L’Arel ha pubblicato una bella monografia su Nino Andreatta con ricordi, analisi e documenti inediti a 25 anni dal suo “silenzio”. I contenuti della pubblicazione hanno stimolato la memoria e la lettura di documenti su vicende lontane. Nella ricchezza della documentazione ho trovato alcuni “vuoti”.
Particolarmente interessanti sono gli appunti inediti di Andreatta a Moro, presidente del consiglio del bicolore Dc-Pri a metà degli anni settanta sulla fiera di Foggia, sul vertice internazionale di Rambouillet, sulla crisi di governo, sulle elezioni.
Una lettura sinottica con gli scritti e i discorsi di Aldo Moro, consente di verificare ciò che Moro ha utilizzato, integrato, smussato, perfezionato.
Gli scritti di Andreatta rappresentavano una notevole piattaforma che ha subito l’integrazione delle valutazioni politiche e il linguaggio di Moro capace di calarsi sugli avvenimenti con la sua visione d’insieme, con la sua sensibilità e anche con l’ausilio di altri soggetti nonché delle strutture ministeriali e politico-diplomatiche della presidenza del consiglio.
Sei stesure e due telex
Nel caso del discorso di Rambouillet esistono due stesure compreso un appunto manoscritto del ministro del tesoro Colombo. Nel caso del discorso di Foggia sono recuperabili ben quattro stesure del discorso di cui una manoscritta di Moro di 21 pagine, su carta intestata presidente del consiglio, due telex a tarda sera contenenti un discorso del professor Andreatta.
Per il discorso alla Camera sulla crisi di governo Moro del 28 aprile 1976 ci sono tre stesure del discorso (molto tormentato ed elaborato come dimostrano i tagli, le aggiunte e le profonde ed incisive correzioni) di cui una manoscritta di Moro di 44 pagine e una stesura parziale; copia fotostatica di un testo inviato da Andreatta a Manzari capo di gabinetto di Moro.
Come non ricordare che come consigliere del periodo 1963-1968 Andreatta era favorevole al doppio incarico Premier – segretario di Partito , sempre per influenza british, mentre Moro molto saggiamente, conoscendo le dinamiche interne della Dc, non avanzò mai quella proposta come ha scritto Leopoldo Elia su Andreatta istituzionale nel 2007. E come hanno storicamente dimostrato gli insuccessi di Fanfani e De Mita.
I mancati riscontri
Nella monografia non ho trovato riscontri a due momenti culturalmente rilevanti come il II convegno di San Pellegrino, tenutisi con Moro segretario politico, in una fase in cui si voleva fare uscire l’economia da una situazione di improvvisazione per inquadrarla in un serio piano di sviluppo.
Andreatta svolse una relazione importante sul tema Pluralismo sociale, programmazione e libertà, 1963); affronta il rapporto tra pianificazione e pluralismo come fatto culturale, con idee innovative nell’uso dello strumento fiscale come allargamento della contrattazione alle attività culturali e sociali delle aziende.
Parole che ipotizzano una radicale trasformazione dei rapporti all’interno del mondo del lavoro. La situazione italiana non poteva durare più a lungo e “richiede l’invenzione di altri schemi”.
Così come non trovo cenno all’importante ruolo svolto da Nino Andreatta al convegno economico di Perugia del dicembre 1972 di cui fu protagonista con Saraceno Lombardini, Giancarlo Mazzocchi che Carli poi interpretò come “manifestazione di complessi di colpa”.
Eppure quella relazione era fortemente carica di significati politici con i riferimenti alla rivista Cronache Sociali di cui Andreatta si faceva interprete del rigore delle argomentazioni, della permanente validità di talune critiche, la partecipazione al contemporaneo lavoro di ammodernamento della allora giovane generazione degli economisti accademici, le stesse intemperanze delle fervide e ingenue convinzioni keynesiane fino a “rimpiangere la sconfitta politica del gruppo che l’aveva promossa” addebitando a De Gasperi lo “sproporzionato peso attribuito nelle decisioni economiche a personalità di ideologia liberista”.
Cronache Sociali era contro “il mito della deflazione benefica e risanatrice” lo sviluppo avrebbe potuto essere forzato se non fossero state presenti le preoccupazioni sulle “compatibilità finanziarie”. C’erano due diverse teorie economiche e due modi di organizzare il disegno della politica economica.
C’era l’idea dossettiana di una unità di comando che trovasse il suo centro di ideazione nell’ufficio economico del partito e il suo braccio operativo in una equipe di ministri affiatati e intellettualmente omogenei. Andreatta evidenzia il mito della sconfitta degli uomini e delle teorie di “cronache sociali” che aveva lasciato un vuoto nel dibattito sulla politica economica che il generoso tentativo di Vanoni nel 1954 non era riuscito a riempire. Riscontrava in Europa strutture per garantire unità di comando, in Italia dispersione in diversi centri decisionali.
Conclude con l’auspicio di riscoprire un’altra dimensione della programmazione non solo come scenario del futuro ma anche come presupposto di una efficace politica a breve termine che ci permetta di combattere la deflazione e la disoccupazione.
Oltre l’analisi
L’attenzione che Andreatta pone a Cronache sociali acquista un significato che va oltre la dotta analisi economica che viene posta sulle linee dello sviluppo e le indicazioni per realizzarlo. Purtroppo arriverà nel 1973 il primo shock petrolifero che quintuplicherà il prezzo del petrolio generando inflazione da costi, con effetti sul manifatturiero, con crisi delle Ppss, abbandono della industrializzazione forzata al Mezzogiorno e necessità di una profonda ristrutturazione industriale.
Per dare una dimensione dell’evento: 68 testate hanno pubblicato 242 articoli di cui molti in prima pagina dei grandi quotidiani nazionali, 4 giorni di lavoro, 7 relazioni generali 31 interventi in Assemblea generale e 102 nei gruppi di lavoro. Giorgio la Malfa commentò su Il mondo, Luciano Barca su Rinascita e padre G. De Rosa su Civiltà cattolica, con un saggio di dieci pagine.
Poi per iniziativa di Gerardo Bianco, presidente del Gruppo, ma anche socio dell’Arel, nel 1980 si aprì un dibattito sulla elaborazione di Perugia due e l’Arel predispose un ricco documento di analisi sugli antefatti e sui dieci anni di politica economica. Fu un dibattito aperto a vasti contributi.
E come dimenticare l’azione svolta dall’Arel attraverso la sua componente parlamentare (in origine erano 39 tra deputati e senatori e tra essi Roberto Mazzotta, Mario Segni, Filippo Pandolfi, Gianni Goria, Gerardo Bianco, Franco Grassini, Mario Usellini, Marino Carboni, Siro Lombardini, Francesco Mazzola, Emilio Rubbi) come strumento di confronto aperto sull’attualià dei problemi sui processi economici e sociali, sull’agenda dei problemi per determinare coerenti scelte legislative e per recuperare la economicità di gestione negli enti di gestione delle partecipazioni statali rimuovendo i cosiddetti oneri impropri dopo la stagione dei salvataggi.
Andreatta in una specifica occasione al Leonardo Da Vinci, da ministro per gli incarichi speciali disse che “non dovrebbero essere più consentiti trasferimenti di risorse da aziende sane a aziende malate pratica frustante per manager di successo e destabilizzanti per l’intero sistema. È più opportuno valutare caso per caso gli oneri impropri ma tenendo i fondi di dotazione al minimo, aumentando il ricorso ai capitali privati e destinando ad hoc gli interventi che hanno peso sociale”.
Competizione internazionale senza conflitto
Posso aggiungere il contributo rilevante dato da Nino Andreatta nella realizzazione della importante iniziativa su Europa Giappone Stati Uniti competizione senza conflitto.
Con Umberto Donati, uomo di fiducia di Umberto Agnelli, incontrammo Andreatta al ministero del tesoro per definire la struttura del seminario dei gruppi parlamentari realizzato in comunione con l’Arel.
In ultimo vorrei ricordare il convegno alla Camilluccia nel febbraio del 1993, in cui Andreatta nel pieno delle energiche manovre finanziarie per il riequilibrio dei conti pubblici dopo la tempesta monetaria e nella fase piena dell’azione delle procure, richiamò la necessità di affrontare le difficoltà con il braccio legato della politica di bilancio.
Mi fermo qui anche se potrei aggiungere altro. Non mancherà occasione per tornare sopra le esperienze e le fasi del primo Andreatta economista keynesiano sostenitore del deficit spending e del secondo Andreatta monetarista, non della scuola di Chicago.
Quelli ricordati sono stati punti rilevanti dell’Andreatta accademico, pre-politico che come economista-protagonista offriva linee interpretative rispetto alle dinamiche socioeconomiche della società italiana.
L’Andreatta politico
L’attenzione poi si è rivolta al rapporto Andreatta con la Dc, con i gruppi parlamentari dal 1976 al 1994. Come dimenticare che con Piccoli segretario e Riccardo Misasi responsabile economico prima della elezione di De Mita, in collaborazione con Arel e i gruppi parlamentari tra febbraio e aprile del 1982 si tennero i rilevanti 4 seminari verso Perugia due, in 4 città diverse: Milano, Bari, Torino e Roma, ciascuno su un argomento diverso (finanza, internazionalizza zione, fattori di sviluppo, welfare e controllo) che hanno trovato una collocazione a parte, pressoché solitaria in “discorsi di un inverno” . Si trattava invece di una grande mobilitazione culturale partito-gruppi-governo, in cui Andreatta era chiamato a chiudere i lavori come ministro del tesoro insieme al segretario politico.
Al VI seminario di politica estera a Montecatini marzo 1990 – promosso da Enzo Scotti – da presidente della commissione Bilancio, partecipa al confronto su “Europa senza dogane e senza muro” con Carli, Delors, Colajanni, Arcelli, Goria e il premio Nobel Lawrence Klein e Abel Agambeyan rettore della Accademia delle Scienze dell’Urss.
La complessità del personaggio di cui nessuno mette in dubbio la straordinari intelligenza impedisce una lettura agiografica mentre sarebbe preferibile un metodo storiografico.
Il ricordo di De Rita
Ecco perché in una raccolta di così vasti contributi ho apprezzato il racconto di De Rita che non ha fatto mistero delle temporanee personali tensioni poi superate. De Rita ha l’età e una storia che gli consentono di non avere remore.
Da parte mia ho letto con particolare interesse gli scritti di Romano Prodi, Angelo Tantazzi, Innocenzo Cipolletta, Paolo Onofri, dunque gli accademici che hanno accompagnato Nino Andreatta per un lungo tratto della loro vita piuttosto che i “politici” in senso stretto. E mancano per esempio purtroppo le interpretazioni critiche di Filippo Cavazzuti e di Mario Sarcinelli sul cosiddetto “divorzio” che non tolgono nulla ad un rapporto di amicizia e di rispetto.
Mancano poi le voci di tanti personaggi politici sia dc sia di altre aree politiche. Penso a Calogero Mannino che fu sottosegretario al tesoro con piena delega al parlamento e ai problemi del Mezzogiorno gestendo in una aula tumultuosa, una legge finanziaria ancora agli albori e perciò particolarmente complicata, nonostante le effervescenze regolamentari pannelliane e le insidie del voto segreto.
Il voto palese sarà introdotto per le leggi di spesa soltanto nel 1988.
Tutto ciò consentiva ad Andreatta di sottrarsi a faticose estenuanti trattative sia con la opposizione del Pci sia con le irrequietezze conflittuali della sua maggioranza, il psi, sia con le sollecitazioni più disparate del suo stesso partito.
Non va dimenticato che Nino Andreatta sul Bilancio aveva uno stile British, anche frutto dei suoi studi Kaldoriani a Cambridge. Era un propugnatore del ripristino della Sala della maggioranza di Quintino Sella, quello dell’ottocentesco pareggio di bilancio a via venti settembre con il significato di ricomporre le tensioni interne. Poi riteneva che i saldi di bilancio dovessero essere votati all’inizio della manovra, all’articolo uno anziché alla fine del percorso parlamentare così da eliminare ogni trattativa e ogni pericolo di sfondamento dei saldi finanziari sia con l’opposizione che con le spinte della maggioranza.
Votare i saldi finanziari all’ Articolo 1 significava raggiungere subito l’obiettivo politico e non una somma algebrica posta alla fine dell’articolato. Poi voleva i fondi globali asciutti e che nulla dei fondi globali fosse assegnato alla opposizione. I fondi globali dovevano servire solo alla necessità di investimento e non a finanziare la spesa corrente.
L’unità come bene supremo
I politici fanno fatica a raccontare la verità fino in fondo soprattutto per un uomo della straordinaria intelligenza di Nino Andreatta che avendo capito perfettamente il meccanismo della legge elettorale uninominale e i suoi effetti (lo spiegò ai gruppi parlamentari riuniti alla Camilluccia in una giornata di full immersion del febbraio 1993) sapeva benissimo che sarebbe finita l’unità della Dc, quella unità sempre perseguita dai grandi leader come De Gasperi, Fanfani Moro. E come invece volevano i teorici dell’ esaurimento del ruolo storico della Dc da Pietro Scoppola a Rosy Bindi da Padre Pintacuda a Bartolomeo Sorge dalla Lega democratica alla Rete.
La unità come bene supremo è il coraggio di mettersi da parte in attesa di resurrezione come seppero fare appunto Fanfani e Moro.
Ecco perché Andreatta forza la mano e costruisce con la candidatura di Romano Prodi, l’Ulivo, realizzando il grande disegno politico che però aveva bisogno di grandi interpreti e che muore quando questi non ci sono più.
Meno male che qualcuno, oggi, organizza comitati per intitolare il palazzo dei congressi ad Alcide de Gasperi, che per contrappasso della storia fu proprio il luogo dove si consumò la fine della Dc con una convention e non con un congresso statutario come sarebbe stato necessario, ponendo fine a quella unità strenuamente, tenacemente perseguita per cinquanta anni.
Maurizio Eufemi – Già senatore nella XIV e XV legislatura