nel nostro paese dopo la salita al potere della destra (quella più estrema). Comprendere se l’esecutivo attuale è figlio dei governi che l’hanno preceduto. Intanto una domanda è d’uopo: per quale motivo, ancora oggi dopo 78 anni dalla caduta del fascismo, si ha timore di un grido che inneggia all’antifascismo? Tanto da spingere le autorità politiche, presenti in sala alla prima della Scala, a far intervenire, nientemeno che la Digos.

Ecco che ci viene incontro Antonio Gramsci: Che cos’era negli anni ‘20 il fascismo? Per Gramsci “il movimento delle camicie nere si delineava come un fenomeno in larga misura destituito di consistenza autonoma. Il fascismo, che talvolta Gramsci nel 1921 scrive tra virgolette — quasi ad alludere ad una sua presenza fittizia —, è una “rappresentazione”, ovvero una espressione teatrale, nella quale affiora “insurrezione dell’infimo strato della borghesia italiana, lo strato dei fannulloni, degli ignoranti, degli avventurieri” “Se qualcosa di sostanzioso c’è nel fascismo è solo il suo tratto violento che rivela una sostanza meramente delinquenziale”.

Continua Gramsci: “Non esiste una essenza del fascismo nel fascismo stesso”; “Fuori del terreno dell’organizzazione militare il fascismo non ha dato e non può dare niente, e anche su questo terreno ciò che esso può dare è molto relativo”; “La verità è che l’ideologia fascista è un trastullo per i balilla”.

E dirà ancora: “Il fascismo è “una pura organizzazione militare — molto ristretta anche come tale — completamente isolata dal paese”. Per non dire poi di Mussolini, che — siamo ancora al 1924 — non si accredita neppure delle doti più usuali del dittatore, del quale conserverebbe invece solo “alcune pittoresche pose esteriori”. Mussolini, scrive Gramsci, “non è un fenomeno della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alle storie nell’ordine delle diverse maschere provinciali italiane […]”.

 

 

 

 

Quest’ultima analisi di Gramsci sembra scritta oggi, e ci ricorda alcuni politici paesani. In Gramsci il fascismo appare come un semplice riflesso del sistema capitalista. Domanda: può oggi, allo stesso modo, il potere dominante essere un riflesso del sistema capitalistico attuale? Credo di Sì, per il semplice motivo che Meloni and Company ha introiettato tutto ciò che per almeno 25 anni i governi precedenti hanno realizzato in termini di inasprimento economico, sociale e culturale contro le classi lavoratrici. Con tratti, marcatamente, fascistoidi.

Vediamo gli attacchi contro i cortei degli studenti; le repressioni e precettazioni dei lavoratori in sciopero, e lo stesso porre in discussione quel sacrosanto diritto; l’abolizione dell’unico sostentamento economico per milioni di famiglie bisognose, come il Reddito di Cittadinanza; o ancora i condoni a favore di chi evade le tasse., ecc…

Ma ci aiuta sempre Gramsci, difatti non c’è passo degli scritti dei primi anni venti che non ci riconduca all’idea che il fascismo, ieri come oggi, che è un “giocattolo in mano alle forze economiche dominanti”. Dalla constatazione che il fascismo “non ha nessuna radice nell’economia” alla consolatoria affermazione secondo cui l’instaurarsi del regime dimostrava che “la politica è sempre in ritardo e in grande ritardo sull’economia”, sino all’identificazione nel fascismo di una sorta di nemesi dell’economia “sulle ideologie”: Tutti i fili convergono in un punto centrale. E cioè che il fascismo è una mera “etichetta”, una semplice espressione “tattica”.

Queste considerazioni ci conducono nei pressi di un punto cruciale del discorso su Gramsci e il fascismo negli anni venti, e ci aiutano a capire il presente. Diremo di più, ogni sforzo di Gramsci si dispiega in questo periodo nella prospettiva di stracciare il velo del fascismo per mostrare ciò che si cela dietro quella che altro non è se non una giustapposizione esteriore. Sotto e dentro il movimento delle camicie nere c’è la borghesia, il capitalismo, la democrazia borghese e nient’altro.

In particolare, l’identificazione tra fascismo, democrazia e dittatura borghese, se solo si scorrono le pagine gramsciane di questi anni, balza agli occhi che “Il fascismo — scrive Gramsci nell’estate del 1921 — è figlio spirituale di Giovanni Giolitti, è giolittismo del più schietto e sincero”. Come non leggere, anche qui, l’oggi, e cioè che il “Melonismo” sarebbe figlio putativo di chi ha desiderato, negli ultimi decenni – innanzitutto gli esponenti del centrosinistra – sdoganare e porre sullo stesso piano i repubblichini e i partigiani che hanno condotto la lotta partigiana antifascista? (foibe e sterminio nazista ci dicono qualcosa). Il fascismo toglie o aggiunge alcunché al regime democratico-borghese che, in sé stesso, già era una dittatura?”.

Il Parlamento è una sovrastruttura dello stato”, aveva aggiunto Gramsci, volendo chiarire che sia sotto le spoglie fasciste sia sotto quelle della democrazia ciò che contava era solo il nocciolo duro del sistema borghese. In definitiva, se la legalità già non esisteva quando ancora le camicie nere non erano comparse all’orizzonte e se il parlamento era sempre stato “una cosa morta”, quale mai poteva essere la radicale novità rappresentata dal fascismo?

Dunque, come non leggere in tutto quello che stiamo vivendo, come la logica conseguenza delle politiche borghesi dei governi moderati, e neo-liberisti, che sono venuti prima dell’attuale. I cattivi portatori di progetti revisionisti della nostra Carta Costituzionale, e contro la classe salariata, i pensionati, i disoccupati, gli studenti con ricette economiche fatte di tagli alla spesa sociale, e limitazione alle libertà individuali.

Pertanto, quel grido liberatorio alla Scala, da parte di un loggionista, “VIVA L’ITALIA ANTIFASCISTA” può essere la punta dell’iceberg di una insofferenza, germogliata negli ultimi anni con gli esecutivi borghesi.

 

Maurizio Maccagnano – Sindacalista dissidente

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