Il reddito di base contro le insidie dell’Intelligenza artificiale. Paghino i colossi del web

Quel che succede in Europa e nel mondo

Con l’intelligenza artificiale che rischia di eliminare il 30 per cento dei posti di lavoro nel mondo, il salario per tutti  è molto più dell’ ‘utopia’ di cui parla Beppe Grillo. In casa Cinque Stelle lo nominano a bassa voce, ancora scossi dall’abolizione del reddito di cittadinanza. Pronunciare la parola “reddito universale di base” – una somma di denaro data a ogni cittadino senza condizionalità o paletti, per di più cumulabile con altre retribuzioni – è troppo, fa paura: specie quando la morale dei tempi giudica la povertà una colpa e i percettori di moneta pubblica come  ‘divanisti’.

In Europa, come spesso accade, il vento spira in direzione contraria: la Francia – tanto per rimanere a un Paese latino – offre ai poveri un sussidio, senza limitazioni temporali, che varia dai 565,34 ai 1187,21 euro. Oltre le bocche di Bonifacio c’è poi la Catalogna, cuore del più grande esperimento europeo di paga minima: per due anni 5000 persone riceveranno 800 euro al mese incondizionatamente e potranno utilizzare il denaro per qualsiasi scopo.

È appena il caso di ricordare – è l’esempio più citato al mondo – che in Alaska più del 90 per cento della popolazione porta a casa una retribuzione finanziata dalle entrate petrolifere di Stato: la misura, che non richiede né patenti di povertà né disponibilità a lavorare, ha il pieno sostegno della popolazione residente. Da quando è stata introdotta, gli studi hanno evidenziato una forte riduzione dei livelli di povertà e un maggiore stimolo all’economia. In Finlandia duemila persone hanno guadagnato 560 euro mensili per un anno: dal progetto pilota risulta che i beneficiari, oltre a risparmiare sulle spese sanitarie, tendevano a lavorare di più e meglio (incrementando sia il tasso di produttività sia di occupazione).

Il merito – parola dei ricercatori che hanno scritto ‘Reddito di base. Liberate il XXI secolo’ – è di un circolo virtuoso che coinvolge i fondamentali dell’economia: la domanda di beni sale, classica conseguenza keynesiana di politiche espansive, e l’offerta di lavoro si arricchisce. Le persone, finalmente libere dal ricatto economico, inseguono i loro sogni e investono sulle loro attitudini: fanno quello che sanno fare e lo fanno meglio e con più passione. D’altronde la somma non è così alta da disincentivare la ricerca di un lavoro, ma neanche così bassa da costringere ad accontentarsi della schiavitù.

In Europa e negli Stati Uniti, anche laddove non zampilla il greggio, esiste una miniera d’oro da cui pescare a piene mani i finanziamenti necessari: il risparmio per sanità e sicurezza, le rendite, i movimenti di capitali ma soprattutto i profitti delle grandi imprese tecnologiche. Basti pensare – limitandoci al caso italiano del 2019 – che il colosso Amazon, a fronte di un fatturato di 4,5 miliardi di euro, ha lasciato nelle casse del Fisco tricolore 11 milioni, mentre la piattaforma Netflix ha pagato appena seimila euro di tasse.

Può essere utile richiamare alla memoria che questi capitalisti 4.0 guadagnano grazie alla ricchezza prodotta dalla nostra vita: un precario o un disoccupato – che fornisca informazioni su App o servizi web – cede gratuitamente dati che sono rivenduti a scopi pubblicitari, promozionali, di sicurezza.

Il reddito di base garantito – diversi teorici lo hanno detto in modo esplicito – è una retribuzione per le nostre attività inconsapevoli, per i nostri like, per i nostri commenti sul web.

Il nazionalismo, la chiusura nel giardino di casa, il campanilismo impediscono di regolamentare attività fluide che – onde sfuggire alla legge del dumping – necessitano di regole universali.

Tutto questo mentre una rivoluzione – dopo quella industriale e digitale è il momento di quella tecnologica- modifica la struttura dell’economia, non risparmiando alcun impiego (a eccezione di alcuni ad alto potenziale)

A causa dell’intelligenza artificiale saranno a rischio nei prossimi anni 300 milioni di posti di lavoro e – contrariamente alla vulgata liberista che non smette di decantare le ‘ magnifiche sorti  e progressive’ – la verità è che molti potrebbero non essere sostituiti. È sufficiente leggere il ‘Il dominio dei robot’, di Martin Ford per rendersene conto: i nuovi lavori creati dall’IA saranno ad alta specializzazione, quindi per poche persone, mentre quelli risparmiati dall’automazione chiedono competenze che non tutti possono avere, scrive l’autore.

Non è il caso di definire scenari apocalittici, la storia non è cronaca a rime obbligate ma il capitalismo – come fu per la rivoluzione industriale – o trova la forza di riformarsi o dovrà fare i conti con tutti quelli spettri che potrebbero tornare ad agitarsi.

 

Andrea PersiliGiornalista

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