Professor Saitta, la Consulta ha dato l’ok alla costituzionalità dell’autonomia, ma ha ritenuto illegittime sette disposizioni su undici. Professore, lei che è uno dei legali ad aver depositato il ricorso ad agosto, puntava ad ottenere questo risultato?
Assolutamente sì. Con questa decisione la Corte ha annullato 7 articoli di legge su 11, mettendo al tappeto la legge ed affermando che il regionalismo differenziato si può fare, ma nel quadro della forma di Stato italiana, per ridurre i divari e favorire solidarietà e integrazione. È stata ribaltata totalmente la prospettiva di un “regionalismo competitivo” al quale si ispirava la legge.
Quali sono stati gli aspetti principali ritenuti non in linea con la Carta?
Innanzitutto, la Corte ha chiarito che, alla luce del principio di sussidiarietà, la devoluzione di materie deve riguardare specifiche funzioni legislative e deve essere giustificata in relazione alla singola Regione. Non si potranno quindi trasferire intere materie, com’era tra l’altro in corso con le iniziative di Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, ma solo degli “spicchi”. Le faccio due esempi.
Prego.
Alla Toscana, che è l’unica regione italiana in grado di produrre energia geotermica, si potrà, per esempio, dare l’autonomia sulla geotermia, ma non su tutta l’energia, perché altrimenti significherebbe aprire a venti politiche energetiche differenti. Oppure, se una regione ha una variazione dialettale, tipo la Calabria grecanica o una comunità albanese, potrà ottenere la tutela delle minoranze linguistiche, ma non l’intera istruzione per fare un diritto scolastico a sé.
La Corte ha inoltre stabilito che non può occuparsene solo il governo.
Questo è un tema fondamentale, dal momento in cui vi era un palese tentativo di esautorare il Parlamento. La Corte ha, infatti, stabilito che anche dopo un accordo tra la singola Regione e il Governo, il Parlamento potrà modificarlo. Ma l’aspetto più importante è quello che riguarda la determinazione dei Lep, che ora dovranno essere stabiliti, sulla base dei costi standard e non della spesa storica, con una legge dal Parlamento e non con un decreto del Presidente del Consiglio.
Qual è, quindi, il limite più grosso della Legge Calderoli?
La logica di aumentare i divari anziché ridurli, e la Corte, su questo punto, dà un segnale inequivocabile. L’autonomia fu scritta in Costituzione per superare le questioni storiche che ci portavamo dietro dall’Unità, non per acuirle e consentire ad una parte dell’Italia di correre e all’altra di rimanere al palo.
A questo punto, il referendum popolare promosso dalla Cgil e dalle forze politiche di opposizione è superato?
Per sapere questo bisognerà aspettare le motivazioni che arriveranno entro il 21 dicembre (data in cui scadrà il mandato del Presidente Barbera e di altri due giudici costituzionali) e che permetteranno di capire cosa sopravvive, perché, se l’oggetto del quesito è ancora sussistente si valuterà, diversamente il referendum sarà a rischio.
Cosa accadrà ora?
Non so come si muoveranno Governo e maggioranza e non spetta certo a me esprimermi su questo. Credo che faranno le loro valutazioni, anche perché non penso fossero tutti convinti di questa impostazione. Sicuramente i rilievi posti dalla Corte saranno difficilissimi da superare e sarà necessaria un’opera di riscrittura profonda. Perché ripeto, l’autonomia si può fare, è scritta in Costituzione, ma deve avere il fine di avvicinare le Regioni e non allontanarle come prevede l’attuale testo.