Israele torna lentamente alla normalità dopo l’annuncio della tregua con la Jihad islamica mediata dal presidente egiziano, Abdel Fatah al-Sissi, e dall’Emiro del Qatar, Tamim Bin Hamad al Thani. Oltre 1.200 razzi lanciati dalla Striscia di Gaza verso Israele. Più di trecento siti della Jihad Islamica colpiti dagli israeliani. Nei raid 33 palestinesi sono rimasti uccisi, 147 i feriti. In Israele, due morti, uno dei quali, un manovale di Gaza, impegnato in una azienda israeliana a breve distanza dalla Striscia. È il bilancio dell’operazione delle Forze di difesa israeliane (IDF) ̶ denominata “Scudo e freccia” e iniziata lo scorso 9 maggio ̶ contro gli obiettivi della Jihad Islamica nei territori occupati dai palestinesi.
Gli scontri sono iniziati con la morte in carcere, lo scorso 2 maggio, di Khader Adnan, leader della Jihad Islamica in Cisgiordania, in sciopero della fame da 87 giorni. L’uomo, arrestato 12 volte, aveva trascorso quasi otto anni nelle prigioni israeliane. La morte di Adnan incrina ulteriormente le relazioni tra israeliani e palestinesi, già precarie dopo la formazione, lo scorso 29 dicembre, del governo nazionalista del leader del Likud, Benjamin Netanyahu. Nel blocco quadripartitico di destra, infatti, oltre al Likud, troviamo il Partito Sionista Religioso (che unisce il sionismo all’ultranazionalismo) guidato dal ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich; il Giudaismo Unito nella Torah (che si propone di tutelare gli interessi del conservatorismo e degli ultraortodossi) con a capo il viceministro della Sanità, Yaakov Litzman, e il Shas (che vuole tutelare gli interessi degli ebrei ultraortodossi), guidato da Aryeh Deri.
Partiti nazionalisti e conservatori, con all’interno esponenti che rifiutano l’idea di uno Stato di Palestina e che puntano all’annessione della Cisgiordania e al pieno controllo israeliano della Striscia di Gaza.
Cosa c’è dietro l’operazione “Scudo e freccia”
L’operazione dell’IDF sembra essere un monito a Hamas (gruppo paramilitare palestinese, fondamentalista di estrema destra, islamista e sunnita, considerata organizzazione terroristica da Unione europea e Stati Uniti), che, stando a quanto ricostruisce il giornale Israel ha-Yom, vuole organizzare disordini in occasione della Giornata di Gerusalemme (il prossimo 28 maggio), in cui si celebra la presa israeliana dei quartieri orientali della città (popolati prevalentemente da palestinesi) durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967.
Il leader di Hezbollah (partito paramilitare, islamista sciita e antisionista libanese), Hassan Nasrallah, ha criticato duramente il primo ministro Netanyahu: “Ha attaccato Gaza nel tentativo di sfuggire alle divisioni interne” in Israele “e assistere allo scioglimento della sua coalizione”.
Il Paese, infatti, vive un periodo complesso, diviso tra chi vuole mantenere lo stato laico e sionista e gli ortodossi che, invece, vogliono imporre l’halakhah (la Legge ebraica). A ciò va aggiunta la crisi innescata dalla controversa riforma della magistratura ̶ avanzata da Netanyahu, sotto processo per corruzione e altri reati ̶ e che mira a ridimensionare il peso e l’indipendenza della Corte suprema. La proposta di riforma, il cui iter di approvazione è stato congelato dopo le recenti proteste di piazza, intende concedere maggiori garanzie e poteri al governo e al primo ministro e affida nuove materie ai tribunali rabbinici (le corti religiose ebraiche).
Israele e l’Asse della Resistenza araba
Le posizioni del governo di Netanyahu fanno aumentare l’insofferenza araba nei confronti di Israele. Mentre in Cisgiordania, negli ultimi mesi, sono nati nuovi gruppi di militanti, formati dai palestinesi delusi dall’inerzia della leadership dell’Autorità nazionale palestinese, l’Anp; Hamas e la Jihad islamica stanno lavorando per ricostruire la fornitura di razzi, aiutati dal sostegno economico di Iran e Hezbollah. Teheran, infatti, stando a quanto dichiarato nei giorni scorsi dal ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, oltre a fornire conoscenze e armi strategiche, finanzia il movimento di Hezbollah con 700 milioni di dollari all’anno.
Difficili anche le relazioni tra Israele e Russia. Il Cremlino nei giorni scorsi ha organizzato un vertice con i ministri degli Esteri di Turchia, Siria e Iran. Al centro dei colloqui i rapporti tra Ankara e Damasco, ma anche il piano del presidente russo Vladimir Putin per il Medio Oriente e i progetti di Teheran contro lo stato ebraico. Differente è la posizione formale di Mosca, che ufficialmente ha invitato Tel Aviv ad astenersi da iniziative conflittuali, ribadendo l’importanza di onorare lo status quo dei luoghi santi di Gerusalemme e a rispettare i diritti religiosi tra Palestina e Israele.
Le monarchie arabe del Golfo Persico, invece, hanno criticato le insistenti dimostrazioni di forza del governo israeliano.
L’inerzia degli Stati Uniti e i rapporti tra Israele e Unione europea
Nei recenti attacchi ai territori occupati è emerso, infine, un dato significativo: l’inerzia dei presunti alleati regionali e internazionali del regime israeliano, in particolare degli Stati Uniti, che mal tollerano la svolta radicale e oltranzista del governo di ultradestra israeliano. I rapporti tra Washington e Tel Aviv – come rivela l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Ispi – “si sono raffreddati da quando il sito di Intelligence Online ha pubblicato una nota per sottolineare la possibile alleanza tra il Group 42 di Abu Dhabi, le infrastrutture cinesi nel campo digitale e le imprese tecnologiche israeliane”.
Anche l’Unione europea, infine, ha definito come “intollerabile” il bombardamento indiscriminato della Striscia di Gaza da parte di Israele. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell, ha chiesto di ridare vigore a un processo di pace, apparentemente sempre più distante. Dura anche la reazione della rappresentanza Ue in Israele, che ha cancellato la cerimonia diplomatica, prevista lo scorso 9 maggio, in occasione della festa dell’Europa alla quale avrebbe dovuto partecipare il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir. “Sfortunatamente – si legge sul profilo Twitter della rappresentanza Ue – abbiamo deciso di cancellare il ricevimento diplomatico poiché non vogliamo offrire una piattaforma a qualcuno le cui opinioni contraddicono i valori rappresentati della Ue”.
Complessi, inoltre, i rapporti tra Anp e Ue, dopo che lo scorso 26 aprile la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel celebrare il giorno dell’indipendenza di Israele, ha dichiarato: “Settantacinque anni fa si è realizzato un sogno. Dopo la più grande tragedia della storia dell’umanità (l’Olocausto, n.d.r.), il popolo ebraico poteva finalmente costruire una casa nella Terra Promessa. Oggi celebriamo 75 anni di vibrante democrazia nel cuore del Medio Oriente. Settantacinque anni di dinamismo, ingegno e innovazioni rivoluzionarie. Avete letteralmente fatto fiorire il deserto”. Il ministro degli Esteri dell’Anp, Riyad al Malki, ha definito queste affermazioni “razziste”, in quanto la frase “far fiorire il deserto” è comunemente “usata da Israele per sostenere la posizione che quella terra fosse in precedenza disabitata”. Secca la replica della Commissione, che ha parlato di “dichiarazione inappropriata”. Per al Maki le affermazioni di von der Leyen minano “la posizione dell’Ue e gettano seri dubbi sul suo dichiarato impegno nei confronti del diritto internazionale e dei diritti umani”.
Punti di vista diversi e spesso in contrasto. Un visibile affermarsi di estremismi, che poggiano le basi sul dualismo nazionalismo e religione. Il destino di Israele dipende da come politica e singole parti in gioco riusciranno a fare sintesi e a districare la matassa di un filo che si intreccia vorticosamente da oltre 4mila anni.
Gabriele Crispo – Giornalista