La Galleria di Eufemi, Franco Bonferroni: la Dc è ancora rimpianta. Martinazzoli e Castagnetti l’hanno liquidata con un fax

Ero forlaniano non fanfaniano. Fanfani, oggi ci vorrebbe un uomo come lui. Casini nel Pd? Adesso riflette la sua natura opportunistica. Fa una cosa che non farei mai! Cirino Pomicino? Un grandissimo presidente della commissione Bilancio. Andreatta uomo geniale ma anche strano: dimenticò la moglie nell’autogrill, si doveva sempre cambiargli collegio elettorale perché non ci andava mai.

Oggi incontriamo Franco Bonferroni, esponente Dc nella “rossa” Emilia cresciuto nella scuola politica di Giuseppe Medici.

Bonferroni (Reggio nell’Emilia, 10 ottobre 1938) è stato parlamentare per quattro legislature, tre alla Camera dei deputati e una al Senato della Repubblica e sottosegretario di Stato all’Industria, Commercio e Artigianato nel sesto governo Andreotti e al Commercio con l’Estero nel settimo governo Andreotti. Prima e dopo la esperienza politica e parlamentare negli anni Ottanta e Novanta ha avuto responsabilità manageriali sia nella comunità locale di Reggio sia in ambito nazionale.

Sto facendo una ricostruzione dell’impegno politico dei giovani negli anni Cinquanta e ho ritrovato nei preziosi  documenti storici  la tua partecipazione al convegno degli studenti nel 1957 al Sestriere in rappresentanza di Reggio Emilia  insieme  a Eugenio Chiessi. Era un convegno importante che ha visto tra i relatori Augusto Del Noce, Vincenzo Cappelletti. Vorrei approfondire.

Mi ricordo che c’era molto freddo. (In realtà era un periodo di fine agosto tra il 20 e il 23, ma per chi viene dalla pianura Padana e sale in quota 2035 sul Comune più alto d’Italia avverte la differenza climatica ndr). In particolare tra i relatori ricordo Giovanni Gozzer.

C’erano i responsabili giovanili come Andrea Borruso, Giovanni Garofalo e dei giornali studenteschi tra cui Nicola Bruni di Roma e Giovanni Grassi di Messina.

Sì, Giovanni  Grassi lo ricordo bene. Ero diventato presidente a Reggio Emilia del movimento studentesco  degli studenti medi ed eravamo partiti con Corrado Corghi, il professor Corghi era stato segretario provinciale della Dc ed era stato anche segretario regionale della Emilia Romagna. Era un personaggio colto, vivace, aveva carisma.

Su che posizioni politiche era?

Era di sinistra, ma veniva da Fanfani.

Molti  giovani facevano riferimento a Fanfani dopo la direzione di Franco Malfatti.

Sì, però Corghi era più vecchio di Malfatti. Era venuto prima. Corghi era fanfaniano e, allora, chi faceva un grande lavoro per Fanfani era anche Rumor.

Quando nasce iniziativa democratica!

Esatto.

Hai partecipato ai convegni di Faenza promossi da Achille Ardigó che erano stati molto propositivi?

No, non ho mai partecipato ai convegni di Faenza, perché essendo di Reggio Emilia ero della parte  ovest però ho sempre un grande ricordo di quei tempi.

Scrivevi sulla rivista del movimento giovanile?

No, ho fatto sempre un lavoro organizzativo molto forte, ma quei tempi e quelle iniziative sono state molto importanti nella formazione dei giovani e dico sempre che era una grande scuola, una palestra decisiva per far crescere le nuove generazioni.

Hai conosciuto e avuto rapporti con Bartolo Ciccardini, Luciano Benadusi e Celso de Stefanis?

Sì, Luciano Benadusi è stato mio grande amico per tanti anni e lo rivedrei anche volentieri. Lo andrei a cercare. Ero stato nella direzione del movimento giovanile. C’era un Ciolini di Firenze. Mattioli era un ragazzo colto e intelligente, aveva del fondamento. Poi Carlo Fuscagni.

Dopo questa esperienza al movimento giovanile quale strada hai percorso?

Mi sono messo a lavorare. Non sono mai stato consigliere comunale. Sono diventato il più giovane Presidente di Camera di Commercio, avevo poco più di trent’anni.

Chi erano i tuoi riferimenti politici a Reggio Emilia?

Il riferimento politico era Corghi e un certo Picchi. Dei parlamentari, ho lavorato con Giuseppe Medici, che è stato ministro dell’Agricoltura, del Bilancio, del Tesoro, della Pubblica Istruzione, della Riforma  della PA. degli Esteri due volte. Poi c’era Marconi, un uomo di grande carisma e prestigio, era stato un comandante partigiani, ufficiale medico e aveva fondato un ospedale – che c’è ancora – nel capoluogo dell’Appennino, Castelnuovo Monti. E aveva fatto un voto: Andava sempre con i sandali anche in inverno quando c’era un freddo terribile.

Poi come riferimenti vengo dalla sinistra.  Ero amico di Marcora e di Nicola Pistelli (scomparso prematuramente) che era animatore del rivista Politica.

Dopo questa esperienza con la Base hai cambiato posizione politica?

Ho seguito De Mita e Forlani quando hanno fatto il Convegno politico di San Ginesio. Avevo presentato una lista, Base Forlani, al congresso provinciale di Reggio Emilia, facendo irritare Fanfani! Ero amico di Sergio Ercini, e Bordino, vicino a Radi.

Dopo la Camera di commercio?

Sono stato membro di Giunta delle Camere di commercio per cinque anni, quando era presieduta da Degola che era diventato poi senatore, che prese al Senato il posto di Medici. Poi mi sono presentato alla Camera nel 1979 e sono stato eletto.

Hai partecipato alla battaglia per il capogruppo tra Gerardo Bianco e Giovanni Galloni?

Con Bianco avevo un bel rapporto. Guardavo alle iniziative di Bianco e di Segni con Proposta.

L’Emilia degli anni Sessanta e Settanta,  ed ora come sono state le trasformazioni del “modello emiliano”?

L’Emilia è sempre stata una regione forte dal punto di vista economico perché ha sempre avuto una meccanica forte e una agricoltura molto forte, basata su alcune produzioni particolari con il latte da cui derivava il formaggio parmigiano reggiano e aveva la vite con il vino Lambrusco nella parte nord e il Sangiovese nella parte sud.

E la barbabietola?

Era a Ferrara.

Beh è sempre Emilia! E la patata in provincia di Bologna?

Bologna è sempre stata una città importante dal punto vista culturale con una università molto rilevante.

Nella competizione con il sistema proporzionale com’ era la circoscrizione elettorale Modena Parma Reggio Emilia Piacenza?

Quando sono stato candidato la prima volta avevo le quattro province;  dovevo girare dal confine di Bologna al confine della Lombardia, verso Lodi. Erano circoscrizioni grandi. Bisognava fare tanti chilometri.

Facevi alleanze con altri candidati delle altre province?

Sì avevamo una alleanza e l’avevamo un po’ a sinistra di Ermanno Gorrieri che era il capo del gruppo di Donat Cattin, di Forze Nuove e poi c’era Casini che venne un po’ dopo di me perché Casini è stato eletto nel 1983. Andavamo molto d’accordo. Avevamo fatto un bel lavoro.

Ma adesso come lo vedi Casini nel PD?

Adesso riflette la sua natura opportunistica. Fa una cosa che non farei mai!

E le tue esperienze parlamentari?

Nel 1979 sono stato in commissione Industria per tutta la legislatura, c’era Emma Bonino, c’era Giorgio La Malfa e Massimo Cacciari.  Poi in quella successiva incontrai un giorno in Transatlantico Paolo Cirino Pomicino, che mi disse che si era liberato un posto alla commissione Bilancio “vieni con me alla Bilancio”. Risposi “vengo subito”. Mi ha portato là e devo dirti che è stato un grande Presidente. Lo ricordo come un grandissimo presidente della Commissione.

Che cosa ti rimane della esperienza parlamentare, di quattro legislature, tre alla Camera e una al Senato?

Mi rimane in mente il grandissimo servizio al territorio. Noi quando arrivavamo a casa il venerdì dicevamo: “adesso si va a casa e si comincia a lavorare”, perché ci riposavamo  più a Roma che a casa,  dove c’era un lavoro incessante; bisognava fare tutto, correre dappertutto. Dopo il Senato mi sono ritirato nel 1994 quando è finita la Dc.

Come l’hai vissuta la fine traumatica della Dc?

Se devo essere proprio esplicito devo dire che Martinazzoli e Castagnetti hanno liquidato la Dc con un fax; sono stati due pazzi. Ti rendi conto che la Dc è ancora rimpianta oggi, dopo trenta anni  a non da persone che hanno novanta anni, ma da persone che ne  hanno cinquanta, sessanta.

Secondo te l’hanno fatto in maniera strumentale?

Non l’hanno fatto in maniera strumentale, intanto non hanno riunito nessun organo. Non hanno consultato nessuno. Hanno deciso così perché (intanto passa la moglie e suggerisce) “hanno deciso così perché se la sono fatta nei calzoni!”).

Hanno avuto paura delle inchieste giudiziarie?

Certo. Hanno avuto paura.

Oggi si può dare una lettura diversa.

Certamente.

Chi ricordi di più di quegli anni, quelli del movimento giovanile o quelli che hai incontrato in parlamento?

Avevo un rapporto molto forte con tanti colleghi, tant’è che quando c’era qualche progetto di legge che si incagliava, non andava avanti e bisognava spingerlo, mi venivano a cercare perché avevo un modo di fare con i colleghi che riuscivo sempre a trovare la soluzione che scioglieva il nodo.

Un bel segno di stima!

Un segno che veniva riconosciuto. Intanto non perdevo le carte per la strada e quando  veniva un elettore che mi portava un appuntino di venti righe era sicuro che una risposta la riceveva. Era un metodo di lavoro.

Il Patto di San Ginesio8 patto generazionale tra Forlani e De Mita, ha portato risultati o ha fatto naufragare le speranze dei più giovani?

È stato produttivo perché era un salto generazionale che bisognava fare.

Però dopo nel 1983 ci fu una perdita elettorale di 6 punti. L’immissione di tanti consiglieri regionali ha svuotato le Regioni?

È vero;  al tempo della segreteria Fanfani nel 1958 la Dc portava in parlamento i segretari provinciali, poi dopo  San Ginesio venivano selezionate anche persone diverse, con maggiore apertura, con una classe dirigente buona, con gruppi parlamentari forti, forse le regioni hanno raccolto prevalentemente personale che veniva dalle organizzazioni di categoria.

Quali leader ricordi in sintonia con le tue sensibilita ?

Avevo un rapporto molto forte con Arnaldo Forlani. Ero forlaniano, non fanfaniano, ho un grande rispetto per Fanfani, un uomo così ci vorrebbe anche oggi. Ha fatto cose straordinarie, riforma agraria, piano casa, riforma della scuola, un grandissimo leader. Marcora  nei quaranta giorni della mia prima campagna elettorale è venuto a Reggio Emilia da ministro dell’Agricoltura, quattro volte per farmi la campagna. Mi ricordo che addirittura in un paese ha fatto un comizio in piedi su un carro agricolo che portava il fieno.

Avevamo dei personaggi.! Oggi quando devono sostituire un presidente del Consiglio non sanno dove voltarsi per trovare uno che sia in grado di farlo. Noi Dc ne avevamo quindici in grado di fare il presidente del Consiglio. Avevamo della gente di primissima qualità e di livello. Tutta gente che era maturata nelle Istituzioni in posizioni di responsabilità. Era gente che sapevano dove mettere le mani, che se dovevano cercare una carta, sapevano dove era.

E dei leader locali oltre il grande Medici, allievo di Serpieri chi c’era?

Quando abbiamo fatto la riforma agraria-  noi con il consenso, – abbiamo fatto tutto con il consenso, abbiamo fatto sparire il latifondo in regioni intere, creando una classe di persone che sapevano fare il loro mestiere, che conoscevano i problemi, che amavano la terra.

Andreatta come emiliano cosa ti lascia?

Andreatta era un uomo geniale, di grande cultura, peró era anche un personaggio strano. Ad ogni legislatura bisognava cambiargli collegio perché una volta eletto non si faceva più vedere e allora non ne voleva più sapere nessuno e bisognava cambiarlo una volta in un posto, una altra volta in un altro. Una volta lui parti da Bologna, diceva andare a Fiorenzuola d’Arda nel suo collegio quando sta per uscire dalla città e prendere l’autostrada,  lui si ferma per prendere qualcosa in un grill, sua moglie si allontana. Lui sale in macchina, riparte, si accorge che aveva lasciato la moglie  al grill quando era ormai a Parma. Hai capito? Questa cosa che ha fatto ridere tutti. Se ne parlava da tutte le parti. Un’altra volta quando non fu eletto,  l’avevano messo candidato nel Trentino; lui si presentava a fare le riunioni, si sedeva, voleva  avere una seggiola davanti su cui appoggiava delicatamente i piedi perché lui parlava alla gente tutto disteso, con i piedi sulla seggiola che gli mettevano davanti. La gente era infastidita. Diceva tu vieni qui a parlarci e ci metti in faccia i piedi!

A parte questi aneddoti,  Andreatta dal  punto di vista politico? Era inserito nella Dc? La Dc la sentiva, oppure no?

Lui poteva stare anche da un’altra parte.

Poteva stare nel partito repubblicano?

Sì, hai nominato proprio il partito giusto.

Ho frequentato Prodi, Cavazzuti  dal 1979, quando a Bologna si tenevano gli incontri trimestrali di  Prometeia, allora guidata da tuo cugino il Prof. Angelo Tantazzi che ricordo con grande stima.

Sì c’era tutto un mondo che si metteva in moto oltre le sedi universitarie in un collegamento con banche e imprese. Sono rimasto molto amico con Prodi perché è nato a Reggio come sono nato io; Prodi lo conoscevo da quando avevo tredici anni.

Avete la stessa età?

Non andavamo a scuola insieme, ma frequentavamo lo stesso ambiente parrocchiale.

Glielo hai dato qualche consiglio politico?

Con Prodi ho il dialogo anche se non l’ho mai votato. Lui lo sapeva e non m’ha mai posto un problema. Noi parliamo con grande franchezza di tutte le cose.

Come spiriti liberi?

Non l’ho mai votato, quando si presentava qui alla Camera,  perché portava avanti delle cordate che non erano la mia, ma se fosse stato possibile portarlo alla Presidenza della Repubblica l’avrei votato sicuramente perché quando siamo stati lì che si parlava di questo, quello che potevo fare per lui l’ ho fatto.

Però l’hanno tradito quelli del suo stesso partito.

Certo.

I consigli li accettava?

Sì, stava sempre ad ascoltare.

L’esperienza di governo come è stata?

Il mio ministro è stato il repubblicano Adolfo Battaglia.

Quindi hai seguito la riforma dell’artigianato.

Sì tutti i problemi della piccola e media impresa, l’acciaio, l’antitrust. Quando divenni sottosegretario andai da Battaglia a presentarmi e gli ho detto. “So che nei ministeri comandano i Ministri. Non pensare che io venga qui ad inventarmi cose nuove. Farò quello che tu mi dirai di fare e se il mio partito non sarà d’accordo farò lo stesso quello che ti deciderai di fare perché il Ministro sei tu”. Mi ha dato moltissime deleghe compreso il CIPE.

E con questo momento di rispetto istituzionale terminiamo questo colloquio che parte dagli anni Cinquanta ai tempi più recenti insieme al ricordo di tanti personaggi emiliani e nazionali. 

 

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