Se non altro c’è di buono che il 2025 non ha bisogno di astrologi, indovini e cartomanti. Le premesse sono già squadernate su tavoli e tavolini della storia: il 2025 sarà l’anno della realtà, che prescinde da eventuali narrazioni più o meno consolatorie, ideali, ideologiche. Il prossimo presidente Usa, Donald Trump inaugura l’anno con una conferenza stampa nel suo quartier generale di Mar-a-Lago e parla di possibili acquisti/annessioni di Groenlandia, Canada, Canale di Panama, scatenando smentite da parte dei governanti interessati.
Ma non è importante se e quanto le ambizioni trumpiane siano realizzabili o quanto siano una versione dei botti di capodanno in formato tycoon. L’aspetto pubblicitario è irrilevante.
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Lo sapeva già Romolo
La cosa notevole semmai è che Trump parla di pertinenze territoriali, in breve di geografia. Non dicendo niente di particolarmente originale, tra l’altro, ma rivelando quello che qualsiasi politico sa dai tempi di Romolo: lo stare al mondo di uno stato è innanzitutto nella dimensione geografica. Espansioni territoriali, stati cuscinetto, “corridoi”, spesso anche gli aspetti più astratti e ideologizzabili e collegabili a mitologie e narrazioni anche nobili, sono espressione di questa verità elementare che accomuna la fisiologia animale e le ambizioni collettive. La sicurezza fisica. Gli organismi collettivi come articolazione della “vescichetta” di cui parla Freud in Al di là del principio di piacere.
E il ritorno della storia con i suoi amarissimi corollari a cui stiamo assistendo da almeno un paio d’anni rafforza questa interpretazione. L’invasione russa in Ucraina che finirà in un “congelamento” o in una pace. La tensione Cina/Taiwan/Usa. L’inestricabile questione palestinese con le sue esondazioni in altre zone del Medio Oriente. E il ritorno di importanza del Mediterraneo “allargato” come “contenitore di conflitto” (questa la famosa definizione della scuola degli Annales).
La durezza della storia
Sono tutti elementi che hanno la durezza della storia, e che da un po’ ci sembrano vicinissimi, molto più di quanto ci sembrassero vicine le guerre dei decenni passati, compresa quella davvero alle porte di casa, nella ex Jugoslavia. Erano gli anni Novanta, sembrano passati eoni.
Questa rinnovata consapevolezza della storia, anche nei suoi risvolti più duri, si vede bene anche nella fame informativa su questi argomenti. Con il ritorno della Storia torna una disciplina “fredda” come la geopolitica. Al di là del successo delle pubblicazioni che già se ne occupavano, come Limes di Caracciolo a cui poi si è aggiunta Domino di Fabbri i canali new media che si occupano dell’argomento sono tanti, a volte ben fatti, e raccolgono milioni di follower.
È il vero fenomeno editoriale degli ultimi uno o due anni. Il grande successo del podcast di Cecilia Sala, che è appena stata liberata dal carcere di Evin grazie a un lavorio diplomatico andato a buon fine è ulteriore testimonianza del fenomeno.
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L’anno del Mediterraneo, non del Toro
Il contesto generale è questo, meno narrazione, meno ideologia, più (dura) realtà. E le domande che dobbiamo farci in quanto appartenenti a una collettività, a uno stato (a una “nazione” come ama dire Giorgia Meloni) che è nella storia, tra l’altro in una posizione geografica prestigiosa ma scomoda, si pongono da sole: dobbiamo riarmarci? Quali rapporti intratteniamo con i poteri degli stati che si affacciano sul Mediterraneo? Come funziona, a livello di scabra praticità il nostro stare al mondo? Il che è un tantino più importante che sapere se il 2025 sarà davvero l’anno del Toro.
Bruno Giurato – Giornalista